“Sola, ubriaca, voglio arrivare a casa”

“Non è abuso, è stupro”

“Sorella, io ti credo”

“Non è un caso isolato, si chiama patriarcato”

“Le strade e la notte sono anche nostre”

Avevo seriamente intenzione di scrivere di qualcosa di allegro questo mese, avevo già scaricato gli articoli, stavo rileggendo un libro ed avevo iniziato a scarabocchiare su fogli random i concetti importanti, poi su Facebook ho trovato un video della manifestazione del 4 maggio a Madrid, contro la cultura dello stupro.

Non mi reputo una persona sensibile, piango raramente, di commozione ancor meno, eppure vedere quelle immagini mi ha commosso perché ho pensato a quanto potesse essere importante per quella ragazza sentirsi dire “io ti credo”.

La “sorella” a cui queste donne, e anche gli uomini presenti, si stavano rivolgendo è una ragazza che all’epoca dell’aggressione, nel 2016, aveva soltanto diciotto anni. La notte di San Firmino cinque uomini si sono offerti di riaccompagnarla alla macchina e lei ha accettato.

Anziché mantenere la parola, però, l’hanno condotta nell’androne di un palazzo dove l’hanno stuprata ed hanno ripreso l’aggressione con il cellulare. Praticamente hanno fornito loro stessi le prove del reato alla polizia.

Nonostante ciò il tribunale ha stabilito che si trattasse non di stupro, ma di abuso sessuale, un reato minore secondo la legge spagnola.

Il motivo per cui si è arrivati a tale conclusione sembra essere che nel video la ragazza fosse immobile ed avesse gli occhi chiusi, insomma, non si stava difendendo e questo avrebbe potuto essere un segno di consenso.

Eppure, senza bisogno di scomodare la psicologia, da essere umano a me sembra la naturale risposta ad un’aggressione a cui si pensa di non avere scampo, specie se ci si rende conto che le cose potrebbero peggiorare in seguito ad una ribellione.

Se invece volessimo scomodare la psicologia dovremmo ricordare che potrebbe trattarsi di freezing, cioè una risposta automatica di congelamento motorio che si verifica quando vengono percepiti come impossibili sia l’attacco, sia la fuga, quando succede è come se ci fingessimo morti per sfuggire ad un predatore ed è proprio questa la sua origine evolutiva.

A questa ragazza però non era concesso, avrebbe dovuto agire “eroicamente”, altrimenti avrebbe significato che fosse consenziente.

La richiesta di agire con eroismo sembra essere in netto contrasto con una seconda accusa mossa alla ragazza dalla difesa, ossia quella di non aver subito un trauma. La deduzione sembra sia stata fatta in base a delle foto, successive allo stupro, in cui la ragazza sorrideva.

Le persone tornano a sorridere dopo aver subito gravi lutti, dopo essere sopravvissute a catastrofi, mentre sono al centro di un ciclone di difficoltà personali, è quello che molti si augurano di riuscire a fare e questo non annulla in nessun modo il fatto che abbiano subito un trauma, nemmeno questo però a lei era concesso.

Lei avrebbe dovuto difendersi con le unghie e con i denti, rischiando la propria vita, ma poi avrebbe dovuto recitare senza pause il copione della vittima, pena l’invalidazione della natura traumatica della sua esperienza.

Questo non è un problema spagnolo, anche in Italia si sono verificati casi simili, come quando alle studentesse americane che hanno dichiarato di essere state stuprate a Firenze da due carabinieri è stato chiesto se quella sera indossassero o no la biancheria intima, come se non farlo rendesse automaticamente il tuo corpo alla mercé di chiunque e fosse per chiunque un implicito consenso.

Fortunatamente però questa domanda non è stata ammessa dal giudice. O ancora quando in Francia un ventottenne ha abusato di un’undicenne e gli è stata inflitta la generica condanna di “reato sessuale”, ma non di stupro perché la ragazzina “non si è opposta”.

Che cos’è e che cosa c’entra la cultura dello stupro con le sentenze e con il tipo di domande ed insinuazioni che sono state fatte su queste ragazze? L’espressione “Cultura dello stupro” si riferisce a questioni multiple e pervasive che consentono di scusare, legittimare e vedere come inevitabile lo stupro e la violenza sessuale (White & Smith, 2004 p 174).

Nella cultura dello stupro uomini e donne assumono la violenza sessuale come un dato della vita (Buchwald, Fletcher, & Roth, 2005); secondo Wilhelm (2015) la cultura dello stupro banalizza, normalizza e perdona la violenza sessuale contro le donne.

In questo caso mi pare particolarmente evidente la banalizzazione del vissuto della ragazza del caso spagnolo, che se non si stava difendendo allora doveva essere consenziente e se ha osato sorridere in una foto allora non doveva aver subito subito un chissà quale trauma.

Uno degli elementi costitutivi della cultura dello stupro, inoltre, è l’accettazione dei miti sullo stupro (Klement, Sagarin & Lee, 2016), tra cui: lei non ha combattuto abbastanza, non erano coinvolte armi, lei ha implicitamente acconsentito a fare sesso e le donne mentono sullo stupro (Payne, Lonsway & Fitzgerald, 1999). Tutti elementi che è possibile trovare in qualche modo in questi casi.

Quando ho iniziato ad interessarmi alla cultura dello stupro l’ho fatto in relazione ai social network, leggevo i commenti alle notizie in cui si parlava di stupro e trovavo in ogni caso qualcuno che giustificasse l’aggressore o colpevolizzasse la vittima; non capivo, volevo capire, voglio ancora capire.

Nel tribunale del web però ci si aspetta questo ed altro, ma per quanto ne fossi già consapevole è stata dura constatare che questo tipo di cultura fosse presente anche nelle istituzioni, perché ciò costituisce un’altra prova che questa non è una subcultura, non è sostenuta soltanto da persone appartenenti ad un certo gruppo sociale.

È nelle nostre menti, nessuno di noi ne è esente, è la nostra di cultura. Penso che sia capitato anche a me di fare ragionamenti afferenti a questo tipo di pensiero in passato e se ci ripenso mi vergogno di me stessa, d’altro canto però non avrei potuto fare altrimenti, mi dico.

Siamo immersi nella nostra cultura, abbiamo nella testa ragionamenti, valori e credenze che non conosciamo fino in fondo, che diamo per scontati perché siamo abituati, per questo è importante palesare questi meccanismi, renderli evidenti. Per questa ragione ho cambiato idea ed ho deciso di scrivere della cultura dello stupro.

In parte credo sia necessario rendere evidenti certi meccanismi socio-culturali e in parte credo sia giusto denunciare e rendere fruibile una lettura sotto tale paradigma di questi casi di cronaca.

 

Bibliografia:

White, J. W., & Smith, P. H. (2004). A longitudinal perspective on physical and sexual intimate partner violence against women. 199708.Washington, DC: National Institute of Justice, NCJ.

Buchwald, E., Fletcher, P., & Roth, M. (2005). In E. Buchwald, P. Fletcher, & M. Roth (Eds.), Transforming a rape culture (pp. XI). Minneapolis, MN: Milkweed Editions.

Wilhelm, H. (2015). The ‘Rape Culture’ Lie: Zero Shades of grey. Commentary (New York, NY), 139(3), 24–29

Klement, K., Sagarin, B., & Lee, E. (2016). Participating in a Culture of Consent May Be Associated With Lower Rape-Supportive Beliefs. The Journal Of Sex Research, 54(1), 130-134.

Payne, D., Lonsway, K., & Fitzgerald, L. (1999). Rape Myth Acceptance: Exploration of Its Structure and Its Measurement Using theIllinois Rape Myth Acceptance Scale. Journal Of Research In Personality, 33(1), 27-68.

 

Video della manifestazione spagnola:

Directo en la manifestación contra la cultura de la violación

Pubblicato da Diario Público su venerdì 4 maggio 2018

 

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Federica Molteni
Piacere, Federica! Mi sono laureata in psicologia clinica presso l’Università di Milano Bicocca con una tesi riguardante la relazione tra varie forme di cyberbullismo sessuale, come lo slut shaming, e la cultura dello stupro sui social network. Nel 2016 ho trascorso sei mesi presso l’ISPA di Lisbona, periodo nel quale ho appreso la metodologia di stesura di un progetto di ricerca in ambito psicologico, scoprendo che la cosa mi interessa e mi motiva. Nel corso dell’ultimo anno, nel tempo libero, ho seguito un corso di improvvisazione teatrale ed ho scoperto che anche questa cosa mi piace e mi diverte. La quasi totalità delle esperienze di stage/volontariato ecc. che ho svolto sono state con i bambini. Lavorare con i bambini è sempre un piacere, ma in futuro vorrei operare (anche) con gli adulti. Ad oggi, mi piacerebbe poter mettere in piedi/partecipare a dei progetti che mirino ad ottenere un cambiamento sociale e migliorare le condizioni di vita dei partecipanti; in un futuro più lontano, invece, mi piacerebbe diventare una psicoterapeuta cognitivo comportamentale ed essere abilitata alla schema therapy. Contatti: f.molteni13@gmail.com

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