L’annuncio è rivolto ad ambo i sessi come previsto dal codice per le pari opportunità. I candidati ambosessi (L.903/77) sono invitati a leggere l’informativa sulla privacy (art.13, D.Lgs.196/03).

Le due righe introduttive sono un modo ironico per dire che questa “guida” può essere utile a tutti coloro che, per qualsivoglia motivo, si trovino nella situazione di dare, negare, ricevere o vedersi negato il consenso per un rapporto sessuale.

La cronaca racconta quotidianamente casi di stupro, che si consumano troppo spesso per ridurre lo stupratore (o la stupratrice) ad un(a) malato/a mentale. Ci devono essere altre ragioni alla base di questo gesto, altri elementi che caratterizzano chi lo mette in atto.

Ancor più rilevante è forse la presenza di stupri che non sono riconosciuti come tali né dalla vittima, né da chi ne ha abusato, nonostante siano causa di profondo disagio [per approfondimento vedere articolo allegato]. Questa situazione richiama uno dei fattori coinvolti, ossia la mancanza di alfabetizzazione intorno alla cultura del consenso.

Incominciamo dall’inizio…

Che differenza c’è tra sesso e stupro? Qualcuno potrebbe dire che lo stupro è un gesto violento, mentre il sesso non lo è. Si sbaglierebbe. Non sempre lo stupro avviene con la forza e non sempre il sesso è una cosa romantica fatta di bacini e carezze. Un rapporto sessuale può essere violento, ma ciò non vuol dire che sia stupro. Vediamo ad esempio il sadomaso, uno dei due fa male all’altro (che ne trae piacere), eppure è la cosa più lontana del mondo da una violenza sessuale.

Come mai? Perché ciò che fa la differenza tra sesso e stupro è il consenso. Nel sadomaso il consenso è fissato in maniera molto chiara, che non lascia adito a dubbi o fraintendimenti, ci sono delle regole a cui entrambi i partner devono acconsentire e, qualora si andasse troppo oltre, la persona che “subisce” le pratiche dolorose è legittimata ad utilizzare delle parole di sicurezza che comportano l’interruzione immediata della pratica in atto.

Nei rapporti sessuali “convenzionali” le cose non sono sempre così cristalline. Dire che ciò che fa la differenza tra sesso e stupro è il consenso è facile, definire che cosa sia il consenso lo è meno.

Melanie A. Beres nel 2007 ha fatto una review in cui ha cercato tutta la letteratura esistente intorno al consenso, la finalità era quella di trovare una definizione operativa per questa parola, che rendesse ben chiaro cosa fosse stupro e cosa no. Nonostante sia passato del tempo, il suo lavoro ha portato alla luce risultati e contraddizioni che possono tornarci utili ancora oggi.

Innanzitutto si è resa conto che cercando la parola “consenso” si ottenevano tra i 30 e i 42 risultati, mentre cercando la parola “stupro” si arrivavano ad ottenere anche più di 8000 risultati. Una bella differenza, no? Indice del fatto che, fino ad allora, questa tematica era stata ampliamente trascurata.

Ora che ci penso, nella mia esperienza personale, è stato ben dopo il 2007 che al liceo sono venuti degli esperti a tenere lezioni di educazione sessuale. Si è parlato di malattie sessualmente trasmissibili, di gravidanze indesiderate, insomma, di cose utilissime e super importanti, ma nessuno mai ha accennato al consenso, che è un elemento altrettanto fondamentale.

Se la tematica era così trascurata all’epoca, ciò vuol dire che una grande fetta della mia generazione (e di quelle precedenti) non ha mai avuto nessuna figura che gli spiegasse come il consenso funzioni. Magari a qualcuno è stato spiegato dai genitori, ma teniamo comunque conto che per molti il sesso è un taboo. Si può fare, ma non se ne può parlare. Qui, invece, cercheremo di parlarne e di chiamare le cose con il loro nome. Torniamo alla review.

Drips (1992) definisce il consenso come “any yes” (qualsiasi sì), specificando che non importa quanta forza sia stata usata per ottenerlo. A me sta cosa fa abbastanza ribrezzo, ma sembra che culturalmente dei rimasugli di questa concezione siano rimasti. Onde evitare fraintendimenti e per mantenere il proposito di chiamare le cose col loro nome, se si usa la forza per ottenere il consenso è stupro.

Hickman and Muehlenhard (1999), invece, definiscono il consenso come “la comunicazione verbale o non verbale, data liberamente, del desiderio di impegnarsi in un’attività sessuale”. Ciò significa che il consenso deve essere privo di qualsiasi coercizione o forzatura da parte del/della partner sessuale.

Personalmente la trovo una definizione bellissima, ciò non toglie che servano dei chiarimenti affinché possa essere resa operativa. Innanzitutto, quali comportamenti possono essere considerati dei validi indici di consenso se la comunicazione avviene in modo non verbale? (Come del resto nella maggior parte dei casi perché chiederlo esplicitamente ogni volta, per quanto utile e privo di fraintendimenti, può risultare un tantino macchinoso).

Sherwin (1996) ha ipotizzato che si potesse fare una lista di comportamenti che dimostrerebbero il non consenso. Una soluzione, secondo Beres, che sarebbe utilissima dal punto di vista giuridico, ma con la grave pecca di iper-semplificare le relazioni sessuali. Comunicare il consenso è troppo complesso per poter essere standardizzato ed inserito in una lista di comportamenti e comporta il rischio di etichettare delle aggressioni come esperienze consensuali. La Beres porta come esempio una cosa accaduta in Texas: prima di essere assalita da un uomo armato di coltello, una donna lo ha pregato di usare il preservativo, per essere protetta da malattie sessualmente trasmissibili.

Diventa quindi chiaro che chiedere di usare il condom in alcuni contesti possa essere considerato un indicatore di consenso, ma la cosa non possa essere generalizzata ad ogni situazione. Questo tipo di lista, inoltre, inibirebbe la possibilità di esprimere consenso in altri modi, l’Autrice porta come esempio proprio il sadomaso in cui ci sono delle “safe words” per chiedere al partner di fermarsi, le quali sostituiscono la parola “no”. Urlare no in questo contesto può non essere un indice del desiderio di interrompere il rapporto sessuale.

Pineau (1996) ha proposto una soluzione interessante, ossia, un modello comunicativo della sessualità, in cui una comunicazione verbale non è necessaria, ma ciò che è veramente fondamentale è che ci siano dei cues che indicano consenso. Lei stessa porta un esempio: “If you undo one of my buttons, and I help with the rest, you may presume that I am happy to get undressed. If you undo my button, and I try to do it back up again or clutch at the gap created, then you should presume the opposite”. (Grossomodo: se mi slacci un bottone ed io ti aiuto col resto, potresti ipotizzare che sono felice di essere spogliata. Se mi slacci il bottone e io me lo riallaccio, dovresti presumere il contrario).

Prima di concludere è importante notare che, in gran parte della vecchia letteratura, si è preso in esame solo il caso in cui una donna dovesse concedere il consenso ad un uomo. Questo, oltre ad essere un modello eternormativo, da anche per scontato che il consenso dell’uomo sia sempre presente.

Anche questa concezione è rimasta nella nostra cultura, pertanto è importante specificare che non è così, un uomo può non voler dare il proprio consenso per un rapporto sessuale. Il consenso, inoltre, viene dato momento per momento da tutti coloro che partecipano all’atto, per esempio una persona potrebbe iniziare a baciare, l’altra sfiorare i genitali e così via (M.A. Beres 2007). Ciò vuol dire anche che il consenso deve poter essere ritirato in qualunque momento (Archard, 1998).

Sto dicendo delle ovvietà? Io mi auguro vivamente di sì. Più persone leggendo penseranno “ma è ovvio”, più io sarò felice, ve lo assicuro. Purtroppo ho sentito la necessità di iniziare a scrivere questa guida perché ho percepito una gran confusione intorno al tema, spero quindi che possa essere utile nell’ottica della prevenzione e che in pochi ne abbiano davvero bisogno.

Per approfondimenti relativamente agli stupri che non vengono percepiti come tali, un esempio:

http://letteradonna.it/300414/sesso-coniugale-stupro-violenza-donne/

Riferimenti:

A. Beres (2007). “Spontaneous Sexual Consent: An Analysis of Sexual Consent Literature”. Feminism & Psychology. Vol. 17(1): 93–108.

 

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Federica Molteni
Piacere, Federica! Mi sono laureata in psicologia clinica presso l’Università di Milano Bicocca con una tesi riguardante la relazione tra varie forme di cyberbullismo sessuale, come lo slut shaming, e la cultura dello stupro sui social network. Nel 2016 ho trascorso sei mesi presso l’ISPA di Lisbona, periodo nel quale ho appreso la metodologia di stesura di un progetto di ricerca in ambito psicologico, scoprendo che la cosa mi interessa e mi motiva. Nel corso dell’ultimo anno, nel tempo libero, ho seguito un corso di improvvisazione teatrale ed ho scoperto che anche questa cosa mi piace e mi diverte. La quasi totalità delle esperienze di stage/volontariato ecc. che ho svolto sono state con i bambini. Lavorare con i bambini è sempre un piacere, ma in futuro vorrei operare (anche) con gli adulti. Ad oggi, mi piacerebbe poter mettere in piedi/partecipare a dei progetti che mirino ad ottenere un cambiamento sociale e migliorare le condizioni di vita dei partecipanti; in un futuro più lontano, invece, mi piacerebbe diventare una psicoterapeuta cognitivo comportamentale ed essere abilitata alla schema therapy. Contatti: f.molteni13@gmail.com

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