La società permissiva

Ragazza “buona” o ragazza “cattiva”?

Tempo addietro scoppiò un vero putiferio che attivò gran parte del popolo social. L’epicentro di tutto ebbe sede a Milano, dove vennero esposti in foto al grande pubblico i seni e le natiche messe in mostra da alcune studentesse universitarie (e anche qualche pettorale maschile).

Quello che era partito come un gioco si è poi trasformato in un caso nazionale che ha acceso una feroce disputa. Da una parte c’era chi accusava le studentesse di aver denigrato se stesse, la figura della donna e l’immagine degli studenti milanesi, oltre che delle università di appartenenza, e di aver fatto tutto ciò con lo scopo di mettersi in mostra; dall’altra c’era chi riteneva che mostrare le proprie graziosità fosse semplice libertà di espressione, un gioco senza pretese che nulla poteva nuocere alla figura della donna.

Premetto che sono sostenitore della seconda tesi e che in linea di massima penso che si sia trattato di un gesto fatto per semplice divertimento, magari con un pizzico di esibizionismo, ma pur sempre per divertimento. Dico questo in quanto aderisco all’idea che sciogliere i veli ci regali un profondo senso di soddisfazione e gioia.

I toni parecchio spinti di alcune conversazioni (cagna, troia e zoccola sono parole che hanno risuonato parecchio in questi giorni) ritengo ci aiutino a riflettere su alcune questioni molto importanti.

In primo luogo il giudizio dilagante appare espressione di una visione eccessivamente stereotipata della donna, la quale viene divisa in due macrocategorie: la brava ragazza, pudica o comunque morigerata e responsabile che non spreca il suo tempo e i soldi della famiglia, e la “libertina” (per non ripetere le espressioni già sopra citate), la quale invece camuffa il proprio esibizionismo e i propri “bassi” istinti dietro il nome dell’emancipazione, rivelandosi quindi una persona “poco seria”.

A parte l’assoluta inconsistenza di questa suddivisione, frutto di un mix di processi cognitivi di categorizzazione atti a semplificare la realtà e di impreparate credenze, pare comunque che una donna possa essere definita emancipata e “degna” solo ed esclusivamente a patto di rientrare in determinati canoni prefissati di comportamento: deve essere composta, morigerata, fedele e laboriosa.

Ma è libera una persona che può muoversi solo in una ristretta cerchia di qualità?

Le stesse donne si accusarono a vicenda di comportamento indecente, autoproclamandosi portatrici di quella che ritenevano essere la vera rappresentazione della femminilità; ma siamo sicuri che l’essere donna possa venire ridotto a un ideale intriso di preconcetti? Ciò significa probabilmente che ancora una vera emancipazione non è avvenuta.

Il punto, infatti, non è tanto essere pro o contro un gesto simile, ma il fatto che davanti alla dignità che ognuno possiede e che continuerà a possedere, anche dopo aver commesso svariati “errori” (se mai di errore si possa parlare), si è ceduto facilmente il passo ad un feroce giudizio che questa dignità l’ha calpestata.

C’è una sottile differenza tra il non desiderare di esporre le proprie intimità e il credere che chi lo faccia sia una/un poco di buono. Dietro questo tremendo (pre)giudizio c’è un retaggio umano antico che ci vuole tutti conformi e sessualmente repressi.

Perché? Perché se siamo tutti uguali nessuno soffre in quanto è tutto prevedibile, mentre l’eros è fondamentalmente anarchico e non si sottomette alle regole, e ciò spesso ci spaventa.

La reazione tipica a questa forte spinta sessuale è il tentativo di tenerla a bada, di creare rapporti e regole stringenti che di fatto la soffocano. Ma questo è un altro discorso che andrebbe approfondito meglio.

Il punto è che dietro ogni giudizio discriminatorio si cela una paura terribile di soffrire. A tal proposito mi è capitato di leggere un commento di un ragazzo che accusava il genere femminile di essere infedele. Con l’andare avanti della discussione si era palesata in lui una forte pena legata ad una precedente esperienza di tradimento.

Ecco, chi biasima le donne di essere “sbagliate” e le incita a perseguire “la retta via” è spesso mosso dalla sensazione di essere incapace di gestirle. Ma le donne vanno gestite?

Forse la verità è che c’è una parte fragile di sé che vorrebbe trovare un punto d’incontro con questa figura (nel caso di questo ragazzo vi era in lui il desiderio di instaurare un rapporto con una compagna che lo apprezzasse), ma che per tanti motivi non ci riesce come vorrebbe.

Le donne che accusano altre donne di essere delle sconsiderate forse non hanno ancora ben familiarizzato con quella parte di loro stesse che si eccita ad essere sconsiderata, volgare e, qui sento di poterlo dire, troia.

Esiste in ogni donna, e in ogni uomo, il desiderio di liberare le proprie parti pudende, metterle in mostra e ricevere apprezzamenti per queste. E non c’è nulla di sbagliato, semplicemente c’è! Qualcuno poi suggerisce che è proprio il fatto di tenerle costrette queste qualità che si alimenta il desiderio di esprimerle.

Ma ci sono anche donne timorose di venir giudicate se altre donne si denudano, accusandole di conseguenza di fare un danno non ristretto a loro stesse ma all’intero universo femminile. Sembra però che il problema in questo caso non sia il gesto, ma il fatto che queste ragazze condividano lo stesso pregiudizio e aderiscano allo stesso ideale di donna che è la causa delle loro paure.

Bisogna però ammettere, che dietro a tutta questa attivazione c’è una critica che ritengo assolutamente condivisibile, nonostante però sia stata rivolta sull’obiettivo errato, che è diretta contro l’uso del corpo femminile usato come oggetto da affiancare alla promozione di beni e servizi.

Infatti, come molti di noi già sanno, tale modalità così diffusa di adoperare la donna rafforza una visione di essa come oggetto depersonalizzato e mero strumento per raggiungere il piacere sessuale, oltre a condurre all’esasperazione i canoni di bellezza che divengono irreali e irraggiungibili (persino dalle stesse modelle in posa).

Tutto questo per dire cosa? Che a mio parere viviamo in una società in evoluzione, ma che sta perseguendo un percorso verso una libertà solo apparente. Siamo sempre più permissivi, ma la permissività non ha nulla a che fare con il raggiungimento delle libertà individuali.

Semplicemente stiamo piano piano allargando il campo delle concessioni, ma la libertà, quella vera, non nasce da delle licenze giuridiche o sociali, bensì da un profondo lavoro di consapevolezza personale, attraverso il quale semplicemente ci si sofferma ad osservare, si discerne ma non si discrimina.

In sostanza stiamo solo cambiando il nostro giudizio sulle cose e sui valori, ovvero cambiamo i contenuti ma il giudizio discriminatorio rimane. Per questo ho sentito spesso dire: “liberi tutti di fare come vogliono, però secondo me è da deficienti”.

Non mi sembra vi sia una reale apertura in queste parole, non c’è emancipazione, c’è solo un compromesso, ed ecco che più diventiamo permissivi e più sorge la necessità di fare compromessi, parola che in questo contesto io considero negativa, perché fare compromessi può anche comportare l’illusione di aver valicato i pregiudizi, i quali in realtà permangono ma in forma più sottile, cognitivamente più accettabile, ma non elaborata emotivamente. Prendendo d’esempio quanto detto sopra: la donna è libera di esprimersi sessualmente a patto che sia fedele, socialmente pudica e morigerata.

E adesso cosa provate?

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