Negli ultimi giorni il curioso caso di 200 scuole tedesche ha fatto alzare una, se non entrambe le sopracciglia a chi si occupa di benessere psicologico e psicofisico, di educazione, e a molti genitori. Si parla della nuova idea, nata da un’insegnante, di equipaggiare i bambini iperattivi con giubbotti imbottiti di sabbia dal peso che va da 1.5Kg fino a 6Kg.

A una prima impressione l’intento sembrerebbe quello di “inchiodare” i bambini iperattivi al banco durante le attività che richiedono una classe in stato di tranquillità, come lezioni teoriche e verifiche.

I sostenitori asseriscono che il comportamento dei bambini sia più tranquillo e che siano più concentrati se indossano il giubbotto, ma la prima impressione potrebbe non essere così infondata. Dopotutto può essere visto come un trattamento poco ortodosso dell’ADHD (o DDAI in Italiano: Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) con prevalenza dell’iperattività.

Che cosa sono l’iperattività e l’ADHD?

I bambini diagnosticati come ADHD con predominanza dell’iperattività mostrano difficoltà a star seduti (durante la lezione a scuola, per esempio), sono irrequieti e necessitano di muoversi costantemente.

Possono mostrare anche comportamenti impulsivi e scarsa capacità di concentrazione, che sono rispettivamente indicatori tipici dell’ADHD con prevalenza d’impulsività e disattenzione, cioè altri due gruppi di indicatori sotto la sigla ADHD.

Non di rado sono oggetto di discriminazione: frequenti rimproveri e isolamento sociale. Un segno distintivo ed evidente come un gilet imbottito potrebbe aggravare il problema dell’isolamento.

I criteri diagnostici ovviamente non vanno applicati in modo rigido o con leggerezza, ma con rigorosa prudenza, per evitare falsi positivi e falsi negativi che ostacolano il riconoscimento del vero problema: un comportamento iperattivo può essere un indicatore di carenze nutrizionali oppure essere relativo ad una circostanza specifica (la scuola) ma non verificarsi in altri contesti (a casa o durante il gioco); in tali casi si possono talvolta verificare diagnosi errate.

Le cause dell’ADHD non sono del tutto chiare, esistono visioni diverse su cosa generi il fenomeno: la radice genetica, quella biologica e quella psicosociale. Un’interazione genetica all’origine di un diverso sviluppo del cervello, carenze nutrizionali o danni nelle prime fasi dello sviluppo o ancora problemi familiari e relazionali. Tutti questi fattori possono dare atto a comportamenti di iperattività.

Che intenti ha quindi l’uso del giubbotto imbottito?

Potrebbe effettivamente ricordare un metodo “vittoriano” per impedire ai bambini iperattivi di alzarsi o agitarsi durante le lezioni e sviare l’attenzione dell’insegnante e della classe. Per fortuna, secondo la parte pro-giubbotti, gli studenti lo indosserebbero spontaneamente per circa 30 minuti e il suo uso non causerebbe discriminazioni o umiliazioni anche perché non verrebbe indossato solo da quelli con un comportamento iperattivo: anche altri bambini senza iperattività vorrebbero indossarlo.

Sempre secondo questa parte, il giubbotto avrebbe sui bambini con comportamenti iperattivi la stessa funzione che tuttora ha su persone con autismo, alcune delle quali ricercano la sensazione di contenimento e pressione sul busto per alleviare quelle sensazioni corporee che possono causare in loro stress e ipersensibilità o che ne sono la conseguenza.

Tutto ciò è in qualche modo rassicurante, forse, riguardo al benessere dei bambini, ma è l’approccio giusto?

Quello dell’etica e dell’appropriatezza è l’argomento che causa perplessità e sopracciglia alzate. Il professore di Psichiatria Schulte-Markwort ha commentato che l’idea dei giubbotti imbottiti per far stare fermi i bambini è “eticamente discutibile” ed è focalizzata sul condizionare il comportamento del bambino in modo tale che risponda alle esigenze dell’istruzione (di stampo ancora troppo industriale), invece che occuparsi dei problemi sottostanti e soprattutto delle esigenze dello studente.

Ci sarebbe da domandarsi se, oltre a indossare il giubbotto imbottito, gli stessi bambini con iperattività ricevano una terapia psicologica e assistenza familiare. Questo perché si corre il rischio che in assenza dei sintomi più evidenti, cioè l’iperattività corporea e la conseguente difficoltà a concentrarsi, si tralasci di lavorare sulle loro cause e sulle aggravanti, che è invece fondamentale.

Un metodo di educazione e istruzione diverso, un diverso stile di vita potrebbe cambiare i numeri o l’impatto dell’ADHD sui bambini? Non stiamo lasciando da parte alcune osservazioni culturali, di là da quelle biologiche, genetiche e sociali?

Lo stile di vita e la cultura occidentali sono notevolmente cambiati nelle ultime cinque decadi, mentre l’istruzione scolastica non si è adeguata con la stessa velocità. Si è diventati sempre più sedentari, sono cambiate le abitudini alimentari, sono stati introdotti media e contenuti che magnetizzano l’attenzione, ma non aiutano a esercitarla con consapevolezza e hanno influenzato anche le abitudini in famiglia.

Tutto ciò va tenuto in considerazione quando si pensa di trovarsi di fronte a un caso di ADHD.

Forse, oltre ai giubbotti imbottiti di sabbia, anche far stare seduti i bambini per ore ad ascoltare passivamente le lezioni potrebbe essere considerato “eticamente discutibile”, in particolare se stimolando l’apprendimento attivo e deduttivo si ottengono risultati migliori e più duraturi. Anche la mancanza di uno psicologo interno alla scuola, un domani, potrebbe essere motivo di perplessità.

Indossare il giubbotto imbottito non è una soluzione efficace per l’ADHD ma un semplice soppressore del comportamento iperattivo. Al di là dei benefici per le performance della persona con comportamento iperattivo, è uno strumento per preservare il sistema sociale in cui la persona vive.

Nel caso in cui nuovi studi arrivassero a dimostrarne l’utilità come strumento temporaneo per apprendere a gestire l’attenzione e controllare attivamente gli stimoli che portano all’iperattività, questo giubbotto potrebbe essere usato con efficacia. Fino ad allora è necessario mantenere un occhio critico, stando attenti a potenziali effetti negativi.

È importante sottolineare che la scomparsa del comportamento iperattivo non deve essere il solo obiettivo di qualsiasi provvedimento o terapia si decida di applicare: esistono dei fattori esterni che lo causano o lo aggravano, come le carenze nutrizionali, una vita familiare difficoltosa, priva di stimoli, un metodo d’istruzione inappropriato o inefficace per via della sedentarietà e lo scarso coinvolgimento degli studenti. Tutti questi devono essere presi in considerazione tra i problemi a cui porre rimedio.

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Davide Mansi
Studente di Psicologia alla University of East London. Milanese nel cuore, prima di approdare a Londra ho passato un anno girando l’Australia e New York vivendo diverse realtà, finendo per innamorarmi della vita da backpacker e di Sydney. Oltre a macinare dati per ricerche scientifiche in università, i miei principali interessi in psicologia riguardano la comunicazione interpersonale e intrapersonale, la teoria della mente, le meccaniche delle relazioni sociali e lo studio di tecniche per abilitare e riabilitare in questi ambiti. Sul versante professionale intendo usare la psicologia per migliorare la vita delle persone e non metto limiti ai settori che possono beneficiare del supporto di uno psicologo e di una buona dose di creatività. Contatti: davide.mansi94@gmail.com

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