Uno tra i miei primi incontri con l’infedeltà fu circa 8 anni fa,

quando sulle scale mobili di un centro commerciale, una mia parente, scherzando solo per metà, mi disse: “Olivia, abituati all’idea, verrai tradita. Io non conosco coppie in cui non sia stato così”.

Inutile dire quanto ci sia rimasta male. Una 17enne trasognante alle prese con la sua prima storia d’amore confrontata con una prospettiva così desolante.

Credo sia iniziata allora la mia ricerca disperata di esempi che contraddicessero questa visione dell’amore romantico. Come potete immaginare, compito non troppo facile… Chiedere alle coppie di raccontare dei propri tradimenti, o della mancanza di essi, per ovvi motivi rischia di essere un metodo di ricerca poco affidabile.

Ho quindi deciso di cambiare domanda, che da “Esistono coppie che stanno insieme da tanto tempo che non si sono mai tradite?” si è tramutata in “Perché per me è così importante l’amore esclusivo?”. È una mia mania di controllo? È una risposta difensiva a mie paure profonde? In un mondo come quello di oggi, ha ancora senso scegliere di dedicarsi a una sola persona?

La risposta, francamente, ancora non la so. Però, tutto sommato questa ricerca mi ha portato a rivalutare l’importanza della coppia, e a vedere la fedeltà sotto una nuova luce.

Vi dico perché.

Nella maniera più banale, penso che tutti noi abbiamo la necessità di sentirci profondamente accettati, di risentirci amati, in maniera diversa, come lo siamo stati dai nostri genitori. Nella mia piccola esperienza, nessun rapporto ha il potenziale di avvicinarsi al sentimento di cura e di accettazione tipicamente sperimentati nel legame genitori-figlio quanto quello sentimentale.

Crescendo, si affacciano delle nuove parti di noi precedentemente sconosciute: diventiamo degli esseri unici, peculiari. La sessualità, le nostre fantasie, i nostri corpi modificati, con desideri e pulsioni nuove. Dopo un primo periodo di transizione e di lenta scoperta, certi aspetti sono facili da accettare, e sono visibili a tutti, mentre molti altri, spesso inconsciamente, sono percepiti come sporchi e inaccessibili. Nella psiche, nel corpo, nell’anima.

Poter avere un’altra persona che ci rassicuri e che sia curiosa di esplorarli insieme a noi, all’interno di un terreno sicuro, è un’esperienza curativa per le nostre ferite narcisistiche. Dalle più superficiali, alle più profonde. Mi viene in mente quello che ho provato quando un uomo da me amato ha stretto e baciato le mie cosce, con cui combattevo da anni tra esercizi e diete, decantandone la morbidezza e la sensualità.

Quante volte la mia tendenza a chiudermi e nascondermi per timore di essere rifiutata è stata smussata da una dolce insistenza nel prendermi per mano. Ognuna di queste esperienze è stata un balsamo prezioso, un ungente per mie zone acciaccate e insicure.

Non sto parlando di livelli trascendentali, ma di semplici esperienze profondamente umane, così utili a sanare ferite umanamente imperfette.

Tutti i rapporti hanno questo potere trasformativo, facendoci sperimentare nostre parti sconosciute a traverso l’altro. Penso tuttavia che certe zone più profonde possano aver bisogno di una fiducia radicata, silenziosa, ed esclusiva, e di un investimento energetico tale da poter essere dedicato ad una sola persona. Ed è qui che entra in gioco il tema dell’esclusività.

Qui possiamo ispirarci, per comprendere meglio, al concetto Kleiniano di posizione schizo-paranoide e depressiva. È una teoria complessa, e dalle mille sfaccettature ma ciò che ipotizza è fondamentalmente l’esistenza di due posizioni psichiche, gerarchicamente differenti, che caratterizzano l’esperienza affettiva dell’individuo.

La prima, meno “evoluta”, schizo-paranoide, è caratterizzata da una separazione (tecnicamente scissione) degli aspetti vitali e positivi da quelli negativi e aggressivi, per paura che i secondi distruggano i primi. La posizione depressiva, invece, si guadagna in seguito a una comprensione e accettazione della coesistenza tra questi aspetti. Dal nome quest’ultima sembra essere molto poco attraente, ma in realtà è fondamentale: solo così l’individuo può essere in contatto più solido con quella che è la realtà.

Questo passaggio è secondo me assimilabile al tipo di processo che caratterizza le relazioni. L’amore romantico, in seguito all’idealizzazione iniziale, è sancito da una faticosa accettazione e accoglimento delle parti sia positive, sia “negative” e vulnerabili di sé, dell’altro, e della propria relazione.

Fondamentale parte di esso, è propria l’accettazione del fatto che purtroppo nessuno potrà mai esaudirci nella nostra totalità, perché per natura nella totalità sono incluse anche l’ombra, l’assenza, e l’imperfezione.

Ed è la consapevolezza di queste stesse la fondamentale premessa per un rapporto che abbia lo spazio per esplorarsi, per crescere e per migliorare.

Una relazione sentimentale stabile permette di esprimere il proprio Sé e di affermare la propria individualità, e di avere qualcuno che tiene a noi tanto da lavorare insieme per la nostra crescita, in quanto coppia, in quanto singoli che la compongono, e in quanto specie, dando luogo a una danza creativa a due, e potenzialmente a danze sintonizzate con il mondo.

Per essere motivati a rimetterci in discussione, abbiamo bisogno di sentire che l’altro c’è anche di fronte alle nostre parti più buie, e soprattutto, abbiamo bisogno di sentirci amati, e di essere capaci di amare un altro nella sua interezza.  Questo “lavoro” ha bisogno di tempo, energie e intimità, che rischiano di venire meno se sparpagliati tra più persone.

Dove si colloca quindi la fedeltà in tutto questo? Io penso che il tema centrale della fedeltà risieda in un aspetto energetico. La crescita personale richiede una grande quantità di energie, per potersi esprimere e dedicarsi a quella che è la propria “missione” nel mondo, o, per dirla con le parole di Hillman, il nostro “daimon”.

In questo senso, in realtà, credo che la fedeltà abbia un significato più vasto della mera consumazione fisica. Forse essere fedeli significa non tradire il progetto comune, l’accordo implicito (o esplicito) che lega due persone. Se lo vediamo così, il tradimento può voler dire mille cose. Certi accordi non prevedono l’esclusività fisica, ma ne prevedono altre. Sta a ogni duo (o trio, o chissà…) decidere insieme i capi saldi della propria relazione.

Il tradimento, quindi, comunque lo si voglia intendere, sia per chi lo fa, sia per chi lo riceve, inevitabilmente mina l’intimità e il patto sancito, che invece di essere uno strumento che permette di esprimersi nel mondo, diventa un terreno sdruccevole su cui è necessario reinvestire innumerevoli energie per ricucire ferite e logorii.

Dopo questa bella teoria, sono ancora alla ricerca disperata di lifelong partner che non si siano mai traditi.

Qualcuno è così gentile da rassicurarmi su una loro esistenza?

2 COMMENTI

  1. Brava, stai scavando… ma il mondo cambia e quello che troverai la sotto non è un punto d’arrivo. Conosco solo una coppia che non si è mai tradita, credo senza sofferenze, su centinaia che pensò che lo abbiano fatto, ma questo mio universo non so’ quanto sia significativo. Oggi non tradisco più un po’ perché è calato il desiderio (naturale, quindi legittimo) di ‘conquista/possesso/variare’, un po’ perché mi piace quello che dici tu Olivia…

  2. Ciao Bubi, grazie per il tuo commento.
    Penso tu abbia ragione dicendo che difficilmente troverò un punto di arrivo, è vero, il mondo cambia costantemente, e noi con lui. Mi piace pensare che con il tempo, le esperienze e le evoluzioni, potrò rinterrogarmi su quelle che sono le cose importanti per me, e eventualmente scegliere dei nuovi capi saldi nei quali credere, alla luce di una maggiore conoscenza e consapevolezza. Detto ciò, dietro ogni ideale c’è il suo opposto, intrinsecamente legato alla fedeltà, c’è il tradimento, e penso sia fondamentale non dimenticarlo mai, evitando di cadere nell’illusione di quello che appunto tu chiami “punto d’arrivo”. Un punto di arrivo su queste cose, ahimè e per fortuna, probabilmente non esisterà mai.

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