L’etnopsichiatria non è lo studio comparativo delle malattie mentali nelle diverse società e culture. È il modo in cui società e culture si difendono contro la follia, riducono o penetrano la distanza tra il folle e il non folle. L’etnopsichiatria diventa ad una stesso tempo un modo di comprensione dei malati mentali e una pratica per guarire i malati, comprensione e pratica proprie di ciascuna cultura o società.
(Collomb, cit. in Boussat, 2002, p. 419)

È sempre più centrale in Italia il tema dell’immigrazione, specie nei dibattiti politici ed economici; sono ancora pochi tuttavia gli studi volti ad indagare gli aspetti socio-psicologici legati a questo fenomeno.

I media non perdono tempo quando si tratta di allarmare la popolazione su sospetti o reali rischi in tema di malattie infettive, lo è stato per l’emergenza Ebola qualche tempo fa e più recentemente per la Scabbia; quando si tratta però di malattia mentale tutto sembra tacere.

Ebbene si, la maggior parte dei migranti che arrivano nel nostro Paese (o in Europa se vogliamo guardare al fenomeno per intero) si trovano in una buona o perfetta condizione di salute fisica ma le ferite che molti di loro riportano sono ferite ben più profonde e spesso invisibili, legate al loro vissuto prima e durante il viaggio che li ha condotti fino a noi.

Come psicologa mi sono chiesta più volte come fare ad arrivare a loro e soprattutto cosa fare se sono loro a venire da me! Lo scoglio più grande è indubbiamente la lingua, non solo per me che con l’inglese, tentenno è dire poco ma per tutte quelle sfumature di lessico, di modi di dire per cui forse solo i linguisti sarebbero facilitati o anche i mediatori culturali che, come vedremo nel secondo articolo, sono proprio loro spesso ad avere un ruolo chiave nel processo d’integrazione.

Oltre alla lingua vi sono tanti altri aspetti che possono causare malintesi e un divario ancora più grande, basti pensare al tema della scuola, del rapporto coniugale o ancora, a quello religioso.

Stiamo entrando pertanto in un territorio ancora per certi versi inesplorato ed è importante che prima di addentrarci nel vivo di quelli che sono i vissuti, le emozioni, le spinte motivazionali e le perdite subite da queste persone, ci affacciamo a quella che è la storia dell’etnopsichiatria; da dove e come si è partiti e dove ora si è arrivati, o meglio dove si dovrebbe arrivare.

L’etnopsichiatria (da ethnós = nazione, popolo; psyché = anima; iatréia =cura, guarigione) è quel ramo della psichiatria che studia le influenze delle diverse culture sulle malattie mentali, attraverso l’analisi comparata delle caratteristiche etniche e socioculturali dei vari popoli. Si prefigge come scopo quello di classificare i disturbi e le sindromi psichiatriche tenendo conto quindi sia dello specifico contesto culturale in cui si manifestano, sia del gruppo etnico di appartenenza del singolo paziente.

A livello storico possiamo affermare che già dal 1800 iniziarono i primi studi in cui venivano analizzati i rapporti tra culture, viaggi e malattia mentale, ma è nel secondo dopoguerra che nasce ed inizia a delinearsi l’etnopsichiatria; una disciplina a cavallo tra la medicina e l’antropologia, tra le malattie mentali e il contesto storico-sociale.

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