Articolo di: FEDERICA PARENTI

Ci siamo lasciati l’articolo scorso parlando di quanto sia importante, ma ancora poco riconosciuto, il diritto alla sessualità per le persone disabili (per disabili s’intende sempre sia disabili di tipo cognitivo con ritardi mentali, sia disabili di tipo fisico).

Mi piacerebbe riprendere il filo del discorso mettendo in luce come, a livello pratico, si possa adempiere a questo fondamentale diritto e a come si possa donare benessere e “normalità” a quelle persone che sono di fatto uguali a tutti i normodotati.

Sono perfettamente consapevole del fatto che questo argomento, più di altri, è profondamente delicato e che rappresenta per la società uno dei tanti tabù.

“L’erotismo è qualcosa di nuovo per chi percepisce il suo corpo, la sua mente… come una gabbia”

È interessante notare come si cerchi di aiutare i disabili in ogni aspetto della vita quotidiana, mentre quando si tratta d’intervenire sull’aspetto della sessualità, che ha pari diritto di altri di essere soddisfatto, ci si scontri con tutta una serie di emozioni sgradevoli quali la riluttanza e l’imbarazzo. Eppure è un elemento importante, non tanto dal punto di vista erotico quanto da quello affettivo e dell’autostima.

Ora vediamo di addentrarci sempre di più nel succo di questo argomento. Assistente sessuale o lovegiver sono i termini appropriati per definire queste figure di aiuto pratico al “problema” che il disabile ha con la sua sessualità.

La figura del lovegiver è quanto di più evoluto si possa immaginare per garantire intimità anche alle persone con disabilità fisica e psichica. È a tutti gli effetti una figura professionale qualificata, può essere sia uomo che donna e con qualsiasi orientamento sessuale (eterosessuale, omosessuale o bisessuale) proprio per amplificare e rendere più completo il servizio.

Sono prestazioni a pagamento che su richiesta possono essere svolte a domicilio o nell’istituto/casa di cura dove il disabile è ospitato. Deve avere determinate caratteristiche psicofisiche e deve essere sessualmente sano, per questo gli aspiranti lovegiver vengono selezionati accuratamente e, al contrario dell’immaginario comune, non è un lavoro aperto a tutti e a cui tutti posso aspirare.

Non sono infermieri, volontari o lavoratori del sesso e soprattutto non ha nulla a che vedere con la prostituzione, sia essa legale o non legale; questa cosa ci tango a sottolinearla molto bene.

Il lovegiver attraverso la sua professionalità supporta le persone diversamente abili a sperimentare l’erotismo e la propria sessualità.

Questo operatore, formato da un punto di vista teorico e psicocorporeo sui temi della sessualità, permette di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico-cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale, affettiva e/o sessuale (dico e/o sessuale perché in realtà non è sempre compreso e obbligatorio il rapporto sessuale completo, ovvero compreso di penetrazione).

Gli incontri, infatti, si orientano su un continuum che va dal semplice massaggio o contatto fisico, al corpo a corpo, dandogli la possibilità di vivere un’esperienza sensoriale.

Alle persone disabili viene insegnato ad amare il proprio corpo e ad accettarsi così come sono, con i loro limiti, facendoli arrivare alla consapevolezza che anche quelli sono preziosi e che ci si può convivere.

Inoltre vengono educati all’autoerotismo, facendogli scoprire delle sensazioni nuove, fino ad arrivare alla stimolazione e alla sperimentazione del piacere sessuale raggiunto con l’orgasmo.

È perciò chiaro il fatto che per essere dei lovegiver sia necessaria una certa serietà e una preparazione adeguata e qualificata: non ci si limita esclusivamente al processo “meccanico” della sessualità, ma l’intento è di promuovere un’attenta educazione sessuo-affettiva, indirizzando al meglio le “energie” intrappolate del corpo e della mente del disabile. Così facendo è come se si desse carburante alla sua autostima che, come ben sappiamo, cresce sempre di più grazie al benessere sessuale.

Potremmo quindi affermare che l’assistente alla sessualità, per le persone disabili, svolge una funzione che racchiude allo stesso tempo sia il concetto di “rispetto” che quello di “educazione”, e che potrebbe rappresentare la massima espressione del “diritto alla salute e al benessere psicofisico e sessuale”.

Per questo motivo è riduttivo parlare unicamente di assistenza sessuale, e bisognerebbe arricchire il concetto e stimolare l’immaginario collettivo con l’aggiunta di termini come: assistenza all’emotività, all’affettività e alla corporeità, rendendo così evocative tutte le sfumature contenute in quella sola parola.

L’assistente sessuale in base alla propria formazione, sensibilità e disponibilità può contribuire a far ri-scoprire tre dimensioni dell’educazione sessuale:

– Ludica: scoprire il proprio corpo

– Relazionale: scoprire il corpo dell’altro

– Etica: scoprire il valore della corporeità.

Al tempo stesso aiuta il disabile a rendersi protagonista e maggiormente responsabile delle proprie relazioni sia sentimentali che sessuali, favorendo l’accrescimento della consapevolezza di sé ed una più adeguata capacità di prendersi cura del proprio corpo e della propria persona.

 

Come ben avremo capito, purtroppo, non è tutto rosa e fiori; le problematiche poste da tali servizi sono molte e sono complesse, perché da un lato attengono al bisogno di espressione del potenziale sessuale delle persone affette da disabilità, dall’altro alla realtà densa e multifattoriale della sessualità (che comprende si pelle e genitali ma anche emozioni, sentimenti e relazioni).

Per avere un miglior atteggiamento nei confronti della sessualità del soggetto con handicap, si dovrebbe aderire ad alcuni concetti cardine:

  • Restituire al disabile la massima autonomia possibile e non limitare il suo campo d’azione alla minima autonomia indispensabile.
  • Privilegiare quegli interventi educativi che possono essere orientati all’acquisizione di soddisfacenti modalità di agire la sessualità, invece di operare un contenimento degli istinti naturali o una repressione dei bisogni spontanei.

È fondamentale che vengano presi in considerazione questi percorsi che coinvolgono le figure professionali sopra citate, al fine di evitare una mala gestione della situazione. Difatti accade che non sapendo come gestire altrimenti le necessità del figlio, alcune madri incorrano nell’incesto.

In molti altri casi, invece, il genitore sceglie di ignorare la situazione, ritenendo la cosa non abbastanza importante. È però probabile che dietro questa scarsa rilevanza attribuita, si celi un’“incapacità” nella gestione della situazione che induce queste madri e questi padri a tacere e far finta di nulla, soffocando gli istinti fisiologici sessuali del figlio con dei farmaci.

Uno degli obiettivi primi da risolvere è l’abbattere i pregiudizi e gli stereotipi insiti nella nostra mente, ingombranti, che vorrebbero mostrarci i disabili come esseri assoggettati all’asessualità e non idonei a vivere e sperimentare il loro piacere.

In un sondaggio sui disabili e la sessualità proposto su internet, è emerso che 8 disabili su 10 si rivolgerebbero ad un “assistente sessuale”. I risultati del sondaggio sono quindi molto chiari. Il 77% dei favorevoli va suddiviso tra chi:

– prenderebbe in considerazione questa proposta, il 44%;

– l’accetterebbe data la presenza di un professionista, il 26%;

– chi non ne farebbe uso però non ci vede nulla di male, il 7%;

Il restante 23% corrisponde invece a quelle persone che proprio non approvano l’utilizzo dell’assistente sessuale.

È sorprendente e dà speranza vedere come in alcune nazioni d’Europa e in altre parti del mondo come l’America del nord, la pratica e la figura del lovegiver sia già regolamentata e riconosciuta a livello legale già da molti anni.

Tra i paesi europei troviamo l’Olanda, la Svizzera (tedesca e francese), la Danimarca, la Germania e l’Austria, e qui sono nate delle vere e proprie agenzie che offrono “servizi di assistenza sessuale per disabili” a pagamento, ove l’interessato può recarsi per chiedere aiuto, e mi preme risottolineare che non stiamo parlando di prostituzione legalizzata, sebbene in tali contesti quest’ultima sia regolamentata.

In questi paesi, infatti, vengono anche istituiti dei corsi di formazione, diplomi e corsi di aggiornamento continuo, compresi di supervisione terapeutica. Per potervi partecipare è necessario superare una selezione e solo allora è possibile iscriversi; una volta iscritti sarà compito del soggetto saper maturare un’adeguata formazione sia teorica che pratica, con l’obiettivo di superare un esame finale che consente di iscriversi all’albo specifico per la professione.

E in Italia?

In Italia siamo ancora all’inizio del percorso; è stato presentato nel 2014 il disegno di legge, successivamente consegnato alla Commissione Igiene e Sanità del Senato, per ottenere, appunto, il riconoscimento giuridico di questa pratica; ma ad oggi, dopo 2 anni, è ancora tutto bloccato.

Di fatto però l’assistenza sessuale esiste già, solo che mancando il riconoscimento giuridico, queste figure rimangono emarginate e non posso godere di una giusta preparazione e non potendo nemmeno usufruire di nessuna garanzia di base (sia l’operatore che il disabile stesso che richiede il servizio).

È molto importante capire che si tratta di un passaggio delicato; non ci si può solo limitare soltanto a copiare un modello tout court preso da quelli stipulati negli altri paesi, ma bisognerebbe creare un modello che tenga conto della realtà specifica italiana.

Mi azzarderei a dire che ormai la questione non riguarda più solo l’abbattere le barriere architettoniche, ovvero i limiti oggettivi per l’implementazione del progetto, ma si tratta di scalfire le barriere mentali, più pesanti e radicate.

Il numero delle persone che richiedono questo servizio aumenta sempre di più e sarebbe un vero peccato non prestare ascolto alle esigenze di questa fetta di popolazione.

Fortunatamente c’è chi di questo problema ne ha fatto uno scopo di vita; sto parlando di Massimiliano Ulivieri, un uomo affetto dalla nascita di una patologia genetica neuromuscolare che gli provoca l’atrofizzazione degli arti.

La sua missione è quella di mettere in luce questo problema per poi riuscire a risolverlo, affinché anche i disabili possano vivere l’amore e l’intimità; per questo ha creato il sito www.lovegiver.it, nel quale vengono fornite informazioni al fine di prendere confidenza con la figura del’assistente sessuale e dove le persone si possono confrontare tra di loro, trovando sostegno e aiuto.

Max Ulivieri è anche il presidente del comitato “lovegiver, assistenza sessuale alle persone affette da disabilità”; ed è anche affiancato da persone che lo supportano in questa iniziativa, come psicologi, sessuologi, assistenti sociali ecc., che hanno il compito di gestire il comitato e di realizzare corsi di formazione per le persone che vogliono intraprendere questo lavoro.

Solo 30 persone sono state reputate idonee ad iniziare i corsi di formazione, selezionate tra le 80 che avevano presentato la candidatura. Tra queste troviamo sia uomini che donne sia esse eterosessuali, omosessuali o bisessuali, in un’età compresa tra i 25 e i 50 anni, che vengono seguite passo passo da medici, sessuologi e psicologi.

Bisogna sottolineare che il lovegiver non è assolutamente tenuto a svolgere rapporti sessuali completi, ma si limita a supportare l’assistito alla scoperta o riscoperta dell’intimità e dell’affettività, aiutandolo ad avere un rapporto sano con il proprio corpo, e persino a fare un buon uso dell’autoerotismo.

L’obiettivo di Ulivieri e dei suoi colleghi, come quello di tutte le persone che sono profondamente sensibili all’argomento è quello di abbattere lo stereotipo che vorrebbe categorizzare i disabili come degli asessuati.

È importante tenere presente che l’erotismo e il contatto fisico possono rivelarsi qualcosa di completamente nuovo e liberatorio per chi percepisce il proprio corpo come una gabbia.

Del resto, l’alternativa, oggi, per un disabile è spesso quella di ricorrere al mercato della prostituzione, costretto quindi ad esporsi a pericoli ad esso connessi.

Quali sono le vostre emozioni al momento?

 

Per approfondire:

Boccadoro, L.; Capodieci, S. (2012). “Fondamenti di sessuologia”

Www.studiocastaldi.it

www.assistenzasessuale.it

www.abilitychannel.tv/disabili-e-sessualità-assistenza-sessuale-per-disabili

www.lovegiver.it

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