Il nucleo centrale della sintomatologia anoressica ruota attorno al binomio cibo-corpo. L’assunzione di cibo viene ridotta progressivamente a quantità sempre più esigue sotto il dettame del dover dimagrire. Il corpo dunque viene affamato, straziato, per il raggiungimento di un ideale di magrezza che non verrà mai raggiunto perché, nonostante le modificazioni fisiche che intercorrono nel tempo, il corpo viene percepito costantemente come troppo grasso.

Vi sono diversi fattori che influiscono sull’insorgenza dell’anoressia e diversi significati che si celano dietro i suoi sintomi. Ciò su cui questo articolo pone l’accento è il rapporto fra anoressia e dimensione corporea, senza dimenticare però che questo rappresenta solo un tassello dell’intera storia ben più complicata che costituisce l’anoressia nervosa.

La relazione che intraprendiamo con il nostro corpo è tutt’altro che semplice e lineare.

Vi sono in realtà non uno ma diversi corpi con cui veniamo a contatto e dobbiamo relazionarci: c’è il corpo sentito e senziente della carne, c’è il corpo in quanto visto (immagine corporea), il corpo come oggetto in movimento nello spazio (schema corporeo), il corpo come mezzo di relazione e contatto con gli altri ed infine il corpo come immagine che ci viene restituita dagli occhi altrui.

Tutti questi registri convivono ed interagiscono in maniera, il più delle volte, silente e determinano il modo in cui ognuno di noi è il suo corpo e allo stesso tempo si relaziona ad esso non essendolo ma come entità esterna (Carruthers, 2008).

Secondo la teoria strutturalista, e Lacan prima di tutti, il corpo umano è abitato, e strutturalmente costituito, da una doppia anima. Da un lato si trova la sua dimensione biologico-naturale che vive degli istinti del reale. Dall’altro lato si trova il corpo simbolico della civiltà, bonificato dalle significazioni della cultura che coprono il reale con il velo dell’immagine.

In questo senso, Lacan parla dell’esistenza di due corpi: “Il corpo vivente dell’organismo biologico ed il corpo -incorporeo- del linguaggio” dove il secondo agisce sul primo snaturandolo tramite trasformazione simbolica (Recalcati, 2010).

D’altronde, questo velo simbolico che costituisce il linguaggio sembra essere lontano dal ricoprire tutto ciò che linguaggio non è. Al contrario, vi è sempre una componente residuale, una “zona incandescente”, in cui il corpo mostra un eccesso impossibile da governare, una natura non bonificata e non bonificabile, resistente all’essere rappresentabile: un pezzo della nostra dimensione corporea che tuttavia ci è estraneo. È come se questo velo fosse costitutivamente troppo corto per poter ricoprire l’intera superficie del corpo e una parte di quest’ultimo rimanesse inevitabilmente scoperta.

Questo velo troppo corto gioca un ruolo fondamentale nello spiegare come la dimensione corporea viene vissuta all’interno dei disordini alimentari. Ciò che l’anoressia ci mostra, a questo proposito, è un tentativo di controllo, di padronanza assoluta su questo reale del corpo ingovernabile. Il corpo diventa un oggetto tra tanti nel mondo, senza scarti e senza pulsioni. “L’impresa dell’anoressia è un’ impresa di padronanza: governare il corpo esercitando su di esso un dominio della volontà, un controllo dei suoi appetiti caotici” (Recalcati. 2010).

In questo modo, l’anoressia erige una diga immaginaria contro l’angoscia che il reale del corpo può suscitare, contro la presenza di impulsi che non nascono per volontà soggettiva ma che il soggetto è ugualmente chiamato a soggettivare. Secondo Recalcati “l’anoressia sarebbe –dunque- un tentativo per cementificare l’immagine, per sottrarla alle perturbazioni dell’angoscia, per ribadire attraverso di essa un ideale del soggetto come pura identità”.

Il corpo viene negato in un’esasperazione ascetica che ricorda quella delle sante della tradizione religiosa: elevarsi al di sopra delle esigenze corporali.

Un movimento che i Kestemberg (1974) avevano denominato “vertigine della dominazione”. Secondo gli autori infatti le pazienti anoressiche ricercano attivamente la fame per non soddisfarla, vivendo in un’estasi “della non soddisfazione”. La rinuncia pulsionale diventa così un vero e proprio stile di vita. Un godimento innaturale, rovesciato di segno, che Recalcati ha denominato “godimento del vuoto”, e che si sostituisce a quello della sazietà.

Coerentemente, ricerche recenti hanno evidenziato un’associazione fra anoressia e risposte aberranti del sistema neurologico dopaminergico della ricompensa.  Tale sistema, verrebbe attivato nelle pazienti in risposta alla restrizione alimentare (invece che alla soddisfazione della fame) in una maniera simile a quella della dipendenza da sostanze (Scheurink et al, 2010). Contrariamente agli altri soggetti, dunque, le pazienti anoressiche proverebbero un forte senso di piacere alla frustrazione della fame, e tale sensazione di ricompensa ne provocherebbe poi il suo ripetersi.

La carne dunque si raffredda, si fa muta, secondaria, sullo sfondo, lasciando il posto all’ideale estetizzante del controllo. Tale silenzio passa anche per i processi percettivi primari che sembrano mostrare un funzionamento alterato. A tal proposito, un recente studio di Crucianelli e colleghi (2016) ha mostrato come in pazienti anoressiche stimolazioni tattili generalmente ritenute piacevoli siano percepite da quest’ultime come meno soddisfacenti.

In particolare, lo studio si proponeva di indagare la relazione fra anoressia e percezione del cosiddetto “tocco affettivo”.

Con il temine “tocco affettivo” si intende un accarezzamento della pelle che viene effettuato ad una frequenza intorno ai 3cm/s (cioè la frequenza con cui intuitivamente gli uomini si accarezzano). Tale stimolazione attiva specificatamente una famiglia di terminazioni nervose nota come “sistema afferente CT”, il quale a sua volta è legato alla sensazione di piacere che accompagna il contatto fisico, e che quindi si ritiene giochi un ruolo fondamentale nella formazione di legami affettivi interpersonali.

Dopo aver ricevuto il “tocco affettivo” però le pazienti analizzate valutavano tale stimolazione come meno piacevole rispetto al gruppo di controllo. I risultati della ricerca  portarono dunque ad avanzare l’ipotesi che, alla base dell’alterata percezione del corpo che contraddistingue l’anoressia, vi sia anche un’alterazione nel funzionamento del sistema afferente CT o nell’interpretazione della sua attivazione. Il corpo dell’anoressia sembra essere dunque un corpo silente, che non si emoziona, che non si sente, in cui ogni “tocco” sembra essere “anaffettivo”.

Contemporaneamente alla carne che si raffredda, che si fa oggetto, si accompagna invece un investimento libidico del regime scopico dell’immagine riflessa dello specchio.  Alla percezione della tridimensionalità della carne viva, del corpo in movimento, del corpo che vive nello spazio ed interagisce con altri corpi, si sostituisce invece la sua immagine bidimensionale, appiattita. “Il mondo si riduce alla superficie liscia e asettica dello specchio” (Recalcati, 1997).

Il corpo dunque non viene abitato ma guardato.

Il partner dell’anoressica diventa la sua immagine riflessa idealizzata a cui tende incessantemente senza però arrivare mai ad un punto d’arrivo. Perché l’immagine che lo specchio restituisce è inevitabilmente comunque sbagliata, non abbastanza magra, non abbastanza bella, non abbastanza. In questo modo, l’anoressia prende la forma di un cattivo infinito, un interminabile progetto in opera.

Nel processo di cura è quindi importante uscire da questo specchio cristallizzato per tornare alla carne, riallacciarsi al corpo, e riallacciare fra di loro i diversi registri che formano la percezione del corpo. Un percorso tutt’altro che semplice che deve passare anche attraverso processi di percezione basilare. È importante però tenere a mente che dietro all’ossessione per il corpo che l’anoressica esibisce si trova in realtà un corpo molto spesso dimenticato: ciò che sembra evidenza immediata è in realtà la parte più nascosta.

 

 

Riferimenti

Carruthers, G. (2008). Types of body representation and the sense of embodiment. Conscious Cogn. 17 (4).

Crucianelli, L., Cardi, V., Treasure, J., Jenkinson, P., Fotopoulou, A. (2016). The perception of affective touch in anorexia nervosa. Psychiatry Research, 239, 72-78.

Kestemberg E., Kestemberg J., Decobert S. (1974). La fame e il corpo. Roma (IT): Astrolabio Editore.

Lacan, J. (Tr. it.1982). Radiofonia e televisione. Torino (IT): Einaudi Editore.

Scheurink, J.W.,Boersma,G.J.,Nergårdh,R.,Södersten,P. (2010). Neurobiology of hyperactivity and reward: agreeable restlesness in anorexia nervosa. Physiol. Behav.100,490–495.

Recalcati, M. (1997). L’ultima cena: anoressia e bulimia. Milano (IT): Bruno Mondadori Editore.

Recalcati, M. (2010). L’uomo senza inconscio. Milano (IT): Raffaello Cortina Editore.

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Sofia Sacchetti
Sono psicologa abilitata in Lombardia, ed esercito la professione come libero professionista. Mi sono laureata in Psicologia Clinica a Pavia e in Research applied to Psychopathology presso l’Università di Maastricht, unendo nella mia formazione l’amore per la pratica clinica e la spinta verso la ricerca. La mia principale area di studio sono i disordini alimentari, tematica che ho incontrato e approfondito in tesi magistrale, sotto la guida del professor Massimo Recalcati, e durante diversi tirocini: in Olanda, con il team di Anita Jansen, e a Londra presso l’unità psicoanalitica di Peter Fonagy. Attualmente mi sto specializzando come psicoterapeuta a stampo psicoanalitico, e sto portando avanti un dottorato di ricerca sul tema della percezione del corpo nei disordini alimentari. Mi occupo di consultazioni e di interventi psicologici rivolti ad Adulti e Adolescenti. Negli ultimi anni ho svolto percorsi di supporto psicologico presso il consultorio del Women Health Information and Support Centre, e presso una Struttura Residenziale Psichiatrica Terapeutico-Riabilitativa. Ricevo privatamente a Milano, ma svolgo anche percorsi online a distanza. Per contattarmi: v.s.sacchetti@gmail.com

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