[…] My name is Ozymandias, king of kings:
Look on my works, ye Mighty, and despair!
[…]

Il sole autunnale faceva capolino nella piccola stanza rivestita in parquet, riempendola di una luce calda. Le sedie erano disposte a cerchio, a contatto con le mura della stanza, lasciando un ampio vuoto nel mezzo forse a favorire la creazione di uno spazio mentale, oltre che fisico.

La stanza aveva un aspetto accogliente e singolare. Alla mia destra, da un camino oramai chiuso, una piccola gamba grigio/rosa di un materiale indefinito cingeva una delle finte colonne di sostegno perdendosi poi nei meandri della cappa fumaria. “Che ci farà lì una gamba?” pensai perplesso “di chi potrà mai essere?”.

Sopra al camino, un uomo obeso in abito settecentesco beveva avidamente da una coppa mentre, di fronte a me, all’interno di un altro grosso dipinto a parete un francescano venerava una Croce dove, nell’interstizio degli assi, una statuina da presepe color gesso di Gesù Bambino era stata attaccata sopra e dormiva beatamente.

Infine, alla mia sinistra, la parete era occupata interamente da una libreria, interrotta solo dalla finestra, in cui si potevano leggere numerosi manuali vecchi e nuovi di psicologia. “Non si può certo dire che questa stanza non favorisca le libere associazioni”, pensai.

Scusate il ritardo”, disse entrando il Dottore con le chiavi ed il casco in mano. “Ero all’ospedale qua vicino ma c’era un traffico incredibile, tutti si sono riversati in strada per la pausa pranzo”.

Quella che seguirà sarà uno stralcio di seduta di supervisione. I nomi utilizzati saranno fittizi, così come il narrato sarà romanzato ma, allo stesso tempo, fedele nello spirito a ciò che venne detto quel giorno.

Sapete, Ozymandias ha deciso di andarsene” disse il Dottore spolliciando rapidamente sullo schermo del suo smartphone. “Mi hanno appena scritto dalla comunità, ha preparato i borsoni e sta passando alla sede centrale per ritirare gli ultimi effetti personali”. Terminato di scrivere il suo messaggio, alzò il suo sguardo verso di noi “Beh, direi che possiamo iniziare”.

Un lungo silenzio allagò la stanza. Non è mai facile parlare dei propri vissuti. Alla fine, decisi di prendere la parola: “Beh sa, avrei proprio voluto parlare di Ozymandias, ma essendosi dimesso…” “Questo non ha importanza” sottolineò il Dottore “siamo qua per parlare dei vostri vissuti e dei vostri dubbi rispetto al vostro muovervi con i pazienti”.

Ha ragione” dissi. “Beh, che dire… ho provato a mettere in pratica quello che ci siamo detti la volta scorsa nella riunione di équipe. Avevo detto che con Ozymandias avevo cercato di instaurare una buona relazione, visto i vissuti negativi che in genere suscitava negli altri, e avevo anche detto che mi sembrava di esserci riuscito a costo però di colludere spesso con le sue modalità, come per esempio chiudere un occhio sul rispetto delle regole o sull’utilizzare le cose altrui, per evitare che finisse per arrabbiarsi come al suo solito e diventare intrattabile ed oppositivo.

Lei allora mi aveva detto che la relazione, quella vera, è quella cosa che rimane quando l’altro riesce a tollerare le frustrazioni che gli provochiamo, a tollerare i nostri no e nonostante questo mantenere un legame con noi.

Bene, in queste due settimane ho cercato di non colludere con lui e, beh, oramai quello che si limita a fare è mandarmi a fanculo, dirmi che sono un senza palle o semplicemente ignorarmi… devo dire che non è facile reggere a tutta questa rabbia, oltre che non essere piacevole essere riempito di insulti.

Comunque io ho cercato di esserci sempre, anche quando pochi giorni fa ha messo a soqquadro la comunità, ovviamente mantenendomi ad una certa distanza. Ho cercato di fargli passare che nonostante tutto, se voleva, io c’ero. Comunque, l’impressione è che la relazione sia implosa, ma almeno ora so di non stare colludendo con lui e ho l’impressione di star facendo un lavoro migliore”.

Non c’è da stupirsi che sia andata così. Finché era lui a condurre il valzer tutto era un idillio, non appena il passo è cambiato e ha sentito di non stare più conducendo lui il ballo questo è cessato bruscamente con esplosioni di rabbia cieca tipica dei bambini, che non sanno tollerare le frustrazioni” rispose il Dottore “Ozymandias è molto bravo con le parole ed i modi a circuire l’altro, a fargli fare quello che vuole, a mostrarsi funzionale e “diverso” rispetto agli altri pazienti.

Tutte le sue relazioni tendono a strutturarsi intorno alla manipolazione e non è un caso che a finire nella sua rete siano finiti proprio i tirocinanti. Con te ha potuto avere una sponda dentro la comunità, con le ragazze oltre alla sponda anche una sottile soddisfazione sessuale coltivando un rapporto esclusivo ed ottenendo attenzioni che altri certamente non hanno.

Sapete che non mi piacciono etichette e diagnosi, bisogna sempre avere a mente la persona in carne ed ossa, ma diagnosi ed etichette hanno la loro utilità. Ozymandias ha chiaramente un grave disturbo narcisistico di personalità, non può permettersi di dipendere da niente e nessuno… proprio per questo, ora che sta prendendo consapevolezza del suo disturbo, ora che la storia che per anni si è raccontato che tutte le sue sventure sono dipese dagli altri comincia a scricchiolare, ora che si sente più vulnerabile e dipendente da noi… scappa e fa i borsoni. Come ha sempre fatto, è un fuggitivo.”

Mi scusi Dottore”, intervenne a questo punto un altro tirocinante psicologo “ma quale sarebbe il dispositivo terapeutico con questi pazienti?” “Non vorrei farvi un pippone teorico sul narcisismo” si mise a ridere il Dottore “però diciamo che in letteratura per molto tempo questo tipo di pazienti è stato considerato incurabile.

Di questo avviso lo era lo stesso Freud. I primi seri tentativi li possiamo trovare con Kohut e Kernberg, ma Ozymandias rientrerebbe comunque nei casi più gravi essendo considerabile come una forma di narcisismo “maligno” in cui quindi il controtransfert del terapeuta (le reazioni del terapeuta al paziente) tende ad essere molto negativo… non è un caso che ci abbia messo del tempo per vederlo in privato, ho dovuto interloquire molto con me stesso e sentire l’arrivo del momento giusto per farlo.

In generale, io e il Dottor Manhattan (altro terapeuta che lavora nella comunità) riteniamo che una terapia individuale, con questo tipo di pazienti, sia fallimentare… ma uscendo da qui troverete qualcun altro che vi dirà esattamente l’opposto.

Dal nostro punto di vista, la natura stessa del setting della terapia individuale non fa altro che alimentare il loro narcisismo… hanno una persona tutta per loro pagata per ascoltarli, con la quale possono impegnarsi in un lavoro molto intellettuale e poco concreto. Dal nostro punto di vista, la riabilitazione in un ambiente comunitario è l’unico che può permettere un qualche cambiamento.

I narcisisti sono come il primo motore immobile di Aristotele, loro non si muovono e tutto ruota intorno a loro… passatemi la metafora teologica… i narcisisti sono degli dèi caduti, sono come Gesù bambino nella grotta… vi pare forse che Gesù Bambino abbia elargito doni?

No! Erano i magi che attraversarono l’Oriente per incontrarlo, così come i pastori dopo l’annunciazione dell’Angelo ed il bue e l’asinello che lo riscaldarono con il loro respiro… il recupero del narcisista passa per un percorso di incarnazione, un percorso attraverso cui tornare in contatto con il materiale, con le emozioni, con l’umanità.

L’ambiente di comunità, in cui si è costretti a stare in contatto con tante persone con tante patologie diverse, in cui quindi potersi in qualche modo rispecchiare, e lo svolgimento di attività concrete e ricche di significati come il cucinare, il mangiare insieme, il pulire, il fare attività esterne è certamente un luogo di incarnazione”.

Dopo una breve pausa, concluse: “sapete, quando poi lo incontrai mesi fa per il colloquio individuale, si presentò in modo trasandato dicendomi che avrebbe voluto parlare del suo rapporto con i suoi oggetti interni, la sua incapacità di amare e di gestire la rabbia… al che io gli risposi: “sa, ho saputo che dorme sul nudo materasso in comunità… senza nemmeno un lenzuolo… il fatto che si ritenga così indegno dal dover dormire così mi rammarica molto. Indipendentemente da quello che ha passato… deve capire che la guerra è oramai finta… qua può dormire serenamente e normalmente, senza alcun problema”.

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