ARTICOLO DI: Federica Parenti

Molto probabilmente troverete questo articolo molto tecnico e specifico, non me ne vogliate, ma ritengo molto importante ricomporre il puzzle mettendo i tasselli nel punto giusto per far chiarezza dove s’insinua la confusione.

Secondo voi il sesso ha età?

La sessualità della persona anziana si colloca a metà tra:
-la VECCHIA istanza che correlava la sessualità alla procreazione e che quindi, va da sé, considerava l’anziano come un asessuato;
-la NUOVA istanza che invece propone miti e stereotipi sessuali enfatizzanti la performance e l’efficienza.

Due istanze un po’contraddittorie, non trovate? Senza volerlo all’anziano vengono imposte due possibilità: o una esclusione basata sull’inefficienza anziché sull’infertilità, o un’accettazione sociale vincolata alla capacità di sapersi identificare con un giovane dalle capacità sessuali prestigiose.

È come se tra questi due estremi, sessualità negata e sessualità imposta, non ci sia spazio per far collocare un’immagine sessuale nella quale le componenti fisiche, psichiche e sociali dell’anziano possano ricombinarsi armoniosamente dando vita a una realmente nuova e specifica modalità sessuale.

In questa fase del ciclo di vita di un essere umano, l’intera esistenza (compresa la sessualità) deve subire un ridimensionamento che per quanto difficile e a volte doloroso è inevitabile; è necessario ripianificare tutte le proprie abitudini, gli obiettivi, i desideri, la vita i tutti i giorni (tra hobby, lavoro, famiglia, coppia) in modo conferme alla nuova realtà e cioè la vecchiaia.

Ma questo forse non accade ogni qual volta l’essere umano va incontro al cambiamento, che possa essere di natura lavorativa, abitativa, amorosa o anche solo alla semplice trasformazione del proprio look o al rinnovo di un numero telefonico? Dovremmo essere abituati e preparati no?

Eppure ogni volta facciamo fatica… o forse la questione cambia quando in gioco ci sono dei mutamenti inevitabili, cioè non decisi di prima mano dal soggetto ma semplicemente subiti, magari per via di motivazioni fisiologiche, che portano a percepire il tutto come più pesante?

Nell’età che precede la senilità, e che viene chiamata “età di mezzo” (tra i 45 e i 60 anni), è frequente che insorga una sorta di “isolamento generazionale”, perché queste persone si sentono lontane sia dai ventenni, percepiti come nostalgia del loro passato, che dagli ultrasessantenni, percepiti invece come il loro prossimo e angosciante futuro.

L’idea di vecchiaia di un essere umano si modifica in modo direttamente proporzionale a quanto l’individuo si senta soggettivamente coinvolto e nella misura in cui cominci a verificare su se stesso la portata delle sue convinzioni e dei sui pregiudizi su questo arco di età.

La senilità è una fase del ciclo di vita che si porta dietro il fardello di essere associata alla tristezza, forse perché è l’unica età che non introduce una successiva tappa del ciclo di vita.

 Ma vediamo ora cosa ne pensano i diretti interessati…

ADESSO COSA PENSI?