Sesso diversamente abile

Articolo di: FEDERICA PARENTI

La risoluzione 48/96 del 20 dicembre 1993, n°9 dell’assemblea generale dell’ONU ha riconosciuto a tutti i portatori di handicap:

“il diritto di fare esperienza della propria sessualità, di vivere ALL’INTERNO di una relazione, di essere genitori, di essere sostenuti NELL’EDUCAZIONE della prole da tutti i servizi che la società prevede per i normodotati, compreso, il diritto di avere un’adeguata educazione sessuale”.

Ancora, l’articolo 4 della carta dei diritti sessuali, emanata dal WAS (World Association Of Sexology) al congresso mondiale di sessuologia di Hong Kong nel 1999, fa uno specifico riferimento al “diritto all’uguaglianza sessuale”, nel quale viene sancito che “questo diritto si riferisce alla libertà da tutte le forme di discriminazione indipendentemente dal sesso, razza, classe sociale, orientamento sessuale, età, religione o limitazioni fisiche ed emotive” (il richiamo alle limitazioni fisiche ed emotive è un chiaro rifermento al diritto alla sessualità delle persone con menomazioni, siano esse corporee o mentali).

Per molti anni si è pensato ai disabili come a esseri asessuati e “innocenti” o, all’opposto, come portatori di una sessualità anormale e pericolosa, quindi da inibire o sopprimere. In realtà, la sessualità delle persone disabili non è affatto diversa da quella delle persone abili; non esiste infatti una “sessualità disabile” specifica.

Non solo lo sviluppo sessuale delle persone diversamente abili avviene in modo normale come per tutti gli altri esseri umani ma per loro assume un valore aggiunto: quello di essere una risorsa per stimolarli e aumentare le loro capacità di apprendimento, di socializzazione e di relazione con il mondo che li circonda.

Tuttavia essi necessitano di un’azione educativa mirata, che tenga conto dei problemi e delle difficoltà (intese sia a livello cognitivo che a livello fisico) che sono obbligati a vivere e ad affrontare.

Perciò il bisogno di fornire ai disabili una buona “educazione sessuale” non si insinua a partire dalla supposta esistenza di una “sessualità speciale”, ma bensì dalla costatazione che anche chi ha una disabilità intellettiva o fisica avverte la necessità di avere una sua sessualità, uguale a tutti a livello fisiologico ma che cambia a livello personale e intimo.

Coloro che decidono di assumersi il ruolo di “educatore”, siano essi i genitori, i famigliari, gli amici, lo psicologo o l’educatori stesso, hanno dunque la responsabilità di individuare passo per passo le modalità idonee per affrontare e gestire le specifiche difficoltà, che rendono arduo anche l’impegno del disabile stesso.

Bisogna far in modo che le fasi dello sviluppo sessuale che il ragazzo/a disabile andrà a vivere e ad affrontare, siano per esso un’esperienza emozionalmente positiva e che riesca a riconoscere e ad esprimere, nel modo più naturale e “normale” possibile, i suoi bisogni e i suoi desideri sessuali.

Capita che in molte persone, soprattutto quelle che hanno un legame stretto con il disabile, si insinui il pensiero che il bisogno sessuale del ragazzo/a disabile si estingua o scompaia da solo semplicemente ignorandolo o negandolo.

Purtroppo però, se ignorato o negato, il bisogno sessuale invece che scomparire intraprende percorsi di sviluppo che divengono motivo di sofferenza sia per la persona disabile che per chi gli sta accanto e cerca di essergli d’aiuto.

Proprio per evitare tutto questo e per prevenire che il/la ragazzo/a disabile si costruisca un’idea negativa di ciò che in realtà dovrebbe essere un’esperienza bella e naturale, è caldamente consigliata, per non dire obbligata, una buona educazione sessuale da integrare nel percorso di costruzione dell’identità personale.

Se ben riflettiamo su quanto appena detto, concorderete con me sul fatto che i primi ad aver bisogno di un’educazione sessuale sono proprio le persone “abili”; se non sono loro i primi a credere nelle uguaglianze dei diritti alla sessualità come possono insegnare ai disabili a vivere con naturalezza certe sensazioni e a trasmettergli la piacevolezza di desiderare e sperimentare certe esperienze fisiche?

Lo sviluppo sessuale non è riconducibile a solo questioni biologiche o genetiche, bensì a processi culturali e simbolici che di tale sviluppo ne fanno qualcosa di ben più ampio e complesso rispetto alla mera maturazione genitale.

La relazione tra fisiologia e psiche e le dinamiche che la loro relazione crea, sono alla base di alcuni eventi che risultano essere cruciali nel percorso che porta allo sviluppo individuale (e quindi verso la creazione della propria immagine corporea).

Si tratta di processi psichici grazie ai quali si forma nell’individuo la rappresentazione mentale delle sue relazioni, dei suoi legami con le altre persone e del rapporto tra il suo corpo e il suo “io” interiore.

Ma non solo, questi processi psichici aiutano l’essere umano a prendere coscienza di tutte le sensazioni e le emozioni che scaturiscono dall’uso del proprio corpo, dalla visione delle trasformazioni fisiche e dalla percezione delle proprie pulsioni.

Non trovate che tutto questo sia molto complesso? Cosa potrebbe accadere a un disabile non educato e preparato a tutto ciò? Tenendo ulteriormente conto che nei disabili cognitivi tutti questi rapporti sono limitati, come potrebbe affrontare la situazione e che risultato avrebbero le loro esperienze emozionali?

Mi sembra corretto precisare che l’educazione sessuale, in generale, non ha come obiettivo ultimo l’esercizio fisico della sessualità, cosa questa che riguarda la libera scelta della persona, ma si prefigge l’obiettivo di fornire le condizioni necessarie affinché i processi di sviluppo sessuale risultino parte integrante del percorso che porta alla costruzione della coscienza di sé e dell’altro nel contesto del proprio ambiente di vita.

Nella persona affetta da handicap ciò deve avvenire perché la sessualità rappresenta un campo di esperienza, di possibilità di relazione e incontro, di riconoscimento e di appartenenza che risulta fondamentale per una positiva costruzione d’identità.

Un progetto di educazione sessuale, per essere efficace, richiede il coinvolgimento dei famigliari della persona con handicap e degli operatori (compresi gli insegnanti), e deve partire precocemente, fin dalla scuola primaria e ove possibile anche prima.

Risulta altresì necessario un ambiente sociale che concepisca che anche le persone con handicap possono avere uno sviluppo sessuale, legittimandolo e sostenendolo, dando loro l’opportunità di intraprendere percorsi di autonomia affettiva e sessuale.

Come affermato all’inizio, in diversi paesi europei si è già proceduto al riconoscimento dei diritti relativi alla vita affettiva e sessuale delle persone con disabilità attraverso specifici provvedimenti legislativi.

Per quanto riguarda l’Italia, ci si confronta ancora con resistenze che ostacolano un serio dibattito scientifico e politico orientato a definire da un punto di vista legislativo la questione, determinando un ritardo nello sviluppo di pratiche educative finalizzate all’educazione sessuale.

Quali sono le vostre emozioni in questo momento?

 

Bibliografia

Boccadoro, L.; Capodieci, S. (2012). “Fondamenti di sessuologia”

Lascioli, A.; Onder, M. “ Ritardo mentale ed educazione sessuale” in Rivista di sessuologia, n.3, vol.34, Luglio/Settembre 2010

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