Il disturbo bipolare è una patologia che non ha un’età d’insorgenza ben precisa; la componente genetica sembra essere un fattore causale abbastanza importante tra le persone che ne sono affette, insieme ai fattori ambientali (esperienze di vita complesse, traumi…).

Le persone con questo disturbo alternano fasi depressive , caratterizzate da anedonia, stanchezza, sensi di colpa, a fasi maniacali in cui sono iperattivi, spregiudicati , hanno idee deliranti e spesso un incontrollabile desiderio sessuale. Alcuni soffrono anche di allucinazioni.

Tra i vari personaggi che sono stati colpiti da questo disturbo, reputo tra le più enigmatiche e interessanti  Alda Merini. Userò la sua storia, oggi, per raccontarvi le tante contraddizioni che caratterizzano il mondo del soggetto bipolare.

Alda viveva a Milano, sposata e con figli. Un giorno, dopo un altro dei suoi soliti attacchi d’ ira, venne portata via dalla sua casa e fu internata. Ogni tanto Alda, infatti, diventava particolarmente aggressiva e ingestibile, come avviene tipicamente a molti che hanno la sua stessa patologia.

All’ epoca non era ancora entrata in vigore la legge Basaglia, i manicomi, quindi, esistevano ancora e Alda venne ricoverata.

All’interno del manicomio subì molte violenze: racconta di essere stata riempita di farmaci e di aver subito numerosi elettroshock (anche oggi , in casi particolarmente gravi, si sottopongono i pazienti all’elettroshock ; si usa  principalmente come cura quando le altre terapie non hanno successo).

La stessa Merini, parlando dei manicomi , li definì “un’istituzione falsa, una di quelle istituzioni che serve solo a scaricare gli istinti sadici dell’uomo“. Parlò spesso della grossa sofferenza che provò in quegli anni.

Ascoltando le sue interviste emergono tante contraddizioni: una volta diceva di essere andata in manicomio per sua libera scelta, la volta dopo che il marito l’aveva costretta; raccontava di avere avuto tanti uomini, ma poi di non averne avuto alcuno; diceva di essere una grande amante in un’ intervista e in un’altra diceva di non aver mai realmente amato; diceva di essere stata una brava mamma e poi di aver ferito i suoi figli fin da piccoli.

Queste contraddizioni  mi sono apparse incredibilmente evidenti in un documentario della Rai in cui il regista mette a confronto due interviste fatte alla Merini: una recente e l’altra di qualche anno prima.

L’autore evidenzia la contrapposizione che emerge tra la prima intervista e la seconda e attribuisce la causa all’età della donna che l’avrebbe condotta a guardare la vita con occhi molto diversi. Ossevando il documentario a me, invece, è sembrato evidente che la causa di quelle contraddizioni fosse stata la patologia stessa.

In un’occasione la donna era molto truccata , indossava degli orecchini lunghi e pieni di pietre, aveva lo smalto sulle unghie, un foulard e un maglioncino rosa; nell’ altra intervista la Merini aveva i capelli sporchi, gli occhi stanchi e non aveva un filo di trucco, indossava una maglia grigia, camminava a stento e non sorrideva mai. Per quanto sicuramente segnata dall’ età, non credo che sia stato il fattore determinante di queste differenze.

Oltre all’aspetto, anche i contenuti delle due interviste sono molto diversi. Nel video in cui indossava il maglioncino grigio parlava della sofferenza della sua vita, dei sensi di colpa, delle ingiustizie subite.

Alla domanda “Quali sono i suoi più grandi rimpianti?” rispondeva parlando del rapporto con il marito e di quanto avesse ingiustamente sofferto.

Nell’altra intervista, quella in cui era vestita di rosa, raccontava degli uomini che l’avevano amata, dello splendido rapporto con i suoi figli, di quanto si divertisse in manicomio, parlava moltissimo e sembrava che le sue idee viaggiassero più veloci della luce (nel gergo si definisce “fuga dell’idee”, sintomo di mania) e quando le veniva posta la stessa domanda, circa i rimpianti della sua vita, diceva che il suo più grande rammarico era stato non essere diventata una ballerina.

In quell’occasione, a proposito delle ballerine, disse che tutti amano vederle ballare ma nessuno conosce le sofferenze che portano dentro. Sulla base della diagnosi che le è stata fatta, quella di disturbo bipolare,  mi viene da supporre che, la nostra poetessa, si trovasse in uno stato maniacale anche quando decise di ospitare a casa sua un senzatetto che visse con lei per un po’ e di cui lei stessa disse di essersi innamorata .

Era in una fase maniacale, probabilmente, anche quando iniziò a rubare tutto ciò che le capitava o quando decise di farsi fotografare  nuda e di rendere pubbliche le foto, forse con l’intento di mettere fine a quelle frenesie sessuali che accompagnavano certe sue giornate.

Al contrario, credo fosse in preda ad un episodio depressivo quando d’estate soffriva perché tutti partivano, lasciando vuota Milano e allora andava alla stazione a guardare i treni con gli occhi ricolmi di lacrime .

Questo turbinio di emozioni che accompagnò la vita della Merini è espresso in modo molto più chiaro dalla poetessa stessa nelle sue poesie e ben rispecchia le caratteristiche tipiche di chi soffre dello stesso disturbo. Fu proprio lei a scrivere:

Ogni giorno cerco il filo della ragione, ma forse non esiste o mi ci sono aggrovigliata dentro.

E ancora, scrisse:

Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?
anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?

Disse che a volte, in base al momento della malattia in cui era, vedeva il mondo con occhi diversi e si chiedeva se non fosse tutta una finzione, se il mondo fosse solo una sua fantasia.

La figlia più piccola della Merini la definì una madre poco presente, disse che tutto l’amore della mamma era possibile percepirlo solo attraverso le poesie e in nessun altra circostanza. Anche questo non sorprende: le madri con disturbo bipolare sono solitamente poco affettuose, hanno difficoltà a dare ai figli  la protezione di cui necessitano nei primi momenti di vita.

Chi è affetto da questa patologia, rispetto al resto della popolazione, ha una maggiore tendenza al suicidio, non è stato il caso della Merini che, forse, per quanto molto malata, aveva un amore troppo forte per la vita.

Si è spenta qualche anno fa, precisamente nel 2009, ci ha lasciato tante poesie e tanti libri ricchi di saggezza e spunti di riflessione. La poesia fu la sua cura, il suo psichiatra le consigliò di non smettere mai: era la sua medicina.

Il giorno del suo funerale la seppellirono con il suo cappello di paglia (quello che amava tanto!); le misero lo smalto , come piaceva a lei ; un pacchetto di sigarette ; la foto del marito; 20 euro nel reggiseno.

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