Articolo di: Arianna Cubano

Dal precedente articolo sul tema della sordità ci siamo forse lasciati con un interrogativo…o meglio, spero di aver incuriosito il lettore in tal senso. Come insegnare ad un bambino sordo?

Dopo una diagnosi di sordità, il bambino, sia se figlio di genitori udenti che di genitori sordi a propria volta, deve essere sottoposto ad una riabilitazione logopedica che gli consenta di lavorare su comprensione e produzione verbale, facoltà per lui non così naturali, bensì necessitanti di un processo di apprendimento tramite esercizio continuo. D’altronde bisogna tener presente che per quanto ampie possano essere le comunità sorde all’interno di un qualsivoglia paese, la numerosità della popolazione udente sarà comunque maggiore ed inevitabilmente la persona sorda si troverà a dover interagire con questa. Da ciò deriva la necessità di fornire a questi soggetti uno strumento di comunicazione condiviso quale è la comunicazione verbale.

Tra i metodi educativi ad oggi maggiormente in uso troviamo quello oralista, quello bimodale e quello bilingue.

Il metodo oralista prevede l’utilizzo del solo linguaggio parlato: da un lato nessun gesto o segnalazione che accompagnino la produzione linguistica, dall’altro una comprensione che poggia esclusivamente sulla lettura delle labbra e sull’eventuale residuo uditivo a disposizione del bambino. Questo metodo va a promuovere quello che è l’aspetto tecnico della comunicazione, a discapito però del contenuto. Se anche il bambino sordo impara a riprodurre le parole che l’insegnante propone lui, spesso questo non equivale ad una reale padronanza linguistica.

Spesso agiscono come dei piccoli pappagallini che non capiscono fino in fondo il significato dei vocaboli che escono dalle loro bocche. E se anche il significato della parola appresa gli è chiaro, difficile che risultino in grado di farla propria, magari estrapolandola da quel contesto e riutilizzandola in futuro in altre frasi, altri messaggi, secondo altre accezioni.

Non bisogna poi dimenticare che quando si parla la nostra voce non trasmette informazioni solo attraverso le parole ma anche, ad esempio, tramite il tono di voce. Tali aspetti aggiuntivi della comunicazione verbale non possono essere colti dal bambino sordo.

Altro svantaggio di questo metodo è lo sforzo che richiede al piccolo: non è cosa da poco imparare a capire e parlare questa lingua, per loro non così naturale, all’interno di una classe piena di tanti bambini scalmanati!

D’altro canto, un gran punto a favore dell’educazione oralista è che, dando al non udente la possibilità di comunicare con lo stesso mezzo dell’udente, gli fa sentire meno la sua diversità.

Il metodo bimodale consiste invece di un’associazione tra metodo orale ed un sistema di segni. L’idea di fondo è quella di far avvicinare il bambino sordo all’italiano orale e scritto mediante il supporto visivo del segno, ricorrendo all’uso dell’Italiano Segnato (IS) o dell’Italiano segnato Esatto (ISE), trasposizione dell’italiano esatto comunemente usato dagli udenti che differisce dalla Lingua dei Segni Italiana (LIS) nella struttura e nell’uso di componenti proprie della lingua italiana. In quest’ottica i segni non costituiscono lingua a sé stante, bensì un supporto visivo all’italiano orale (e poi scritto), uno “strumento” di apprendimento.

Lo svantaggio di questo metodo è che si rischia di generare confusione nel bambino non udente, che viene “bombardato” da questo mix di segnali, talvolta un po’ caotici.

I vantaggi sono da un lato la facilitazione del contatto con l’altro, di un adeguato inserimento sociale, dall’altro l’agevolazione di un appropriato sviluppo cognitivo.

Il metodo bilingue, infine, si basa sull’esposizione del bambino sordo sia alla lingua italiana che alla LIS. In questo caso specifico, passando queste due lingue per due canali dissimili (uditivo-verbale una e visivo-gestuale l’altra), esse hanno tempi di acquisizione distinti e si parla perciò di bilinguismo successivo. Si può guardare alla LIS, padroneggiata dal piccolo con tempistiche più brevi, come utile supporto all’acquisizione della lingua parlata.

Il grande merito di questo modus operandi è l’impiego del canale comunicativo integro del bambino, che gli assicura un normale sviluppo intellettivo. Una riflessione poco più attenta su questo punto ci permette di mettere in evidenza come questo metodo potrebbe far sì che questi bambini si sentano, a ragione, più “speciali” che “diversi”.

L’apprendimento della lingua italiana garantirebbe loro quasi “la normalità”, favorendo la loro socializzazione ed “accorciando” le distanze con l’altro udente. Ma, d’altro canto, la padronanza di una lingua altra, che affonda le proprie radici in quelle che sono le loro risorse, che sia solo “loro”, che dia a questi piccoli una marcia in più, un “superpotere”, un tesoro di non poco valore, non pensate anche voi che possa essere di beneficio?

Ma perché ho palato sia di udito che di sviluppo cognitivo? Perché le connessioni tra questi due elementi sono molteplici. In primis, il primo consente di imparare a scuola, così come a casa, a comprendere l’altro e le sue comunicazioni. Ne segue che se il bambino, indipendentemente dal metodo educativo prescelto, una volta appresa la lingua italiana riuscirà ad acquisire sempre più contenuti, siano essi di matematica o storia o geografia [..] o relativi al “fare” giornaliero.

In secondo luogo l’udito consente di avere accesso, anche assorbendole passivamente, a tutta una serie di informazioni che quotidianamente contribuiscono ad arricchirsi sul versante intellettivo. E se l’udito manca, inutile a dirsi che l’acquisizione inconsapevole salta, e dunque molte di quelle informazioni che un udente apprende anche senza volerlo/chiederlo, al sordo non sono “concesse” ed il suo sviluppo intellettivo può risultarne penalizzato.

Ciò non significa che questi soggetti presentino ritardo ma semplicemente il loro bagaglio di conoscenze potrebbe apparire lacunoso, non tanto fitto e variegato quando quello di un udente. E, soprattutto, molto legato alla fattualità, al concreto.

Talvolta non faranno mai proprie le sfumature di due o più sinonimi, così come magari riusciranno a cogliere giusto a grandi linee cosa si intenda per concetti quali Dio, istituzione o legge. In molti casi potrebbero far fatica anche a comprendere il senso dietro la tanta burocrazia del quotidiano. E no, tali “mancanze” non vengono compensate con l’età o con l’esperienza, e sì, potrebbero portare il non udente a non capire tante sfaccettature della sua vita o di quella di coloro che lo circondano.

Questi, dal canto loro, potranno essergli utili adottando quanta più chiarezza possibile ogni qualvolta ne avranno occasione, cercando di non ingigantire il fantasma della diversità che sicuramente aleggerà intorno al sordo da una vita. Facendoli osservare, facendoli fare, tenendo sempre a mente le risorse al di là dei loro limiti. Tenendo presente che ogni dar loro cela un fortunato arricchirsi.

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