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Il cinema, come ogni espressione culturale, può essere sondato e decifrato in maniera analitica, così come ogni produzione umana.

Specialmente il simbolo iconografico, affondando la propria struttura sui più antichi e originari temi dell’agire umano, si presta perfettamente per una lettura profonda e allegorica.

Il simbolo è, per Jung, il prodotto stesso della libido, ovvero della forza vitale nella sua più pura e semplice espressione. In quanto tale porta con sé un bagaglio si significati che derivano dalla nostra esperienza umana (Jung, 1914).

Only god forgives, opera del cineasta danese Nicolas Winding Refn, indugia volutamente sulla dimensione simbolica, regalandoci una serie di suggestioni estetiche in grado di materializzare in forma artistica istanze profonde della natura umana.

Un’analisi di alcuni degli elementi simbolici propostici dal regista può esserci d’aiuto nella comprensione del tema del complesso edipico nell’accezione junghiana.

Con Jung si passa infatti da una lettura del fenomeno in chiave sessuale, come suggerita da Freud, ad una prospettiva che mira a spiegare come il bambino si “individua”, ovvero si forma come essere autonomo dotato di una propria personalità, staccata dalla madre e diversa dal padre: un processo che viene definito processo di individuazione.

Secondo Erich Neumann (1978), proselite di Jung e uno dei principali sviluppatori del suo pensiero, il complesso edipico trova spazio in un mitologema ben più complesso e fondante lo sviluppo umano: il mito dell’Eroe.

Ogni racconto mitico a tema eroico, per Neumann, può essere ricondotto ad un topos fondamentale, ovvero quello della lotta dell’eroe contro il mostro (il drago) e, nei miti più recenti, contro il volere di un dio iroso e onnipotente, araldo dell’ordine delle cose.

Questo tema, sviscerato da una incredibilmente prolifica letteratura transculturale e di diverse epoche storiche, altro non rappresenta che una grande allegoria di una delle basilari istanze dell’uomo: la lotta della coscienza emergente (dell’Io) contro le forze dell’inconscio.

In sostanza si parla della progressiva presa di coscienza delle proprie azioni che accomuna il bambino, che cresce e matura razionalmente e emotivamente, e l’uomo primitivo, che pian piano evolve il suo pensiero e impara a conoscere e controllare la Natura.

Padre e madre, in quest’ottica, non rappresentano unicamente se stessi, ma recano una serie di valori simbolici che rimandano alle forze archetipiche del paterno e del materno, del maschile e del femminile.

Archetipico è ciò che è universale, che si esprime sottoforma del simbolo e che agisce in noi alla maniera di un istinto vitale, indirizzandoci verso certi tipi di comportamenti che condividiamo con i nostri conspecifici provenienti dalle più disparate matrici socioculturali e storiche.

Archetipica è la lotta del giovane ed eroico Io con gli aspetti materni dell’inconscio, che gli impedirebbero l’emersione puntando sul richiamo verso una dimensione simbiotica dell’esistenza (in immagini, il ritorno nel grembo materno), e con i suoi aspetti paterni, che punirebbero la spavalderia dell’Io attraverso l’imposizione dell’ordine costituto (spesso sostanziato negli atti mutilatori).

È in questa strenua lotta per l’esistenza che l’identità psicologica si fa strada nel mondo, distanziandosi dagli aspetti materni che ci vorrebbero perennemente e sensualmente attaccati ad un sempiterno seno ristoratore, e da quelli paterni, che non accettano l’arroganza spavalda (hybris) dei valori emergenti lanciata contro i valori decrepiti delle generazioni precedenti.

Insomma: il conflitto è letto principalmente come lotta intergenerazionale piuttosto che come morbosa situazione erotica.

Edipo è un eroe mancato: dopo aver battuto il femminile incarnato nella sfinge, egli non riesce a sopportare la coscienza di aver posseduto la madre e ucciso il padre.

I passi commessi da Edipo nel mito sono passi falsi in quanto agiti in mancanza di consapevolezza (egli infatti ignorava l’identità sia del padre che della madre, essendo fin da piccolo abbandonato dalla famiglia).

L’incoscienza dell’atto lo porta allora ad interfacciarsi con una realtà inaccettabile, unico rimedio per la quale è l’automutilazione – Edipo si acceca per non vedere l’onta commessa e, simbolicamente, per annullare la sua coscienza (Neumann, 1978).

Anche Julian è un eroe sconfitto. Ingabbiato nella morsa aracnoide della madre, vive una vita per procura, come fosse un’estensione della madre. In gergo questa posizione del figlio nei confronti della madre viene definita narcisistica, e rimanda ad una condizione fusionale con il materno dal quale il soggetto non ha intenzione di staccarsi.

Una madre come Crystal, algida, fredda e richiedente, è il presupposto perfetto per lo sviluppo di un legame vischiosamente dipendente: il nostro eroe si ritrova così intrappolato dalle grinfie della strega, così come accade in molti altri miti o racconti, come Adone-Tammuz smembrato da Afrodite-Ishtar nell’omonimo mitologema mesopotamico, o come Narciso stesso risucchiato dallo specchio d’acqua nel quale si rifletteva, o come la strega Malefica e la Bella Addormentata.

Allo stesso modo, Julian è sconfitto dal paterno, succube dello strapotere di una giustizia che piove dall’alto come nei racconti veterotestamentari.

È punito dal padre e mutilato come Prometeo viene punito dagli dei per la sua insolenza e perennemente straziato dal vorace becco di un’aquila montana, come Osiride viene punito ed evirato dal fratello Seth, come Adamo viene punito e mutilato della sua sicurezza dal Padre Onnipotente.

Ecco brevemente delineate le due situazione archetipiche alla base del mito e del complesso.

Nel film l’elemento simbolico che sta per la coscienza è la mano. Gli occhi, le mani, i piedi e il fallo, come propaggini fisiche del nostro essere nel mondo, sono simboli atavici dell’assertività della coscienza, che si palesa nella Natura come apportatrice di ordine.

Non hanno un significato esclusivamente sessuale (come per Freud) ma rimandano alla dimensione libidica in genere, ovvero allo slancio vitale (Bergson, 1961). Il regista indugia spesso sulle inquadrature delle mani e dei pugni chiusi di Julian, che spesso si ritrova a contemplare come in un atto di meditazione sulla propria energia creatrice (o distruttrice) potenziale.)

Un’energia questa che si ingorga e non trova una corretta espressione, portando il nostro eroe ad una totale disfatta. La curiosa mano egoica di Julian tenta un disperato ritorno nel grembo materno in una disturbante scena: Crystal, uccisa e squartata dal temibile Chang si trova seduta immobile e rigida. Julian lentamente si fa vicino, si china e affonda la mano aperta e dritta nel ventre divelto della madre.

La strega è morta ma il nostro Edipo tenta un’ultima volta, disperatamente, di farvi ritorno, di possederla, di farsi inglobare. Questo decisivo atto di empietà non può rimanere impunito, e di nuovo le mani sono le protagoniste: i pugni protesi in avanti che, con rapido e netto taglio, vengono mozzati dall’affilata lama di Chang, che ristabilisce l’ordine delle cose punendo l’eroe per l’insolenza e per il delitto incestuoso.

Molti sarebbero ancora gli spunti di riflessione offerti dal film, ma ai fini della nostra trattazione mi sono soffermato su questi nello specifico. Questo nell’idea di porre l’attenzione sugli elementi simbolici caratterizzanti il mito in grado di ampliare la nostra visione sulla situazione edipica.

Nel contesto dell’ermeneutica junghiana, infatti, questo sottile intreccio, che assume le dinamiche del racconto, esce dai confini personali proiettandosi su una dimensione molto più vasta, in cui padre e madre perdono il loro ruolo specifico e la loro identità sessuale ma rimandano ad elementi del maschile e del femminile molto più ampi, che secondo la dottrina junghiana fanno parte in egual misura sia della psiche maschile che di quella femminile.

Questa attenzione posta da Jung e dalla sua scuola sugli elementi profondi che sottendono i ruoli familiari è oggi più che mai decisiva nel contesto dell’analisi delle nuove forme della famiglia, da quella monoparentale a quella omogenitoriale a quella allargata.

Ricondurre lo sviluppo fisiologico individuale ad un’infatuazione e alla lotta per il possesso dell’amante sarebbe in quest’ottica un po’ troppo superficiale, cogliendo l’eccezione e non la regola: risulta allora decisivo allargare il tiro della nostra indagine, considerando gli aspetti profondi che realmente condizionano il nostro essere umani e il nostro percorso di venuta al mondo.

L’opera Only god forgives ci fornisce un buon supporto simbolico per cogliere alcuni di questi difficili concetti in maniera intuitiva. Ne consiglio allora la visione qualora si volesse cogliere queste mie suggestioni.

 

BIBLIOGRAFIA

Jung, C. G. “Trasformazioni e simboli della libido.” (1912).

Freud, Sigmund. Totem e tabu. Edizioni Mondadori, 2014.

Erich, Neumann. “Storia delle origini della coscienza.” Astrolabio (1978).

Target, Mary, and Peter Fonagy. “Playing with reality II.” The International journal of psycho-analysis 77.3 (1996): 459.

Bergson, Henri. L’evoluzione creatrice. Bur, 2012.

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