Sembra esserci una sorta di crudele ironia nell’invito, spesso ripetuto ma molto meno spesso seguito, a controllare le nostre emozioni.

Col suo tono ottocentesco presuppone infatti l’idea che le emozioni siano innanzitutto frutto della nostra volontà, che ci dona la possibilità di modificare la loro forma e funzione, nonchè di crearle qualora, desiderate, esse vengano a mancare.

Quante volte ci siamo sentiti dire: “controllati! Datti un contegno!”, oppure “Non devi arrabbiarti così tanto!”, o ancora (uno dei miei preferiti) “Dovete volervi bene!”. Quest’ultima ingiunzione vale doppio, impartita a due fratelli in contemporanea.

Ed è interessante che in questi casi, l’intenzionalità dell’atto annulla la spontaneità dell’emozione, rendendola irraggiungibile: alcuni studiosi hanno definito questa tipologia di comandi “doppi legami”, in quanto frutto di due esortazioni che si escludono a vicenda. Da un lato, “sii spontaneo”, dall’altro “prova intenzionalmente qualcosa che puoi solo sentire spontaneamente” (Sluzki e Ransom, 1978).

Tale concetto, dapprincipio rilevato all’interno degli studi sulle dinamiche comunicative familiari, non si limita a quel contesto. Infatti, se è vero che le erbacce sono le prime a moltiplicarsi, troviamo che siamo bravissimi a riproporre la stessa dinamica anche nella relazione con noi stessi. Cioè:

ci sforziamo di provare volontariamente qualcosa che possiamo sperimentare solo spontaneamente.

Impresa non solo impossibile ma, come mostreremo, persino dannosa.

Infatti, noi carnefici dello stesso, implacabile, tribunale inquisitorio, “cerchiamo di stare calmi”. Fedeli agli impegni presi, possiamo “impegnarci ad amare” la persona con cui stiamo. Sopprimiamo la paura oppure, come consiglia (non troppo saggiamente) qualche coach, “affrontiamo la giornata con il sorriso”, anche quando la pioggia diventa grandine. Abbiamo imparato l’importanza di “motivarci”, e di “eliminare i pensieri tossici”, e via discorrendo.

Ma esiste una gelida quando desolante verità che ci aspetta oltre le vette della volontà, che così caparbiamente ci siamo accinti a scalare: il controllo diretto sul pensiero spesso provoca risultati paradossali, il contrario in altri termini, di ciò che speravamo di raggiungere.

E non vorrei qui limitarmi agli studi riguardanti disturbi conclamati, in cui si evidenzia che l’evitamento della paura la fa aumentare fino all’attacco di panico (Nardone, 1990) o che la soppressione della tristezza porta alla sua crescita o permanenza per periodi significativamente più lunghi (Muriana et al., 2006), ma anche ai più piccoli e comuni turbamenti emotivi, ai pensieri indesiderati che quotidianamente vengono a farci visita.

Sappiamo ad esempio che lo sforzo di sopprimere un pensiero lo fa di molto aumentare di frequenza (Wegner, 1994); sappiamo che il tentativo di liberarsi di un ricordo lo fa cristallizzare nella memoria (Wegner et al., 1995); che la rimozione di un’emozione sgradevole o vergognosa la fa crescere (Quartana et al., 2007).

E sorge spontanea una domanda: in che cosa possiamo augurarci di avere controllo? Solo e soltanto sull’espressione delle emozioni (cioè di ciò che di quelle emozioni decidiamo di fare), e neanche per intero.

Infatti, sappiamo che l’espressione immediata delle risposte emotive è istintiva e universale – nonché completamente indipendente dalla nostra volontà (gli studiosi le hanno chiamate microespressioni – vedi Ekman, 2011).

È solo ciò che viene dopo che può essere controllato (e anche lì è bene andarci piano). Ma per poterlo fare dobbiamo concederci tutto ciò che la nostra mente – che è e sempre sarà anche indisciplinata, bugiarda e infantile – non smette di proporci. Lasciarci pensare, godere, odiare, invidiare e temere il mondo circostante, che non a caso è spesso sgradevole quanto lei.

A noi sta la possibilità di scegliere cosa fare di ciò che ci succede. Ma solo se lasciamo che ci accada.

 

Bibliografia

Ekman, P. (2011). I volti della menzogna. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, negli affari, nella politica, nei tribunali. Firenze: Giunti.

Muriana, E., Pettenò, L., & Verbitz, T. (2006). I volti della depressioneAbbandonare il ruolo della vittima grazie alla psicoterapia in tempi brevi. Firenze: Ponte alle grazie.

Nardone, G. (1990). Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte alle Grazie.

Quartana, P. J., Yoon, K. L., & Burns, J. W. (2007). Anger suppression, ironic processes and pain. Journal of Behavioral Medicine30(6), 455-469.

Sluzki, C. E., Ransom, D. C. (1978). Il doppio legame. La genesi dell’approccio relazionale allo studio della famiglia. Roma: Astrolabio.

Wegner, D. M. (1994). Ironic processes of mental control. Psychological review101(1), 34.

Wegner, D. M., & Gold, D. B. (1995). Fanning old flames: Emotional and cognitive effects of suppressing thoughts of a past relationship. Journal of personality and social psychology68(5), 782.

 

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