Morelli ha fatto scalpore, ma le basi teoriche e cliniche su cui poggia il suo dicorso hanno il loro spessore.

Link all’articolo sulle critiche a Morelli.

Premessa… il video de Le Iene è stato realizzato con uno stile di montaggio particolarmente ansiogeno: la voce accelerata, i continui tagli a scatto e il sonoro di sottofondo angosciante mi hanno suscitato parecchia confusione e ansia rispetto ai contenuti esposti dal Dott. Morelli.

Ho avuto la percezione che solo i concetti più scabrosi mi stessero rimanendo in mente e sentivo di non aver avuto il tempo per riflettere, visto appunto l’eloquio molto accelerato e gli incalzanti tagli di scena.

Tutto questo penso possa aver contribuito a generare nelle persone uno stato di profonda avversione sulla figura dello psichiatra, cosa che ha poi inficiato il contenuto effettivo del messaggio che egli ritengo intendesse trasmettere.

Il discorso che ha fatto più scalpore è sicuramente stato quello inerente la dicotomia donna santa – donna prostituta. Molti, uomini e donne, hanno interpretato in modo offensivo queste parole che, in realtà, si rifanno a concetti fondanti della psicologia analitica di Jung e Hillman.

In particolar modo, tutta la base teorica e tecnica su cui si fonda la terapia di Hillman fa riferimento all’esistenza in ognuno di noi di aspetti polarizzati: io non sono solo bello buono e bravo, ma dentro di me abitano anche dimensioni opposte fatte di bruttezza, avidità, aggressività, codardia e meschinità.

Anche l’essere prostituta è una dimensione esistente in chiunque di noi, uomini e donne che siano. Come aveva già spiegato Morelli, si tratta di quella componente della nostra personalità che ricerca dei vantaggi personali attraverso l’utilizzo della nostra corporeità sessuale… ma non solo.

Quando il dottore ribadiva la necessità di prendersi cura di quella prostituta che abita in noi, anche in questo caso, rimandava a quel modo di agire terapeutico che Hillman riteneva essere la strada verso il raggiungimento dello stato di salute: non cercando di reprimere una polarità in favore dell’altra, come quasi sempre accade, ma facendo interagire tra loro le nostre contraddizioni.

Difatti, nella pratica clinica è facile notare come molte donne e uomini che soffrono di attacchi di panico, siano spaventatissimi anche solo all’idea di avere un qualche lato “negativo” (del tipo: non voglio che pensino che sono una puttana) o di commettere qualcosa di “sbagliato” (come provare attrazione per qualcuno).

In questo senso, la “santa” che Morelli definisce patologica non è la persona che si sottrae alle avance di un manipolatore, ma colei che cerca di adeguarsi, in contesti di vita quotidiana, ad un’ideale di purezza che non le appartiene, negando a se stessa la possibilità di entrare in contatto con quella parte di sé che giudica sporca, ma che rimane comunque una componente della propria personalità con la quale sarebbe bene, invece, imparare a convivere, perché non c’è nulla di sbagliato nel portare avanti le proprie contraddizioni.

Ci sarebbe tanto altro da dire a proposito, ma passo rapidamente ad un’altra questione: denunciare l’abuso o tenere per sé l’aver accondisceso? Per rispondere pongo un’altra domanda: Ci sono delle differenze tra donne che si prestano all’atto?

È molto probabile che molte di coloro che si sono sentite costrette a cedere ai ricatti fossero molto fragili e abbiano percepito la loro condizione come senza via d’uscita: da un lato fare del sesso in cambio di un’opportunità, magari dopo tanti tentativi mai andati in porto; dall’altro la certezza di un ennesimo fallimento.

È però anche possibile che altre, invece, abbiano “cavalcato l’onda”, per cui parliamo di un profilo di donna in realtà molto propensa a usare sé stessa, più o meno consapevolmente, al fine di raggiungere gli scopi che si prefigge, con magari pure quella vena di esibizionismo che citava il Dott. Morelli.

È logico quindi che si tratti di due tipologie di donne diverse, che però di sicuro hanno in comune la tendenza ad avere scarsa cura di se stesse e darsi poca importanza e valore. Se una donna cede ai ricatti e si prostituisce, sta rinunciando alla propria incolumità fisica e psicologica.

Ciò, però, non significa che abbiano sbagliato o che sia sbagliato ciò che hanno fatto. Tutt’al più penso abbiano messo in atto l’unica strategia e le uniche risorse di cui disponevano in quel momento.

Il cadere nella trappola del manipolatore può essere quindi interpretato come l’estremo tentativo di una parte sana di loro stesse, di svelare un elemento ancora non pensato: queste donne hanno bisogno di interfacciarsi con una persona maltrattante per inviare a se stesse il messaggio che si stanno trascurando eccessivamente.

Ritengo inoltre, che una certa dose di fragilità sia presente anche in coloro che si sono manifestate più esibizioniste delle altre; per cui, per rispondere alla domanda in sospeso, denunciare farebbe sicuramente bene a quella componente di sé che è stata, proprio a causa di questa fragilità, tratta in inganno e sfruttata.

C’è però da considerare anche l’altra componente che potrebbe trarre l’occasione per ulteriormente strumentalizzare l’accaduto, invece che riflettere sul perché si è deciso di rinunciare a sé stessi per ottenere dei vantaggi secondari.

Nel dubbio fate entrambe le cose: denunciate e riflettete, chiedete supporto, accogliendo il più possibile tutto, ma proprio tutto di voi stesse.

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