Prima Parte

Medico e psicologo insieme per l’assistenza di base: come è possibile?

Il progetto European study of epidemiology of mental disorders (Esemed), condotto su un campione di oltre 21.000 cittadini europei, ha fornito risultati interessanti riguardo la valutazione della prevalenza e dell’impatto dei disturbi mentali e l’utilizzo dei servizi per il loro trattamento:

in Italia il 7,3 % dei soggetti intervistati afferma di aver sofferto di almeno un disturbo mentale nell’ultimo anno, mentre il 18,6 % afferma di aver sofferto di almeno un disturbo mentale nella vita. La percentuale di coloro che si sono rivolti almeno una volta nella vita ad un servizio sanitario per un problema psicologico è invece soltanto di circa il 3 % dell’intero campione studiato.

Considerando la divisione per fasce d’età, il minor contatto con i servizi psicologici si è osservato tra i 18 e i 24 anni, ovvero in una delle fasi evolutive più delicate e in cui si manifestano per la prima volta la maggior parte dei disturbi mentali.

Una possibile risposta a questi problemi è stata fornita dal progetto sperimentale del Prof. Luigi Solano (2000), con l’inserimento di uno psicologo nello studio del medico di medicina generale, nello stesso orario di ambulatorio, in copresenza con il medico.

Sono state proposte anche altre collocazioni, come le farmacie o lo studio privato dello psicologo, le quali però avrebbero lo svantaggio di scaricare tutta la responsabilità della decisione di farsi prendere in carico sulla stessa persona bisognosa. Ciò significa dare per scontato che essa sia in grado di riconoscere l’utilità di intraprendere un percorso psicologico, ma anche di saper superare lo stigma sociale che ne deriva (d’esempio è la diffusa credenza che “se sei forte ce la puoi fare da solo e non hai bisogno di andare dallo psicologo”).

Il rischio è quindi quello che l’assistenza sanitaria di base rimanga poco utilizzata e, soprattutto, non utilizzata da chi ne avrebbe più bisogno (Solano, 2011).

“Se una persona si trova di fronte uno psicologo, è pronta a parlargli di tutto. Se gli diciamo che deve attraversare la strada per incontrarlo, difficilmente lo farà” (Pennebaker, 1996).

Gli scopi generali del progetto, in breve, sono:

  • garantire un accesso diretto ad uno psicologo a tutta la popolazione;
  • offrire un ascolto che prenda in esame, oltre alla condizione biologica, anche la situazione relazionale, intrapsichica, di ciclo di vita del paziente;
  • in casi molto limitati e specifici, effettuare eventualmente in maniera adeguata degli invii a specialisti della salute mentale (psichiatri, psicoterapeuti ecc.);
  • favorire un’integrazione di competenze tra medicina e psicologia, con arricchimento culturale di entrambe le figure professionali;
  • riduzione della spesa sanitaria.

La prima vera concretizzazione dell’iniziativa risale al 2000 e nel corso degli anni ha riscosso un sempre maggiore interesse, grazie anche agli importanti dati ricavati dalla sperimentazione condotta su 11 studi di medicina generale, dimostrazione della fattibilità del progetto.

Vantaggi e punti di forza della sperimentazione

Molti pazienti hanno espresso gratitudine e soddisfazione per l’iniziativa. Per pochissimi pazienti (4 l’anno in media) si è ritenuto necessario organizzare incontri separati con lo psicologo, testimonianza di come la maggior parte del lavoro si sia svolto congiuntamente.

Inoltre, il numero bassissimo di invii a strutture specialistiche, di secondo livello, nell’ambito della salute mentale (cioè al paziente viene consigliato di seguire un percorso psicoterapeutico o psichiatrico), dimostra come l’intervento adottato sia ben lontano dallo “psichiatrizzare” o “psicologizzare” la popolazione ed abbia, invece, contribuito ad evitare che il disagio si trasformasse in patologia psichiatrica.

Affinché le coppie medici-psicologi arrivassero a funzionare come un vero team interdisciplinare, sono stati necessari all’incirca tre anni.

Il dato più “concreto” che è stato possibile ottenere nella sperimentazione nel triennio 2008-2010, è stata la documentazione di una riduzione delle prescrizioni di farmaci nei due studi, che in un caso è stata del 17 % (75.000 euro in un anno), nell’altro del 14 % (55.000 euro in un anno). Lascio immaginare la mole del risparmio che si potrebbe ottenere a seguito di una diffusione dell’iniziativa sul piano nazionale, ricordando che la riduzione di spesa riportata si è ottenuta con una presenza settimanale dello psicologo nello studio per un solo turno (3-4 ore).

Rispetto alle modalità di attuazione di una possibile collaborazione retribuita, tutti i partecipanti hanno espresso l’opinione che una frequenza ottimale per la presenza dello psicologo potrebbe essere di due turni settimanali, uno al mattino ed uno al pomeriggio, in modo da incontrare un’utenza diversificata. Una frequenza superiore, infatti, renderebbe l’incontro con lo psicologo praticamente inevitabile. Infatti, un punto di forza del progetto è la libertà di scelta garantita alla persona, la quale, visionando su un cartello fuori dallo studio medico l’organizzazione dei turni settimanali, può scegliere di recarvisi nei giorni che preferisce.

L’esperienza di lavoro in comune, per diversi anni, ha arricchito la competenza delle coppie di professionisti interessati in una misura che appare difficilmente ottenibile in altro modo. È stato così possibile avvicinarsi realmente ad un’applicazione del modello bio-psico-sociale, superando nei fatti la scissione tra “pazienti da medico” e “pazienti da psicologo” (Solano, 2011).

Perché il progetto ha subito un rallentamento e stenta a veder concretizzata la sua attuazione?

La speranza e l’impegno degli ideatori e degli ormai numerosi sostenitori dell’iniziativa, vanno nella direzione di riuscire a trovare un interlocutore politico interessato, in modo da trasformare un lavoro volontario e a termine, facente parte di un processo formativo, in una pratica riconosciuta e retribuita.

Questo darebbe la possibilità di seguire in modo duraturo le problematiche, le storie, le vite delle persone (Coci, 2010) e permetterebbe di avere una quantità sempre più ampia di dati sulle eventuali diminuzioni di spesa sanitaria derivanti dall’inserimento dello psicologo.

Certamente e con l’amaro in bocca, bisogna considerare che la dimostrata riduzione della spesa sanitaria per i farmaci pari al 20 % annuo, del tutto a danno delle case farmaceutiche, potrebbe costituire un ostacolo all’introduzione dello Psicologo di Base nel Sistema Sanitario Nazionale.

In generale, da un’analisi della letteratura sulle ricadute economiche degli interventi psicologici nell’ambito delle cure primarie, è emersa una riduzione delle spese sanitarie tra il 33 ed il 47% (Lazzari, 2011). Scusate se è poco! Resta il fatto, inoltre, di dover fare i conti con i pregiudizi, frutto di fantasia o realtà, che gravano ancora intorno alla figura dello psicologo.

Nel 2010 e nel 2011 sono state presentate in parlamento due proposte di legge che, però, sono entrambe finite nel nulla. Nel 2013 è partita, in tutte le Province Italiane, la sperimentazione del Servizio di Psicologia a Libero Accesso nell’ambito del Programma Nazionale per la Salute Psicologica (PNSP) realizzato su scala Nazionale dalla International Society of Psychology (ISP).

Questa iniziativa nasce dalla cooperazione sperimentale tra i medici di medicina generale e gli psicologi e psicoterapeuti formati sulla Psicologia delle cure primarie, appartenenti alla Rete Nazionale Professionale Psicocenter Italia, coordinata dall’Associazione non-profit International Society of Psychology, presente in tutta Italia. Dà la possibilità a tutti i pazienti afferenti allo studio del medico di base cooperante, di usufruire in forma gratuita di un servizio di psicologia in loco.

Chissà che non ci si stia avvicinando sempre più all’istituzione dello Psicologo di base. Io voglio crederci.

 

Bibliografia

  • Sodano (2011), Dal Sintomo alla Persona, Franco Angeli, Milano
  • Balint (1957), Medico, paziente e malattia, Giovanni Fioriti Editore, Roma
  • Psicologo di base, www.piscologodibase.org
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Josephine Zammarrelli
Mi presento...sono la Dott.ssa Josephine Zammarrelli, laureanda in Psicologia Clinica presso l’Università degli studi di Padova, dove ho svolto un tirocinio accademico con finalità di Ricerca scientifica nell’ambito dell’Invecchiamento. Nel 2019 ho completato uno stage teorico-esperienziale, della durata di un anno, presso la De Leo Fund Onlus di Padova, dove tuttora collaboro come operatrice attraverso servizi di supporto al lutto traumatico e come Executive Administrative Assistant. Da giugno 2020 sono iscritta al Corso di Project Management presso l’Istituto Italiano di Project Management (ISIPM) con sede a Padova. Di recente ho collaborato ad un lavoro di ricerca scientifica sul tema della comunicazione di morte traumatica, intitolato: “Notification of Unexpected, Violent and Traumatic Death: A Systematic Review” e pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology. In contemporanea al percorso formativo, coltivo da alcuni anni l’interesse per la comunicazione attraverso diverse forme d’arte (in particolare, la danza e la pittura ad olio). La comunicazione è vita e “Cultura Emotiva” rappresenta per me un’ulteriore occasione per conciliare questa mia personale esigenza con l’amore per il complesso ed affascinante mondo della psicologia. Contatti: jzammarrelli@virgilio.it

2 COMMENTI

  1. Da Psicologo credo fermamente cheì si tratti di una battaglia politica e culturale da sostenere con forza, sia individualmente in quanto professionisti, sia da sostenere attraverso l’ordine professionale per diversi ordini di ragioni fondamentali. Innanzitutto per il riflesso forte che l’istituzione di una figura professionale come quella dello psicologo di base può avere sulla salute pubblica, e sulla efficienza del servizio nazionale sanitario, decongestionando i medici di base da un sovrannumero di pazienti le cui problematiche “somatiche” appartengono in realtà più propriamente a caratteristiche di tipo psicologico, e faccio presente che sono pazienti in genere non trattati per la specificità della loro problematica che continuano nel tempo a fare una serie di accessi negli ambulatori medici e nei pronto sosccorsi. In secondo luogo renderebbe meno stigmatizzante e più “normale” il ricorso al supporto psicologico per una fascia di utenza che ancora vede lo psicologo come colui che cura i “matti”. Non da ultimo sarebbe un grande propulsore per il riconoscimento di una professionalità ancora spesso bistrattata e non riconosciuta per il suo valore terapeutico.

    • Salve! La ringraziamo per averci scritto e per il forte sostegno manifestato rispetto la tematica. Da parte nostra, non può che essere condivisibile quanto da lei affermato. È una vera battaglia si, da difendere con forza! È un pò questo il messaggio, in effetti, che l’articolo vuole lanciare.

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