Articolo di Lucrezia Pedranzini

 

Di fronte alla situazione descritta, si delineano due possibili scenari di sviluppo per il bambino: il fatto di avere il padre detenuto risulta essere un fattore di rischio per il bambino, con possibile sviluppo di patologie o di comportamenti che deviano dalla traiettoria di sviluppo, oppure, viceversa, può essere che l’individuo sviluppi una particolare capacità di affrontare e superare l’evento traumatico, la resilienza.

Nel caso in cui la condizione paterna costituisca un fattore di rischio nel processo di crescita dell’individuo, può essere che lo sviluppo sociale ed emotivo segua una traiettoria atipica. Tutto questo perché tendenzialmente sono proprio i genitori a svolgere un ruolo di fondamentale importanza nello sviluppo sociale del bambino fin dalla prima infanzia, ed in casi come questo la figura paterna risulta assente, fosse anche solo per un periodo di tempo limitato.

Proprio a causa dell’assenza di una delle due figure genitoriali, è possibile che il bambino non sviluppi adeguate competenze sociali per potersi poi relazionare con i suoi pari. Un esempio di conseguenza può essere una forma di ritiro sociale attiva, condizione caratterizzata dalla bassa frequenza di interazioni con le persone e dalla tendenza al comportamento solitario e, in particolare, dalla presenza di comportamenti esuberanti e vivaci e modalità di gioco particolarmente rumorose, svolto però in disparte rispetto ai compagni.

Questa condizione riflette una certa immaturità sociale ed è associata ad aggressività e a disturbi di esternalizzazione già in età prescolare. Sono in parte proprio queste le caratteristiche evidenziate nei bambini con padre detenuto: DeHart e Altshuler (citati in Dawson et al., 2012) individuano comportamenti fisicamente aggressivi e Shlafer e Poehlmann (citati in Dawson, Jackson e Nyamathi, 2012) pongono l’accento sull’impulsività e sulle difficoltà a relazionarsi con i pari.

Inoltre può essere che la condizione paterna costituisca per il bambino un fattore di rischio anche per quanto riguarda lo sviluppo emotivo. Innanzitutto il fatto di aver assistito all’arresto del padre, un eventuale comportamento genitoriale violento precedente all’arresto o la carcerazione vera e propria del caregiver possono costituire un trauma per l’individuo, dove il termine “esperienza traumatica” si riferisce al “verificarsi di uno o più eventi che in maniera frequente e ripetuta creino nel soggetto uno stato di sopraffazione emotiva, con un vissuto di impossibilità di trovare vie di fuga o alternative a tale soluzione” (Kring et al., 2013). È una condizione psicologica nella quale il bambino ha l’impressione di essere sopraffatto dalla propria emotività, incapace di gestirla, ha la percezione di vivere in uno stato di impotenza.

Questo può avere importanti ricadute sul processo di sviluppo emotivo, e dare quindi origine ad un attaccamento di tipo disorganizzato. La causa di un tale sviluppo atipico è da ricercare nell’atteggiamento del caregiver che risulta temporaneamente non disponibile a prestare la cura e il conforto necessari a rassicurare il bambino quando ne ha bisogno. Invece che rappresentare una base sicura, il genitore trasmette al bambino una sensazione di paura e spavento.

Il fatto di avere un padre detenuto comporta necessariamente delle conseguenze dal punto di vista pratico nella vita di un bambino o di un adolescente. Significa crescere con un solo genitore, in un contesto familiare in cui, in molti casi, il livello di conflittualità è elevato, e lo stile educativo, proprio a causa della condizione paterna, può risultare incostante e con scarso monitoraggio: sono situazioni nelle quali la madre deve preoccuparsi principalmente da sola delle questioni economiche e della routine dei figli; può essere che sia molto stanca e stressata o che debba lavorare per provvedere al mantenimento della famiglia da sola, e dunque non abbia il tempo e/o le energie per seguire la crescita dei bambini in maniera adeguata.

Tutti questi sono elementi legati alla carcerazione di un padre di famiglia che risultano essere fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi da esternalizzazione, ovvero comportamenti che indicano una difficoltà nella capacità di controllare le manifestazioni impulsive e aggressive nei confronti degli altri.

Sono bambini che, a causa del loro atteggiamento, vengono rifiutati dai pari, hanno carriere scolastiche problematiche e una particolare vulnerabilità nel periodo dello sviluppo adolescenziale. Questa difficoltà a controllare la propria aggressività, con le conseguenze che comporta, può esaurirsi con il passaggio alla vita adulta oppure può sfociare in un disturbo di personalità antisociale e, in alcuni casi, nell’uso di sostanze.

Bibliografia:

Dawson, A., Jackson, D. e Nyamathi, A. (2012). Children of incarcerated parents: Insights to addressing a growing public health concern in Australia. Children and Youth Services Review, (34), 2433-2441.

Kring, A. M., Davison, G. C., Neale, J. M. e Johnson, S. L. (2013). Psicologia clinica. Bologna: Zanichelli.

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