Quando ero fanciullo

e mi sentivo perduto

volgevo al sole gli occhi smarriti,

quasi vi fosse lassù 

un orecchio che udisse il mio pianto,

un cuore come il mio

che avesse pietà dell’oppresso.

Articolo di Valentina Fei

Wolfgang Goethe, il noto artista romantico, nel suo inno Prometheus, ritrae il titano mentre si rivolge al padre Zeus, in cui da piccolo ha cercato conforto.

Da generazioni il bambino, impaurito e confuso, volge il proprio sguardo verso il padre, in cerca di amore, rassicurazione e ascolto; ed è da secoli il padre è chiamato a rispondere a questo appello.

Le parole del genitore rivolte al figlio hanno sempre avuto l’intento di trasmettere l’amore, il coraggio, la forza e il sapere alla generazione successiva.Laddove le sole parole non erano sufficienti, interveniva la narrazione fantastica: le storie di eroi e di divinità aiutavano il padre a trasmettere la propria parola, il figlio a riceverla e a servirsene.

Non è facile essere dunque essere padre, se non era facile per Zeus, divinità onnipotente, figuriamoci per noi semplici e comuni mortali, con le nostre insicurezze, i nostri individualismi, le nostre piccole e grandi paure, i pensieri assillanti e ripetitivi del quotidiano e tante domande, a cui molto spesso, nemmeno il grande Zeus potrebbe fornirci le “giuste” risposte.

Nel romanzo La strada  è rappresentata chiaramente questa allegoria della modernità: la società è dominata dal disimpegno, dall’individualismo e dall’istintività; ogni forma di umanità sembra essere scomparsa. Eppure il protagonista riesce ancora ad essere padre.

Questo perché non attende che sia la società ad aiutarlo a sostenere questo peso, ma lui stesso decide di lottare per mantenere il proprio ruolo. Rimane accanto al figlio e cerca con tutte le forze di proteggerlo, nutrirlo e prendersi cura di lui, gli esprime il suo amore, ma al tempo stesso mostra il proprio volto crudele nei confronti della società ormai priva di umanità.

Attraverso le storie di oggi raccontate nei romanzi e nei film, è possibile in qualche modo riscoprire e riprendere le antiche narrazioni, instaurando così un legame con il passato, con i padri, e al tempo stesso utilizzarle per comprendere la realtà contemporanea e tramandarle alle generazioni successive.

Ma un padre moderno chi è? Di che cosa ha paura? Che cosa lo distingue dai padri del passato? Cosa lo rende simile ai padri del passato?

Seguendo i recenti e sempre più frequenti fatti di cronaca, si potrebbe supporre che i padri di figlie femmine, possano avere più paura, siano più fragili e che vivano nel timore di non essere in grado di proteggere le loro bambine dalle barbarie che altri uomini potrebbero fare sulle loro creature; come se poi essere padri di un maschio non richieda altrettanto sforzo emotivo, altrettanta fatica ed impegno, il vero sforzo richiesto ai padri è quello di non avere paura di essere qualcosa di altro, dalla madre.

Nella mia esperienza clinica, ho visto padri annientati e distrutti da donne vendicative e violente (dove la violenza simbolica è peggio di quella fisica), ho assistito a padri eccezionali e madri assenti, di giovani padri impauriti e dubbiosi, pieni di se e, taluni, pieni di sé, arroccati nella torre d’ oro del figlio visto come un prolungamento di un proprio ego, pronto ad esplodere.

Al padre del 2017, quindi sono richieste capacità di analisi ed autoanalisi, di ricerca continua e di confrontarsi a più riprese con con il falso mito del “mammo a tutti i costi” e alle donne è richiesto di accettare che i propri mariti e compagni possano esserci, per loro e per i figli, nonostante l’ assenza.

Questo ce lo insegna in maniera magistrale Penelope, come ci fa notare Recalcati, nonostante Ulisse sia lontano, la sua assenza non è percepita come un abbandono o un rifiuto del suo ruolo da parte del figlio, il quale continua ad attenderlo con la speranza di poterlo incontrare. E’ proprio Penelope a significare la partenza del padre come un dovere e non un capriccio, ed e lei che trasmette al figlio la funzione simbolica del padre.

Ma è veramente possibile riuscirci? Avere quella sensibilità illuminata in un mondo, come quello moderno, che ci trascina verso il buio ed il silenzio emozionale? E’ davvero possibile per i giovani genitori sostenere un tale peso?

Soprattutto per i nuovi padri, il percorso, come già detto è accidentato e impervio e senza una mappa che li guidi in tale percorso: se un tempo egli poteva in qualche modo sostenere la propria funzione attraverso la presenza dell’autorità di Dio-Padre, come garante della funzione simbolica, ora non e più cosi.

Dio non esiste più e il padre si ritrova a sostenere da solo tale compito. Se il figlio prima poteva contare su due padri, uno reale, che si occupava di lui, e l’altro metafisico a cui poteva rivolgersi attraverso la preghiera e a cui obbediva senza riserve, ora il bambino può fare affidamento su un solo padre, anzi, su nessuno poichè è il tempo, come afferma Lacan, “dell’ evaporazione del padre”.

Da figlia femmina, di trent’anni, emblematico esempio del mondo moderno, mi sento però di dire una cosa e lo voglio dire da donna e non da psicologa, dissentendo con Lacan e probabilmente creando indignate reazioni nelle altre donne e madri: i padri non sono evaporati, non sono spariti, sono nelle piazze, nelle strade, nelle officine e negli uffici a rivendicare il proprio diritto alla diversità rispetto a quello che sono stati i loro padri per loro, rivendicando altresì il loro diritto ad un uguaglianza civile e giuridica della funzione paterna rispetto a quella materna; di poter divorziare dalla madre dei propri figli senza il timore di venire perseguitati da un mondo ingiustamente, a volte, “mammacentrico”, di avere il diritto di richiedere un congedo parentale, proprio come le loro mogli e compagne, senza correre il rischio di venire derisi e additati dai colleghi e dalle stesse colleghe.

Sono questi i nuovi padri, secondo il Rapporto Caritas 2014, i padri separati nel nostro paese sono circa 4 millioni, 800’000 anime che si trovano troppo spesso sulla soglia della povertà, sia fisica che spirituale, spesso allontanati dai figli e ai margini della società.

Non possono permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni, non possono scaldare adeguatamente casa e arrivano a fine mese con grande difficoltà“, si legge nel Rapporto, dalla ricerca emerge in primo luogo un forte disagio occupazionale degli intervistati (il 46,1% è in cerca di un’occupazione) e un alto tasso di precarietà abitativa: circa il 19% afferma di vivere in coabitazione presso familiari ed amici, il 18.3% ricorre a strutture di accoglienza o dormitori, il 5.2% in “alloggi impropri”.

Il 66,1% degli intervistati dichiara inoltre di non riuscire a provvedere all’acquisto di beni di prima necessità (prima della separazione tale percentuale riguardava solo il 23,7% degli intervistati).

Dopo la separazione è inoltre aumentato il ricorso a servizi socio‐assistenziali del territorio: centri di distribuzione beni primari (49,3%), mense (28,8%) e gli empori/magazzini solidali (12,9%).

Per aiutare queste persone, in Italia, sono sorte numerose associazioni, fra queste prima fra tutte APS (Associazione Padri Separati), fondata nel 1991, che offre consulenza giuridica, psicologica e consulenze tecniche d’ ufficio, a tutti coloro che abbiano bisogno di aiuto.

(per maggiori informazioni dell’ associazione, rimando al sito https://www.padri.it)

A questi uomini spetta il compito, ed il diritto, grazie anche all’ associazionismo di riprendere il posto che gli appartiene, lottare con tutte le loro forze per mantenere il proprio ruolo in una società che li discrimina e ricominciare a prendersi cura dei figli, trasmettendo loro amore e la fiducia nel futuro.

Solo in questo modo, attraverso la loro testimonianza, potranno insegnare l’ umanità, la cultura e la capacità di sacrificio permettendo ai figli di divenire a loro volta padri, di scegliere al posto dell’istinto la cultura, che è anche memoria e storia.

ADESSO COSA PENSI?