Articolo di: FEDERICA PARENTI

I protagonisti dei miei precedenti articoli sono stati i disabili in prima persona, ma per questo ultimo articolo della trilogia “il sesso diversamente abile” mi piacerebbe parlare e porre la vostra attenzione su quelle persone che dedicano la loro vita a sostenere come meglio possono i disabili: sto parlando dei genitori e dei familiari.

E’ stato inevitabile chiedermi come questi genitori con coraggio e quotidianamente riescano a gestire e a convivere con questa realtà. Bisognerebbe riflettere sul fatto  che tutto sommato le sofferenze e le difficoltà non appartengono solo ai disabili ma anche a chi li accudisce e gli sta vicino.

Così come esistono varie tipologie di handicap, si hanno anche varie tipologie di famiglie e di conseguenza vari modi di affrontare le tematiche relative alla sessualità dei propri figli.

Capita spesso che i genitori siano impreparati ad affrontare gli argomenti sessuali, a dare risposte adeguate e a fornire soluzione equilibrate.

Con le parole non sempre si riesce a rendere l’idea della difficoltà e del disagio che comporta questa realtà, bisogna viverla nel quotidiano; basti pensare alla fatica che impiega un genitore a crescere un figlio senza problemi di handicap, figuriamoci per i genitori dei disabili, ai quali a questo già grande fardello si aggiunge la responsabilità di doversi occupare della sessualità dei propri figli.

Per questo motivo si ritiene necessario il supporto degli educatori sessuali che aiutano le famiglie e i disabili a vivere con maggiore serenità le fasi della crescita sessuale. 

Faber B. e Jannè W.C., due ricercatori americani dello sviluppo infantile, hanno condotto presso l’università dell’Illinois, alcuni studi sulle famiglie, evidenziando che, nei casi familiari in cui vi sia un figlio disabile, questa circostanza produce un arresto del “ciclo di vita della famiglia” che si traduce in molteplici difficoltà relative alla condivisione degli obiettivi, alla collaborazione e all’integrazione del sistema dei valori che costituiscono la principale base di sostegno e coesione del gruppo familiare.

Ci terrei a specificare che il “ciclo di vita della famiglia” è inteso come una successione di fasi, delimitate da alcuni eventi tipici, che introducono, nel corso della vita del soggetto famiglia, significative trasformazioni di ordine strutturale, organizzativo, relazionale e psicologico.

Oltre al cambiamento nella gestione della vita quotidiana, cos’altro cambia, nella famiglia, la nascita di un figlio portatore di handicap? Sicuramente può determinare una profonda trasformazione nella relazione della coppia genitoriale, a causa della mancata elaborazione del lutto, rispetto al bambino desiderato, immaginato e idealizzato.

A volte nei genitori cresce un forte senso di colpa per aver dato alla luce un essere difforme dalla norma. Altre volte può capitare che la coppia viva la nascita del figlio disabile come una ferita narcisistica, dovuta al senso d’incapacità, fallimento e sconfitta, per non essere stati capaci di generare un figlio “perfetto”.

Ancora, in altri casi può succedere che un genitore si dedichi in modo totalizzante e simbiotico al figlio disabile, tendendo ad uscire da quelli che sono i limiti dei suoi ruoli; accade, infatti, molto spesso che si verifichino episodi di incesto fra un genitore e un figlio, dovuto proprio all’incapacità di gestire la situazione che è, evidentemente, al di sopra della gestione delle normali attività familiari.

Molte mamme ci portano testimonianza di questo, i figli avanzano ripetutamente richieste di bisogni fisiologici sessuali e le madri arrivano a un punto dove non riescono più a far finta di nulla: così con coraggio e per amore soddisfano questi bisogni ai propri figli.

Sempre il ricercatore Farber, grazie ai suoi studi è arrivato a distinguere le vari famiglie in tre categorie, in base al tipo di strategia che esse adottano per far fronte alla crescita del proprio figlio con handicap. La prima categoria di famiglie corrisponde ai child oriented, ossia centrate sul bambino; la seconda categoria è la parent oriented, ovvero centrate sulla coppia genitoriale; e infine la terza categoria è quella della home oriented, centrate sul nucleo famigliare.

Le famiglie che hanno un componente disabile nel loro nucleo dovrebbero continuamente riorganizzare le loro dinamiche familiari in modo tale da non cristallizzarsi e non rimanere intrappolate in una confusione di ruoli, funzioni e confini e creando circostanze in cui si rendono difficoltosi i processi d’individuazione, separazione e indipendenza (anche dal punto di vista affettivo, sessuale e relazionale) che il figlio disabile dovrà affrontare durante il suo percorso di vita.

In un suo libro, intitolato La sessualità dell’handicappato, la psicologa e ricercatrice Jole Baldaro Verde afferma che si possono distinguere quattro tipologie di famiglie, in base agli atteggiamenti che hanno nei confronti della sessualità di un componente con handicap.

  • La “famiglia con membro aggiunto”, ossia un soggetto esterno che funge da Questo ruolo può essere ricoperto da una persona con conoscenze e preparazione specifica in assistenza domiciliare o un parente esterno al nucleo familiare. Il membro aggiunto ha generalmente il compito di gestire le difficoltà legate all’handicap del soggetto, ma spesso è impreparato ad affrontare gli aspetti legati alla sessualità.
  • La “famiglia handicappata” in cui tutti i membri partecipano e condividono la menomazione del ragazzo disabile. Questa gestione in forma chiusa può portare a una rigida delimitazione (con l’esterno) dei confini familiari che potrebbe aprire la strada a comportamenti incestuosi.
  • La “famiglia fissata” in cui la struttura familiare è cristallizzata sullo stereotipo dell’handicappato visto come eterno bambino. In questo caso la sessualità non viene considerata e tutte le sue manifestazioni vengono represse in quanto viste come “non adatte” a una persona disabile.
  • La “famiglia evoluta” è quella in cui tutti i membri hanno elaborato il lutto per la nascita del figlio problematico e, nonostante le difficoltà e gli ostacoli imposti dall’handicap, è riuscita a progredire nella propria crescita. Questa famiglia ha le risorse per fronteggiare la naturale evoluzione delle esigenze affettive e sessuali del disabile, in modo adeguato e senza eccessive ansie.

Ma livello pratico come si possono aiutare queste famiglie? Sul versante dell’intervento psicoterapeutico, nei casi di richiesta di aiuto per problematiche sessuologiche di persone con handicap, può risultare appropriato fare ricorso alla cosiddetta “coppia terapeutica eterosessuale”.

E’ una diade co-terapeutica con preparazione specifica in ambito sessuologico, formata da un uomo e una donna, che meglio assolve alla compensazione del ruolo genitoriale che molto spesso viene a mancare, sia per impreparazione culturale dei genitori naturali sia per la loro incapacità di affrontare gli aspetti sessuali propri e del figlio.

Questo aiuto proposto è molto prezioso per le famiglie, perché gli insegnano anche ad adottare, con la giusta dose di naturalezza e dedizione, le mansioni di maternage (accudimento) che si esplica anche nella funzione i handling e in quella di holding, mansioni fondamentali per chi ha un figlio disabile.

Un maternage sufficientemente buono dovrebbe provvedere un ruolo genitoriale adattativo per soddisfare quel bisogno di cure che, oltre a determinare uno sviluppo ottimale della personalità, abbia la capacità di avviare il soggetto disabile verso una sessualità consapevole e vissuta serenamente.

Il termine handling (letteralmente: manipolazione, trattamento) si riferisce ai molteplici scambi corporei tra l’accudente e l’accudito. Può essere costituito da tutte quelle manipolazioni materne/paterne per la cura e la pulizia del bambino, come pure l’attaccamento, amorevolezza e vicinanza corporea, quali gli abbracci, i giochi e gli atti affettivi.

Il concetto i holding (letteralmente: controllo) prevede un sostegno non solo corporeo ma anche fornito in qualità di protezione psicologica, nei confronti di un soggetto non ancora autonomo o con limitazioni funzionali che non gli consentono una piena autosufficienza, qual è appunto quella di un disabile.

Non è forse vero quello  che dicono tutti: Fare il genitore è il lavoro più difficile e soddisfacente, al tempo stesso, che esista al mondo?

 

BIBLIOGRAFIA:

Boccadoro, L.; Capodieci, S. (2012). “Fondamenti di sessuologia”

Baldaro Verde, J. (1997). “La sessualità dell’handiccappato”

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