Articolo di Francesco Latini

 

Nella nostra società neo-positivista, in cui scienza e tecnica dominano incontrastate e verso le quali leviamo le mani ed intoniamo preghiere in cerca di conforto e consolazione, mi sembra che sempre meno si guardi con curiosità al passato.

Tuttavia, l’uomo è sempre lo stesso da circa 200 000 anni e nella sua lunga produzione culturale fatta di miti, leggende e storie si possono rintracciare quei bisogni, quelle tematiche, quei misteri che da sempre lo muovono e verso i quali ha sempre cercato di dare una risposta.

In un certo senso, così come alcuni hanno rappresentato il tempo come un serpente che si morde la coda (il famigerato Ouroboros) sottolineandone così la ciclicità, allo stesso modo ogni vita umana che nasce si trova a dover affrontare le stesse sfide e porsi le stesse domande dei suoi predecessori sulla Terra, al di là delle superficiali differenze dettate dal contesto spazio-temporale, con il fondamentale vantaggio però di poter attingere alle loro intuizioni ed osservazioni.

Nel romanzo “La storia infinita” di Michael Ende l’Auryn è chiaramente ispirato al simbolo dell’Ouroboros.

È con questo spirito di meraviglia verso il passato che ho scoperto come diversi autori impegnati nell’indagare la storia dell’autismo, una condizione formalmente riconosciuta solamente a partire dagli anni ‘40, sono riusciti a rintracciarla già all’interno di numerose fiabe e storie del folklore europeo, specie delle Isole Britanniche, della Germania o della Scandinavia, dove ricorrenti sono le figure dei “changelings”, dei bambini scambiati.

In particolare, elemento unificante delle storie consiste nella brama da parte di creature magiche come fate o folletti per i cuccioli di uomo, specie se belli ed in salute, che tendono così a rapire ed a sostituire, a seconda delle storie, con i propri figli deformi e malati o con dei ciocchi di legno stregati in modo tale che assumano sembianze umane: i legittimi genitori assistono così impotenti a dei cambiamenti marcati, repentini ed inspiegabili in quello che credono sia il loro figlio, che può manifestare apatia, resistenza a manifestazioni di affetto fisico, agitazione, incapacità ad esprimere emozioni, grida e pianto inspiegabili così come rigidità e deformità fisiche… sintomi che ben corrispondono ad alcune presentazioni dell’autismo.

Alcuni autori hanno quindi visto in queste storie la prova che tale condizione sia esistita già nelle società pre-industriali e che quindi non è semplicemente frutto delle nuove tecnologie o del contesto da queste creato, che al massimo possono averne aumentato la predisposizione.

Dettaglio di “Titania and Bottom”, Henry Fuseli (c. 1790).

Ma, da un punto di vista scientifico, cosa è l’autismo? L’autismo, dal greco autòs (sé, in italiano) in riferimento alla tendenza di chi lo possiede a richiudersi in sé stesso e ritirarsi dalle relazioni sociali, è una grave sindrome del neurosviluppo caratterizzata da marcate anormalità o deficit nello sviluppo delle abilità sociali e comunicative (incapacità nello stabilire/mantenere relazioni adeguate al livello di sviluppo; comunicazione verbale e non verbale deficitaria; alterazione della reciprocità socio-emotiva con difficoltà nel dare inizio o rispondere a delle interazioni sociali e ridotta o assente condivisione di stati mentali) ed un repertorio altamente ristretto di attività ed interessi.

Oggi non si parla più tanto di autismo quanto piuttosto di “spettro autistico”, per cui la condizione può presentarsi in forme più o meno marcate di gravità (es. Sindrome di Asperger, in cui non si registra ritardo cognitivo e nello sviluppo del linguaggio) e le stime evidenziano che la condizione è presente in circa l’1,2% dei bambini, per lo più maschi, con un andamento cronico.

Ad oggi, le cause scatenanti la condizione non sono ancora chiarite, sebbene sia stata confutata sia l’ipotesi psicoanalitica della “madre frigorifero” che quella di Wakefield di una possibile correlazione con l’assunzione del vaccino trivalente.

https://vimeo.com/142489106

Tra le diverse teorie proposte per spiegare la grande costellazione di sintomi dello spettro autistico, quella che ultimamente ha acquisito un certo seguito è la “broken mirror theory”, a seguito della scoperta di Rizzolatti e colleghi nei primi anni ‘90 dei cosiddetti neuroni specchio, il meccanismo neurale alla base dei processi di consonanza intenzionale (comprensione immediata delle azioni e delle intenzioni altrui) e condivisione intersoggettiva (empatia), in quanto in grado di attivarsi non solo durante la produzione di una certa azione od emozione, ma anche quando quella data azione od emozione viene osservata.

L’attivazione nel soggetto di stessi gruppi neuronali sia nella produzione che nell’osservazione di una data azione od emozione implica quindi che la comprensione dell’altro non avviene (solo) cognitivamente, attraverso un processo inferenziale alla Sherlock Holmes, ma immediatamente “sentendo” ciò che l’altro prova e fa, attraverso un processo di simulazione.

Proviamo a comprendere meglio questo aspetto utilizzando un esempio. Immaginiamo di stare preparando il pranzo insieme ad un amico e, dopo aver deciso di preparare una pasta al sugo, gli chiediamo di prendere il barattolo di passata che è in frigo da qualche giorno mentre noi mettiamo su l’acqua della pasta. Quando ci giriamo, vediamo un’espressione schifata sul suo volto.

Alla vista della sua smorfia, noi non ci mettiamo a riflettere a quale tipo di emozione corrisponde la particolare espressione assunta dal suo volto, avanzando una serie di ipotesi che vengono scartate o tenute buone (“le sue sopracciglia incurvate potrebbero suggerire rabbiaperò non sta digrignando i denti o ha la bocca spalancata pronto per urlaremmh, con quel naso arricciato direi proprio che sia disgustato da qualcosa”), ma attraverso i neuroni specchio simuliamo internamente lo stesso pattern motorio/emotivo osservato comprendendo immediatamente che è disgustato e, attraverso informazioni contestuali (e qui entra quindi anche una componente inferenziale), che lo è perché probabilmente il sugo è andato a male.

Il sistema specchio sembra dunque essenziale per la cognizione sociale (l’insieme dei processi che ci permettono di navigare nel mondo sociale) e questa risulta estremamente deficitaria nello spettro autistico: tutto ciò lascia quindi supporre che almeno parte della sintomatologia autistica sia riconducibile ad un malfunzionamento del sistema specchio ed alcune evidenze sperimentali sembrano sostenere questa ipotesi.

Per esempio, Oberman e colleghi (2005) hanno registrato l’elettroencefalogramma (EEG) di bambini autistici e bambini a sviluppo tipico durante l’esecuzione o l’osservazione di alcuni gesti manuali. In un individuo sano, una componente dell’EEG consiste nelle cosiddette onde mu (8-13 HZ), onde che tendono a ridursi sia durante l’esecuzione che l’osservazione di un’azione (rispetto a quando l’individuo è a riposo), rappresentando quindi una sorta di firma neurale del sistema mirror.

I risultati dell’esperimento hanno evidenziato che nel gruppo con autismo, rispetto a quello a sviluppo tipico, la soppressione delle onde mu avviene solamente durante l’esecuzione ma non durante l’osservazione dei gesti manuali, evidenziando quindi in questo gruppo un malfunzionamento del sistema mirror.

Grazie a queste scoperte si stanno aprendo nuove possibilità di diagnosi e terapia, almeno per quanto riguarda i sintomi collegati alla disfunzionalità dei neuroni mirror. In particolare, la diagnosi nei bambini potrebbe avvenire in fase più precoce, consentendo quindi di avviare le terapie prima della comparsa dei sintomi principali e favorirne quindi una maggiore efficacia. Inoltre, essendo buona parte dei neuroni mirror una classe di neuroni motori, questo può suggerire una modifica delle terapie orientandole più su un versante motorio piuttosto che quasi esclusivamente cognitivo, come invece si è fatto fino ad ora.

 

BIBLIOGRAFIA:

– Leask, J., Leask, A., & Silove, N. (2005). Evidence for autism in folklore?. Archives of disease in childhood, 90(3), 271.

– Oberman, L. M., Hubbard, E. M., McCleery, J. P., Altschuler, E. L., Ramachandran, V. S., & Pineda, J. A. (2005). EEG evidence for mirror neuron dysfunction in autism spectrum disorders. Cognitive brain research, 24(2), 190-198.

– Rizzolatti, G., & Vozza, L. (2007). Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale (Vol. 4). Zanichelli Editore IT.

– Ward, J. (2016). The student’s guide to social neuroscience. Psychology Press.

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