Sempre più spesso si sente parlare di Alzheimer, demenza, perdita delle funzioni cognitive ma cosa c’è dietro tutto questo? Chi sono le persone che ne soffrono?

Un’anziana signora, gran lavoratrice e fantastica nonna, un giorno dimentica la strada di casa ma poco importa, l’età c’è e i figli non se ne preoccupano; poi accade che dimentica di prendere le pasticche per la pressione ma dice di essere stata presa da altre cose da fare e proprio non se l’è ricordato; e così via nei giorni seguenti altre dimenticanze e disattenzioni insospettiscono i figli che decidono di portare la madre prima dal medico di famiglia e poi da un neurologo.

Dapprima raccontano gli accaduti, con un misto d’ironia, quasi per minimizzare il problema, grande, che si nasconde dietro.

Il medico parla, fa congetture, guarda i risultati dei test che ha sottoposto alla signora ma loro sono lì, interdetti; lui dice qualcosa in merito a demenza d’Alzheimer e loro proprio non sanno da dove partire, di cosa si tratti. Segue la fase della ricerca, siti internet soprattutto, per cercare di districarsi tra le mille informazioni. Quando si realizza finalmente e brutalmente con cosa si ha a che fare la prima domanda è “perché proprio a lei, perché proprio a noi”?

È vero, come accettare una simile malattia per il proprio caro? Una malattia che nei mesi ed anni successivi può arrivare a portare via ciò che uno ha di più caro, i suoi ricordi, reminescenze di un’intera vita spazzate via nel giro di poco tempo.

Si inizia così, piccole e ininfluenti dimenticanze, come è successo a mia nonna ormai due anni fa,  ad esempio mettere il pacco di farina nella lavastoviglie o incolpare i ladri di aver rubato i piatti (che in realtà erano semplicemente nella credenza, dove erano sempre stati).

Poi arriva la fase delle dimenticanze con la D maiuscola, quelle per cui è lecito preoccuparsi e cominciare a porsi delle domande: scordare le medicine, lasciare la pentola sul fuoco, dimenticare perfino i nomi dei figli, dei nipoti o ancora, uscire di casa convinti di andare a trovare la propria mamma, come se fosse ancora viva, là ad aspettarla per abbracciarla. (Nel prossimo articolo Ritorno al passato – Voglio andare a casa mia…parleremo proprio di questo, di un passato che torna vivo nel presente).

Com’è possibile accettare tutto questo per un familiare o per l’anziano stesso?

Non tutte le famiglie sono in grado di accettare una scoperta simile e soprattutto di reggere un tale fardello che può durare anni; sono numerose infatti le famiglie che si sgretolano sotto un tale peso, che non riescono a gestire la situazione, fino a sviluppare sentimenti di rancore negli altri familiari e persino nei confronti del proprio familiare malato.

È sempre però possibile una via d’uscita, un modo per tornare a sorridere.

Fondamentale è innanzitutto non interrompere le reti di amicizie perché sono proprio gli amici che doneranno forza ed energie.

Avere un malato d’Alzheimer in casa porta con sé tanta paura per il giudizio altrui e si tenta spesso di nascondersi in casa, non parlarne. Il detto più influente per un italiano è di “lavarsi i panni sporchi in casa”, non raccontare agli altri cosa ci sta succedendo e far finta che vada tutto bene.

Bisogna avere il coraggio di uscire allo scoperto perché mai si potrà conoscere fino in fondo cos’hanno da regalarci gli altri. Un’esperienza simile, un consiglio, un abbraccio, una parola di conforto.

I caregivers (coloro che si prendono cura di un malato d’Alzheimer) rischiano quello che gli inglesi definiscono Caregiver Burden, un carico assistenziale definito da molti come un peso, un fardello, qualcosa da cui poter con facilità essere schiacciati. (“Caregiver Burden: Verso una definizione del termine”)

L’obiettivo è riuscire a risollevarsi da quel carico così pesante; l’unico modo è chiedere aiuto: ad amici, parenti, ad uno psicologo che possa accompagnare la persona in questo difficile percorso.

L’Alzheimer è qualcosa che nessuno si augura e a cui nessuno pensa ma quando arriva travolge tutto in un batter d’occhio, facendoci perdere l’equilibrio. Le fondamenta su cui ci poggiamo devono essere ben salde e se così non fosse andranno pian piano ricostruite.

Eh si le fondamenta sono importanti e quelle dell’anziano sono le prime a sgretolarsi; mettiamoci per un momento nei panni della signora descritta all’inizio dell’articolo, o di vostro nonno, vostra madre, la vostra vicina di casa, pensiamo per un attimo a cosa si prova nel dimenticare il nome del proprio figlio o a voler andare a trovare la propria mamma e poi un secondo dopo realizzare che è deceduta da tanto tempo.

La paura di perdere tutta una vita può essere devastante; è inimmaginabile il dolore provato da queste persone che dall’inizio e, per lungo tempo, continuano ad avere momenti di lucidità, realizzando che tutto sta andando perduto, che la loro anima si sta sbriciolando a causa di una malattia subdola e devastante.

Bibliografia e sitografia

Carrara, L. P. (2011) Il Caregiver familiare e il Burden. Retrived Novembre 18, 2011, from http: //www.medicitalia.it/laurpedrinellicarrara.

Izzicupo, F., Chattat, R., Gainotti, S., Carbone, G., di Fiandra, T.,Galeotti, F., et al. (2009) Alzheimer: conoscere la malattia per saperla affrontare . Roma: Il Pensiero Scientifico Editore.

Laicardi, C. & Pezzuti, L., (2000) Psicologia dell’invecchiamento e della longevità. Bologna: Il Mulino.

Atchley, R. C. (1989) A continuity theory of normal aging. The Gerontologist, 29, 183-90. Retrived 1989, from http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2519525.

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Ilaria Giardini
Sono la Dott.ssa Ilaria Giardini, nata a Cattolica e cresciuta a Pesaro; laureata in Psicologia presso l’Università degli studi di Urbino. Sono psicologa, abilitata all’esercizio della professione e iscritta all’Ordine degli Psicologi delle Marche (n° 2675). Durante la specializzazione in Psicologia Clinica mi sono sempre più interessata all’approfondimento della Psicogeriatria, campo in cui lavoro tutt’ora, facendo parte dell’equipe del Centro Diurno Margherita di Fano (specializzato nelle demenze in particolar modo di tipo Alzheimer) e in cui mi sto ulteriormente perfezionando; ho ottenuto da poco la certificazione come Operatore Validation e ho partecipato al Premio Gentlecare Sicurhouse, “Studi sull’applicazione del metodo Gentlecare in ambito geriatrico. L’attualità del modello”, vincendo nel dicembre 2016 il primo premio con un elaborato dal titolo “Giorno dopo giorno dobbiamo vivere; se possibile bene”. Fa da cornice un mio sempre maggiore interesse verso l’area del benessere psicologico, al fine di promuovere e gestire le risorse personali di ogni individuo. Contatti: giardini.ilaria@libero.it

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