Caregiver, termine inglese che letteralmente significa badante ma che nasconde dietro un significato più ampio e profondo.

Nell’immaginario italiano “badante” o per usare un’accezione più corretta, “assistente familiare” è colei/colui che viene assunta dalla famiglia per assistere il proprio familiare malato. Il caregiver è in realtà quel membro della famiglia che nella maggior parte dei casi sceglie, di assistere un altro membro malato.

Quando si ha a che fare con un malato di Alzheimer, tutto il nucleo famigliare ne risente, ogni ruolo, ogni routine, ogni abitudine deve essere rivista; è però raro che tutti i membri della famiglia si occupino del malato in egual misura ma è invece più frequente che in maniera più o meno esplicita, venga “eletto” un caregiver principale, riscontrabile spesso in un figlio, nel coniuge o anche in nipoti e fratelli con una prevalenza di donne.

Negli articoli precedenti (“L’ospite indesiderato” e  “Ritorno al passato”) abbiamo brevemente accennato a quanto possa essere frustante e difficile da gestire questa malattia e ciò viene confermato da alcune ricerche in cui è emerso che ogni caregiver dedica in media 15 ore giornaliere all’assistenza del malato e facendone una somma, è possibile notare che l’assistenza diretta del caregiver può arrivare a 5.500 ore annue.

Come può una singola persona occuparsi di tutto? Occuparsi di medicine, preparazione pasti, cure igieniche, cura della casa, proporre attività stimolanti, ecc?

Diventa fondamentale che il caregiver da principale non diventi l’unico ad occuparsi di tutto questo! L’onere che ne deriva, sia economico sia emotivo-relazionale, è davvero alto e presto il caregiver può incorrere in un senso di frustrazione tale da diminuire le sue capacità di ascolto, di empatia e di pazienza, fondamentali nel processo di assistenza.

Occuparsi di un malato di Alzheimer, vivere con lui, accudirlo, comporta un peso non indifferente nel familiare; al caregiver viene chiesto di rinunciare parzialmente alla sua vita, tutto si deve riadattare in funzione dell’altro.

Questo peso, usando le parole di George e Gwyther, è definibile come: “l’insieme dei problemi fisici, psicologici o emotivi, sociali e finanziari che possono essere incontrati dai familiari che si prendono cura di persone anziane deteriorate”.

Un altro termine che ci viene in aiuto dall’inglese è burden che significa infatti “peso”, “fardello”, un carico che ogni caregiver è chiamato a sperimentare e sopportare.

I sintomi riscontrabili in chi soffre di burden assistenziale sono quelli tipici dello stress come i disturbi del sonno, dell’attenzione, facile irritabilità, somatizzazioni, sbalzi di umore, agitazione e facilità ad ammalarsi.

È frequente riscontrare in coloro che si occupano da tanti anni di un malato d’Alzheimer un iper-coinvolgimento emotivo tale per cui si comincia a vivere in funzione dell’altro, le conversazioni con amici e parenti hanno come tema principale quello del familiare malato, durante il giorno si assiste il familiare e la notte spesso insonne è costellata di pensieri e preoccupazioni.

Non di rado però avviene anche il fenomeno opposto, quello in cui il troppo stress, l’isolamento sociale, il sentirsi inutili e impotenti portano ad un totale distaccamento emotivo. È come se il caregiver venisse svuotato dei suoi sentimenti d’affetto e non riuscisse più a provare empatia.

È però possibile evitare tutto questo ed è soprattutto possibile ritardare o comunque contenere il burden assistenziale, grazie a strategie che il caregiver può adottare:

  • Accettare la malattia del proprio parente; difficile e apparentemente impossibile visto l’enorme coinvolgimento emotivo ma di fondamentale importanza. In questo percorso è utile rivolgersi ad uno psicologo e farsi guidare nelle fasi iniziali da chi ci è già passato (amici e/parenti).
  • Saper gestire il quotidiano; evitare di pensare ai possibili peggioramenti, a ciò che non potrà più fare o a ciò che dovrebbe potenziare; rimanere su ciò che avviene giorno per giorno, valutando non solo le difficoltà ma anche e soprattutto le capacità preservate per valorizzarle al meglio. Ognuno di noi ha hobby, passioni e abitudini che permangono fino alla vecchiaia (cucire, curare l’orto, recitare il rosario, fare i biscotti….), scoprirle e potenziarle può aiutare nella gestione della giornata, scandendo così i vari momenti.
  • Saper accettare quel poco che il paziente riesce a dare; Anche quel sorriso in più o il fatto che ha mangiato con più appetito è da apprezzare e da vivere come momento importante. Sfogliare un album di fotografie e vedere il suo volto illuminarsi nel ricordo di un episodio o una persona, di cui è vero, può non ricordarsi il nome  ma che importa? Quella luce nel volto è qualcosa di confortevole per entrambi.
  • Praticare discipline di meditazione e trovare il tempo per sè; vari studi hanno dimostrato come lo yoga ed altre discipline come Longevity, training autogeno e Mindfulness possano diminuire il livello di stress avvertito dai caregiver e riescano ad alleggerire il burden percepito, aiutando i cargivers ad acquisire maggiore consapevolezza non soltanto della malattia (facilitandone l’accettazione) ma anche delle proprie potenzialità e capacità di problem solving. Trovare del tempo per sé stessi, come fare una passeggiata, un aperitivo con gli amici o passare del tempo con i figli servirà a non sentirsi abbandonati e soprattutto a sentirsi ancora l’uomo o la donna che si è; con il proprio lavoro, famiglia e rete di amicizie.

Per quanto sia dura e dolorosa, questa malattia va affrontata su più fronti e il caregiver non può esimersi dal prendersi cura di sé in primis; cercando e accettando qualsiasi aiuto venga lui offerto e partecipando a incontri che hanno come finalità quello della condivisione di vissuti ed emozioni perché oltre ad essere un’utile fonte di informazioni, questi contatti con l’esterno aiutano a ridurre il senso di isolamento e di impotenza. Mai dimenticare che l’obiettivo di ciascuno deve sempre essere  quello del benessere!

Bibliografia e sitografia

http://www.salute24.ilsole24ore.com/articles/15883-alzheimer-le-otto-regole-per-tutelare-pazienti-e-caregiver

Carrara, L. P. (2011) Il Caregiver familiare e il Burden. Retrived Novembre 18, 2011, from http: //www.medicitalia.it/laurpedrinellicarrara.

Izzicupo, F., Chattat, R., Gainotti, S., Carbone, G., di Fiandra, T.,Galeotti, F., et al. (2009) Alzheimer: conoscere la malattia per saperla affrontare . Roma: Il Pensiero Scientifico Editore.

George, L. K. & Gwyther, L. P. (1986). Caregiver Weil-Being: A Multidimensional Examination of Family Caregivers of Demented Adult. The Gerontologist, 26, 253-259.

CONDIVIDI
Articolo precedentePorto. Gli effetti psicologici delle relazioni romantiche
Articolo successivoIl consenso, istruzioni per l’uso.
Ilaria Giardini
Sono la Dott.ssa Ilaria Giardini, nata a Cattolica e cresciuta a Pesaro; laureata in Psicologia presso l’Università degli studi di Urbino. Sono psicologa, abilitata all’esercizio della professione e iscritta all’Ordine degli Psicologi delle Marche (n° 2675). Durante la specializzazione in Psicologia Clinica mi sono sempre più interessata all’approfondimento della Psicogeriatria, campo in cui lavoro tutt’ora, facendo parte dell’equipe del Centro Diurno Margherita di Fano (specializzato nelle demenze in particolar modo di tipo Alzheimer) e in cui mi sto ulteriormente perfezionando; ho ottenuto da poco la certificazione come Operatore Validation e ho partecipato al Premio Gentlecare Sicurhouse, “Studi sull’applicazione del metodo Gentlecare in ambito geriatrico. L’attualità del modello”, vincendo nel dicembre 2016 il primo premio con un elaborato dal titolo “Giorno dopo giorno dobbiamo vivere; se possibile bene”. Fa da cornice un mio sempre maggiore interesse verso l’area del benessere psicologico, al fine di promuovere e gestire le risorse personali di ogni individuo. Contatti: giardini.ilaria@libero.it

ADESSO COSA PENSI?