“Molte persone sognano di avere amore, sesso e amicizie in abbondanza. Alcune credono che una vita così sia impossibile e si accontentano di meno di quello che vogliono, sentendosi sempre un po’ soli e un po’ frustrati. […] Pochi, penso, persistono e scoprono che essere aperti amorosamente, intimamente e sessualmente con molte persone non è solo possibile, ma può essere più gratificante di quanto avessero mai immaginato.”                                                                      (Dossie Easton & Janet W. Hardy – The Ethical Slut)

Viviamo le nostre relazioni cercando costantemente di frenare i nostri desideri e istinti e sembra che quando ne instauriamo una, più che dare spazio all’amore e alla gioia che conteniamo in noi stessi, cerchiamo di tenerle sotto controllo.

Firmiamo una sorta di contratto implicito pieno di clausole e divieti che di fatto troncano la libertà di espressione in favore della sicurezza, e ciò fa sì che molte delle relazioni che viviamo siano caratterizzate, al contrario, da una forte insicurezza.

Anzi, a volte le costruiamo proprio perché vorremmo che qualcuno ci rassicuri, che si occupi delle nostre fragilità e ci allontani da quel senso di insoddisfazione e timore della solitudine che tanto ci affligge.

In questa prospettiva però la relazione non si crea da un incontro tra due esseri pieni di amorevolezza, ma tra due persone che cercano di colmare un vuoto che non sanno come riempire.

Come afferma Osho: “quando non hai amore, chiedi all’altro di dartelo; sei un mendicante. E l’altro chiede a te di darglielo. Ebbene, due mendicanti che tendono le mani l’uno di fronte all’altro, ed entrambi sperano che l’altro abbia l’amore”.

<Non posso sono fidanzato>. Culturalmente associamo dei valori elevati all’abnegazione, ma una frase del genere però, lungi dall’essere un gesto di responsabilità e maturità, evidenzia più un desiderio represso che una reale volontà. Non leggo soddisfazione e amore in parole simili ma l’esatto contrario.

La domanda quindi è: cosa voglio veramente? Se effettivamente non si avverte il bisogno di esprimersi amorosamente e/o sessualmente nei confronti di qualcun altro, va bene, ma se invece abbiamo instaurato un rapporto soddisfacente con il/la nostro/a partner e però allo stesso tempo c’è qualcosa in noi che ci spinge ad approcciarci con altri individui, perché non considerare quest’ultima parte? Perché non parlarne? Perché non accettare che ciò possa accadere?

Non sarebbe un’ottima occasione per conoscere un po’ meglio noi stessi e dare la possibilità a chi ci sta accanto di accogliere le nostre emozioni? E se fossimo noi l’altro, perché farsi prendere dal panico, saltare subito alla conclusione che qualcosa non va, che non siamo abbastanza e che questo messaggio sta minando la relazione e la fiducia? Che cosa rischiamo di perdere se accogliamo le semplici emozioni di chi ci sta di fronte?

Ci tengo a sottolineare che non sto suggerendo di liberarsi di tutti i limiti, di dimenticarsi che ogni relazione comporta delle regole e dei confini ben precisi, che ogni persona ha il diritto che le proprie preferenze vengano rispettate all’interno di una relazione.

Non è mia intenzione nemmeno esortare che ogni tipo di apertura in questo senso comporti necessariamente l’obbligo trasformare un rapporto da esclusivo a condiviso.

Non è così che funziona, e l’accettazione di certi desideri può anche determinare il loro semplice esaurimento. Mi interessa invece sottolineare e riflettere criticamente sull’abnegazione considerando l’importanza di prendere consapevolezza delle nostre passioni.

Spesso cerchiamo disperatamente di essere coerenti ma non sappiamo essere integri. Sono due cose diverse. La coerenza è adesione nei confronti di un’immagine o di un ideale con i quali ci siamo identificati, mentre siamo integri quando sappiamo accettare che dentro di noi convivono sentimenti, emozioni e desideri contrastanti, a volte proprio agli antipodi gli uni dagli altri.

Perdere l’occasione di confrontarci con ciò che fa parte di noi significa generare ostacoli alla nostra capacità di amare, perché contando su una consapevolezza di noi stessi limitata è più probabile costruire relazioni nelle quali delegheremo all’altro il compito di fornirci ciò che ci manca, ma questo vuoto esiste proprio perché non ci sentiamo completi e integri con noi stessi.

Ci possono essere vari motivi per i quali proviamo attrazione per più persone, ma è solo un luogo comune credere che l’unico vero motivo sia non amare più il proprio partner.

Può essere che ci sia un grande senso di insoddisfazione interiore per quanto concerne la relazione, ma è altrettanto possibile desiderare, provare sentimenti e a volte legarsi a più di una persona contemporaneamente.

È importante quindi sviluppare quella consapevolezza che permette a ognuno di noi di essere aperti e accoglienti con se stessi, per diventare coscienti dei motivi che ci spingono a comportarci in un determinato modo e a perseguire una certa modalità relazionale.

Come? Prestando attenzione a ciò che si muove dentro di sé, senza giudicare.

Altrettanto rilevante è, infine, tenere a mente che il processo di trasformazione non è unidirezionale e non chiama in causa unicamente dimensioni singole. Con questo intendo dire che scoprire parti di sé nuove, in un primo momento, non determina automaticamente un cambiamento.

E’ un processo che si manifesta progressivamente e i cui risultati non si avvertono dall’oggi al domani e pure accade che ci siano frequenti regressioni, tanti ripensamenti, dubbi e paure e spesso pure il desiderio di tornare indietro.

Ogni cambiamento comporta la perdita di una parte della propria identità e l’acquisizione di una nuova immagine di sé. Questa è la trasformazione, l’evoluzione di sé. In questo processo la confusione è alle stelle, e ciò deriva dal fatto che siamo entrati a contatto con il vuoto; l’unico luogo dove è possibile tale trasformazione.

Per cui, invece che ricadere nella tentazione di spostarsi il più velocemente possibile da un’immagine di sé ad un’altra (prima ero monogamo e adesso sono poliamoroso), forse è bene concedersi un po’ di tempo per stare nell’ambiguità, per dimorare un po’ in questa incertezza e vuoto interiore dal quale è possibile cogliere molte più sfaccettature di quelle che possiamo immaginare.

Ci sono tante possibili strade percorribili non contemplate, nemmeno immaginate e molto sfumate. C’è il nostro sentiero, unico e personale che può coincidere con una modalità precisa di relazionarsi, ma che può anche non aderirvi integralmente.

Non si tratta ancora una volta di essere questo o quello, non è un gioco di posizioni, ma è fondamentale rispettare i propri tempi, riconoscere ciò che si è nel momento in cui si vive, con tutti i limiti, le incertezze e le potenzialità, al fine di scoprire cosa ci appartiene nel momento presente. Per cui prima cosa è cercare di capire cosa si desidera nel qui ed ora.

Che cosa fa per me adesso?

Cosa provate adesso?

 

Bibliografia

Osho (2001); Con te e senza di te.

Dossie Easton, Janet Hardy (1997); La zoccola etica

Williams, Teasdale, Segal, Kabat-Zinn (2010); Ritrovare la serenità. Come superare la depressione attraverso la consapevolezza

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