Articolo di Francesco Latini

 

Forse è perché non ci siamo ancora scrollati di dosso l’inverno, forse è perché le sessioni d’esame sono in pieno svolgimento e passiamo la maggior parte del tempo reclusi in casa o in biblioteca, forse è perché la disoccupazione giovanile è al 40% e con estrema fatica teniamo insieme i pezzi della nostra vita quotidiana, forse è perché nel terzo millennio le macchine ci permettono di risparmiare un sacco di tempo ma ci sembra sempre che non ce ne sia abbastanza, forse è perché passiamo più tempo a controllare i nostri profili virtuali piuttosto che viverci quello reale, forse è perché c’è un certo disincanto nel guardare la vita con gli occhi dell’adulto e non più con quelli del bambino, forse è per tanti altri motivi che non sono emersi durante le conversazioni in religiosa meditazione attorno ad una bottiglia: fatto sta che tra i ventenni mi sembra che serpeggi una certa dose di malinconia.

Tenendo conto che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2020 la depressione rappresenterà la malattia mentale più diffusa e la seconda in assoluto dopo quelle cardiovascolari, è anche probabile che in alcuni la malinconia sia in realtà una forma più o meno aggressiva di depressione. La malinconia è un sentimento che mi fa spesso visita e, con il tempo, ho imparato ad accoglierlo come si fa con un vecchio amico: è nella malinconia che mi sento più connesso con la natura profonda delle cose, più incline a scavare la sabbia del mondo cercando tesori, più disposto all’ascolto ed alla riflessione. In genere, non appena questa bussa alla mia porta, tra i pensieri comincia a fluttuare questo piccola storia che ho trovato in “Questa è l’acqua” (2009), una raccolta di sei racconti di David Foster Wallace:

Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”

La malinconia è quindi una riduzione del rumore di fondo, è l’inverno del mondo: foglie, fiori e colori si riducono lasciando a nudo lo scheletro, la struttura intima della realtà. Nella malinconia deragliamo dal flusso della vita quotidiana ed acquisiamo la facoltà di vederla da una prospettiva altra, lontana. E ci sbalordiamo di quanto questa sia frenetica, di quanto siamo simili a palline di un flipper che corrono e rimbalzano vorticosamente lungo un piano inclinato attraversando circuiti e luci multicolori in una cacofonia di suoni elettronici, di quanto siamo così immersi nella vita che ci dimentichiamo dell’assurdità di essere qua, di quanto sia pazzesco camminare sull’unico o su uno dei pochi granelli di polvere abitabili nella vastità vuota ed infinita del Cosmo, di come la nostra persona sia il frutto di una catena ininterrotta quanto casuale (o forse no?) di eventi che dal Big Bang passa per la prima cellula vivente nata sulla Terra fino ad arrivare a noi.

Come scrive il norvegese Jostein Gaarder ne “L’enigma del solitario” (1996), anche se noi pensiamo che la nostra esistenza sia dipesa unicamente dai nostri genitori, in realtà sono risultati determinanti anche i nostri nonni, i nostri bisnonni, i nostri trisavoli e così via: se solamente uno, di questa moltitudine per lo più indistinta e sconosciuta, fosse morto nel momento sbagliato, noi semplicemente non saremmo qui.

La nostra esistenza è stata minacciata centinaia di miliardi di volte dagli insetti e dalle bestie feroci, dalle meteore e dalla folgore, dalle malattie e dalle guerre, dalle inondazioni e dagli incendi, dai veleni e dai tentativi di assassinio… addirittura da noi stessi: in almeno una delle tante battaglie della storia, i nostri antenati si trovavano in entrambi gli schieramenti sul campo! A partire dalla prima cellula che si divise in due dando il via al tutto, le probabilità che nel corso di tre o quattro miliardi di anni la nostra catena non si spezzasse erano talmente infime da risultare pressoché impensabili: eppure, ce l’abbiamo fatta. E quale è la nostra ricompensa?

“[…] è l’incredibile fortuna di vivere su questo pianeta insieme con te. E di capire quanto è fortunato il più piccolo dei lombrichi a vivere su questo stesso pianeta.”

E che ne è stato degli sfortunati?

Non sono mai venuti al mondo. La vita è una grande lotteria, in cui vengono estratti soltanto biglietti vincenti.”

ADESSO COSA PENSI?