“Chi non conosce il suo limite tema il destino”

Aforismi, Aristotele, IV a.C.

 

Abbiamo distrutto lo stereotipo della famiglia formata da moglie, marito e pargoli. Non siamo più soggiogati dalla legge della morale che ha bussato alla porta dei nostri nonni e ha toccato le spalle dei nostri genitori quando avevano la nostra età. La legge, intesa come norma, non è più quella della costruzione di un nuovo nido. E infatti il numero dei matrimoni cala, la durata delle relazioni si accorcia e le parole “per sempre” vengono dette sempre più raramente, figuriamoci quelle “finché morte non ci separi”.

C’è chi questo cambiamento lo ha chiamato liberazione. C’era qualcosa di profondamente scorretto nell’assumere ciecamente il ruolo di moglie o di marito. C’era qualcosa di ipocrita. Come si può promettere amore eterno? Si ama giorno per giorno, e non si può sapere a priori se questo coinciderà con il sempre.

E poi, chi l’ha detto che nella vita si debba amare una persona sola? Magari ci saranno più storie d’amore, ognuna per una diversa fase di vita. O magari si ameranno più persone nello stesso tempo. Se si possono amare più amici contemporaneamente, perché non anche diversi partner? Perché il fatto che ci sia del sesso di mezzo dovrebbe cambiare le regole del gioco? Perché una relazione deve implicare delle rinunce? Una relazione non dovrebbe essere sempre generativa?

Questi erano i problemi che si trovavano ad affrontare le generazioni precedenti alla nostra: come liberare le relazioni dal peso opprimente dei tabù, la sessualità dall’oppressione della legge. Come divincolarsi da un’angoscia che era figlia della morale e del divieto. – non devi tradire, non devi amare la donna di altri, non devi godere, non devi disperdere il seme -.

Ed è stato nel tentativo di scavalcare l’ipocrisia di queste leggi che sono nate oggi nuove forme di legame, alternative alla coppia tradizionale ed al matrimonio. Le chiamiamo relazioni aperte, scopa-amicizie, racconti brevi, amore libero, poliamore, poligamia, sesso, -siamo solo amici-, -non ci piace dare definizioni-, amore a distanza, amore con riserva, e via discorrendo.

Niente che non successe anche nelle generazioni precedenti, con la differenza però che oggi abbiamo dato loro un nome, le abbiamo legittimate e così le abbiamo anche fatte diventare la nuova norma dei legami sociali.

Eppure quello che doveva essere un atto di liberazione, non si è dimostrato propriamente tale. Le relazioni infatti oggi, per quanto diverse nella forma, non si sono liberate dall’angoscia, ma soffrono il peso di un’angoscia nuova, un’angoscia frutto dell’assenza, piuttosto che della presenza, di leggi. Non è più il peso dei tabù ad essere opprimente, bensì il vuoto dei tabù.

La presenza di leggi, di limiti, è infatti condizione di esistenza del desiderio umano. È una considerazione che aveva già portato avanti lo stesso Freud (1913): “Il tabù è vincolato al desiderio”. È l’esistenza della legge che accende il desiderio.

Ne è una prova il fatto che più un oggetto è proibito più viene desiderato. È solo dopo l’interdizione di Dio all’albero della conoscenza, che Adamo ed Eva vengono tentati dal serpente. È solo dopo aver proibito al bambino di mangiare i biscotti dopo cena che questi comincerà a rubarli di nascosto dalla credenza.

Perché una cosa esista infatti è necessario darle un nome. Dare un nome ad un nascituro, ad esempio, è un momento fondamentale. Non a caso in genere i genitori riflettono su che nome dare al proprio figlio ben prima della nascita. Il nome assegnato infatti non è solo un’etichetta, ma è parola, carica di aspettative, di sentimenti, contiene in sé già un abbozzo di progettualità.

Il nome è ciò che veramente fa esistere nella psiche dei genitori l’immaginario del figlio. È una prima definizione. Ma letteralmente definire, dal latino “finis”, significa proprio mettere un limite. Questo è un esempio un po’ lontano che fa capire però lo stretto legame fra limite ed esistenza, fra limite e desiderio, che è poi il nocciolo dell’esistenza.

Oggi viviamo invece in quella che Massimo Recalcati (2014) ha chiamato la menzogna della libertà. Cioè nella menzogna che la vita libera sia la vita senza limiti. E questo si rispecchia anche nelle relazioni. Tutto è possibile. Non si fa più esperienza dell’impossibile.

Eppure questo collasso dei tabù non crea libertà bensì angoscia. Nel tentativo di liberare il desiderio dai suoi limiti, il desiderio viene ucciso e rimpiazzato dal vuoto. “Ma se il desiderio è estinto, tu non cambierai il mondo, ti adeguerai al mondo” (Galimberti, 2017).

Questo meccanismo è in realtà lo stesso che in psicoanalisi fonda la perversione. Alla base del gesto perverso c’è infatti la ricerca dell’impossibile, la negazione delle leggi, l’aspirazione alla vita animale (che è per definizione una vita senza tabù). Oggi questo meccanismo ha contaminato il discorso sociale diventando costume collettivo.

Paradossalmente, l’assenza di leggi ha assunto lo statuto di nuova legge. Nel senso che ha assunto un valore imperativo e normativo. Lacan, già negli anni 60, aveva inquadrato questo cambiamento di paradigma con la dicitura “Devi godere”. “Godi!”sembra essere l’imperativo ossessivo del nostro tempo, “Godi fino allo sfinimento!”, o meglio, “Godi perché devi godere!”.

Umberto Galimberti (2017) ha ripreso questo tema parlando della sessomania come di un nuovo vizio della nostra società, e sottolineandone la pericolosità. Se i vizi capitali sono infatti vizi personali e quindi suscettibili di redenzione, i nuovi vizi, individuati dall’autore, sono al contrario di natura sociale. E questo significa che per distaccarsene, si corre il rischio di essere tagliati fuori dalla società.

Per evitare la solitudine quindi si preferisce raddrizzarsi, adeguarsi al contesto, conformarsi. La libertà nei legami diventa così una nuova gabbia, che ha la stessa rigidità e forza conformista che un tempo avevano gli imperativi morali dell’ordine simbolico tradizionale.

Se da un lato allora la vita umana è segnata, marcata, lacerata, dal peso dei tabù, dall’altro lato sono proprio questi stessi tabù che garantiscono alla dimensione del desiderio di esistere. La sfida che veniva posta alle generazioni precedenti alla nostra era quella di come far sopravvivere questo equilibrio fra tabù e desiderio senza che le leggi si irrigidissero tanto da diventare gabbie. Ma questo segna un tempo alle nostre spalle, un tempo in cui i tabù avevano un peso sociale consistente.

Oggi invece siamo di fronte ad un contesto opposto che quindi è affetto da problemi di diversa natura: come mantenere viva la dimensione del desiderio; come fare esistere qualcosa che è nell’ordine del trauma benefico della legge; come trovare cioè un compromesso tra il divieto di godere passato e il dovere di godere attuale (Recalcati, 2017).

Referenze

Freud, S. (1913). Totem e tabù. Bollati Boringhieri. Torino.

Galimberti, U. (2017). Conferenza: Dizionario dei nuovi vizi. All’interno del festival Filosofarti.

Galimberti, U. (2003). I vizi capitali e i nuovi vizi. Feltrinelli. Milano.

Lacan, J. (1972-1973). Il Seminario, Libro XX, Ancora. Einaudi. Torino.

Recalcati, M. (2014). Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa. Cortina Raffaello Editore. Milano.

Recalcati, M. (2017). Conferenza: Morte dei tabù? All’interno del Festival della mente di Sarzana

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Sofia Sacchetti
Sono psicologa abilitata in Lombardia, ed esercito la professione come libero professionista. Mi sono laureata in Psicologia Clinica a Pavia e in Research applied to Psychopathology presso l’Università di Maastricht, unendo nella mia formazione l’amore per la pratica clinica e la spinta verso la ricerca. La mia principale area di studio sono i disordini alimentari, tematica che ho incontrato e approfondito in tesi magistrale, sotto la guida del professor Massimo Recalcati, e durante diversi tirocini: in Olanda, con il team di Anita Jansen, e a Londra presso l’unità psicoanalitica di Peter Fonagy. Attualmente mi sto specializzando come psicoterapeuta a stampo psicoanalitico, e sto portando avanti un dottorato di ricerca sul tema della percezione del corpo nei disordini alimentari. Mi occupo di consultazioni e di interventi psicologici rivolti ad Adulti e Adolescenti. Negli ultimi anni ho svolto percorsi di supporto psicologico presso il consultorio del Women Health Information and Support Centre, e presso una Struttura Residenziale Psichiatrica Terapeutico-Riabilitativa. Ricevo privatamente a Milano, ma svolgo anche percorsi online a distanza. Per contattarmi: v.s.sacchetti@gmail.com

5 COMMENTI

  1. Ciao Sofia.
    Ti ho conosciuta anni fa e ora ho trovato per caso i tuoi articoli su questo sito.
    Sono letteralmente scappato da te e rimpiango la mia scelta.
    Da quel che mi ricordo di te, riconosco la tua sana inquietudine in ciò che scrivi.
    Ti auguro di trovare la Strada…

  2. Un gran mucchio di luoghi comuni indimostrati e indimostrabili all’insegna del “si stava meglio quando si stava peggio”.

    • Grazie Anna per il tuo commento. A quali “luoghi comuni indimostrati ed indimostrabili” ti riferisci? Se hai voglia scrivicene. Io non credo si tratti di stare “meglio” o “peggio”, non credo infatti che il compito, o il campo d’azione, della psicologia sia quello di dare giudizi di valore. Quello che è invece interessante, e forse utile per uno psicologo, è invece vedere quali siano le peculiarità e le implicazioni dei diversi modi relazionali.

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