Cari lettori, avete presente tutti quei test che spopolano su Facebook tipo “Scegli un’immagine e ti dirò chi sei” o “Calcola la tua età mentale”, “Il test del dentifricio”, “Quale animale ti descrive di più”?

In realtà si possono definire pseudo-test, niente a che fare con il Rorschach (che solo a scriverlo correttamente ci si merita una laurea) o il Test della Figura Umana che, per quanto apparentemente insulso in realtà rivela molto di noi proprio grazie alla sua consegna semplice ed esecuzione più o meno immediata.

Altra domanda, avete presente le collane di libri “Capire la Psicologia” o “Tutto quello che vorresti chiedere a Freud ma ormai è morto e non sai a chi chiederlo”?

Sono in vendita in edicola e con una modica spesa potreste conoscere tutto di una disciplina vicina solo all’Esoterismo come la Psicologia, non Medicina non Psichiatria, si sa cosa non è ma non cos’è…

Perché vi pongo queste domande? Vi rispondo con un’altra domanda: tutti questi test, tutti questi libri in realtà a cosa servono? Anzi mi correggo, a cosa “ci” servono (vale anche noi che magari ci siamo già laureati in psicologia).

Perché rispondono, seppure in modo propedeutico, alla domanda che ci facciamo tutti i giorni: chi sono io?

È stato Maslow (2010) a parlare di bisogni come di qualcosa di indispensabile per il benessere della persona, considerando che ogni individuo è unico e irripetibile.

Invece i bisogni sono comuni a tutti; si condividono, ci accomunano e permettono una migliore vita se vengono soddisfatti.

Nella sua famosa Piramide dei bisogni al gradino più alto si trovano proprio il bisogno di identificazione di se stessi all’interno di un contesto affettivo e relazionale soddisfacente (i cosiddetti bisogni di appartenenza).

Vi sono poi i bisogni di stima e di autorealizzazione quale aspirazione individuale ad essere ciò che si vuole essere (e nient’altro), a sfruttare le proprie risorse fisiche, mentali, emotive in modo da raggiungere una perfetta congruenza tra i propri pensieri e le proprie azioni, tra il proprio ideale e la percezione che si ha di sé.

La ricerca del “Conosci te stesso” ha in realtà origini molto più antiche, uno dei primi filosofi della storia, e devo dire per me uno dei più simpatici, Socrate, ci fa capire l’importanza di questo percorso interiore:

Socrate “Ti sei mai accorto che sul tempio di Delfi è scritto ‘Conosci te stesso’, ti sei curato di questa frase e hai cercato di esaminare chi sei”?

Eutidemo “No, per Zeus, perché credevo di sapere chi sono.”

Socrate “Non conosce se stesso chi conosce soltanto il proprio nome. Quelli che conoscono se stessi sanno ciò che è loro utile e riconoscono le cose che sono in loro potere e quelle che non lo sono; e facendo quello che sanno si procurano ciò di cui hanno bisogno e ottengono il successo.

Possono anche cercare di conoscere le intenzioni degli altri e così si procurano i beni, evitando i mali e servendosi degli altri. Quelli che non sanno ciò che fanno, invece, scegliendo il male e fallendo nelle loro imprese, non soltanto sono puniti in se stessi ma perdono anche ogni stima, diventando ridicoli”.

Fondamentale una capacità di interrogarsi in maniera continua, nel silenzio della propria anima e in continua tensione con la propria intelligenza e coscienza, una sfida con il proprio Io interiore perché:

“una vita che non faccia tali ricerche non è degna d’essere vissuta”. (Socrate)

Ciò porta alla consapevolezza di sé e dei limiti del proprio sapere e del proprio potere.

Con un ardito riferimento a Jung (1946) è un po’ come incontrare lungo il corridoio del film “Shining” (al posto delle gemelle vestite d’azzurro) l’Ombra, lato oscuro della nostra personalità, ciò che più di inaccettabile abbiamo e che vorremo dimenticare per sempre, e affrontarla una volta e per tutte, trovando finalmente la via d’uscita dalla casa stregata:

il Sé, integrazione e combinazione di tutte le nostre parti belle e brutte, buone e cattive, conosciute e ignote.

La consapevolezza della propria ignoranza, “so di non sapere”, conoscenza mai definitiva della propria natura umana diventa movente della volontà di conoscere, “conosci te stesso”.  

Mi rendo conto che paragonare due grandi per spiegare la scelta di auto-somministrarsi “Quale cocktail sei?” è ignobile però Socrate ne ha passate di peggio, pure la condanna a morte, e poi è stato il primo martire per la causa della libertà di pensiero e d’investigazione (Gomperz, 2013), quindi…

Ma cos’è il Sé? Il vero Sé è la somma delle potenzialità che uno possiede e teoricamente, in condizioni sociali e culturali ideali, potrebbe esprimere (Fromm, 1977).

È come il Lego, continuamente lo facciamo e lo disfiamo!

Una sorta di autoritratto, “Io sono così!”, che tutti utilizziamo per descriverci e capirci ma mai definito e definitivo.

La nostra raccolta di informazioni personali avviene nel corso degli anni, nei momenti di solitudine quando riflettiamo su di noi, attraverso le interazioni con gruppi significativi che ci forniscono “uno specchio” importante, attraverso gruppi antagonisti e attraverso la realtà più ampia che ci circonda (social, istituzioni, realtà lontane da quelle a noi prossime).

Non dimentichiamo anche particolari esperienze di vita che ci segnano per sempre, chi non le ha vissute!

Ecco perché è un concetto cerniera, cerca di tenere insieme i dati intrapsichici con quelli sociali.

Vi chiedete perché cerchiamo di spiegare noi stessi con i volumi dell’edicola o con i test finti? Eh certo, in mezzo a questa confusione non vorremmo un minimo di stabilità e coerenza?!

È il Paradosso del Sé indipendente (Markus,1997): tutti alla ricerca dell’unicità ma ricalchiamo sempre gli stessi modelli, finendo per esibire un alto grado di conformità e uniformità, che ci dà tanto sicurezza in mezzo al nostro caos interno e cosmico.

In un certo senso utilizziamo questi frammenti multimediali come parte del nostro portfolio identitario da utilizzare nella costruzione e nella contrattazione sociale della nostra identità.

“Ecco spiegato perché ho bisogno di affetto, è la spinta dell’Eros” come dice Freud nel manuale!

Sono una persona fredda e distaccata, ecco perché mi identifico con la stella alpina!

Sono proprio quelle immagini suggestive che permettono di identificare una descrizione di noi, episodi, ricordi, accaduti nel passato che in un certo senso vengono a definire un Modello di Sé.

Oppure, barando inconsapevolmente con noi stessi, danno la possibilità di progettare un elaborato “mito personale” che ci descriva come piace a noi, o come desideriamo apparire agli occhi degli altri…

La sicurezza personale aumenta se le nostre scelte e opinioni sono condivise anche da altri, in particolare gli Altri (con la A maiuscola) quelle persone che per noi sono significative (Festinger, 1954).

La spinta al confronto cresce in maniera inversamente proporzionale alle informazioni che possediamo su di noi.

I dubbi sulla scelta del leone o della gazzella tra le immagini del test vengono facilmente risolti se la nostra cara amica sceglie la nostra stessa immagine, una scelta sicura, la nostra identità è salva e la nostra amicizia è più forte di prima, condividiamo le stesse scelte!

Il percorso psicoterapeutico è un altro modo molto più efficace e profondo per conoscere se stessi. Niente a che vedere con i test, tuttavia dobbiamo attentamente considerare la natura umana, in particolare quando è in terapia.

Tutti noi abbiamo un sussulto quando un’altra persona ci dice qualcosa di noi di cui non eravamo consapevoli. Abbiamo bisogno di commenti che ci facciano sentire accettati e ammirati, vogliamo imparare ma ci sentiamo umiliati quando qualcuno ci insegna qualcosa.

Il superamento di tale ferita narcisistica sta proprio nel raggiungimento in autonomia di una nuova comprensione del proprio mondo interiore, il riconoscimento da parte del soggetto del fatto che certe cose che lo riguardavano erano per lui prima ignote (Mc Williams, 2002).

È una sfida, e come tale non può essere accettata da tutti.

La battaglia contro i Sé possibili che tanto ci confondono si combatte con la conoscenza, come appunto ribadiva Socrate, anche leggendo le edizioni Hachette, che vogliamo farci…

 

BIBLIOGRAFIA

  • Amadei, G., De Coro, A., Lang, M., Madeddu, F., Rizzi, P. (2003). La comprensione clinico-dinamica del colloquio. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Festinger, L.(1954). A Theory of Social Comparison Processes. Human Relations, 7.
  • Fromm, E. (1977). Avere o essere? Milano: Mondadori.
  • Gomperz, T. (2013). Pensatori greci. Storia della filosofia antica dalle origini ad Aristotele e alla sua scuola. Milano: Bompiani.
  • Hume, D. (1982). Trattato sulla natura umana. Roma: Laterza.
  • Jung, C.G. (1946). Psicologia e educazione. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Markus, H.R., Mullally, P., Kitayama, S. (1997). Selfways: Diversity in modes of cultural participation. In U. Neisser & D. Jopling (Eds.), The conceptual self in context: Culture, experience, self-understanding. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Maslow, A. H. (2010). Motivazione e personalità. Roma: Armando Editore.
  • Mc Williams, N. (2002). Il caso clinico. Dal colloquio alla diagnosi. Milano: Raffaello Cortina Editore.

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