Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente. Prima o poi, i morti diventeranno un tutt’uno con noi; ma, nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d’essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell’eternità, non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo” .

Nel 1944, Carl Gustav Jung, medico psichiatra e pioniere della psicoanalisi, scrive queste righe in una lettera, dopo aver avuto un grave incidente ed essere finito in coma. In seguito, racconterà di un’ esperienza ai confini della morte, all’interno del suo testo autobiografico Ricordi, sogni e riflessioni (1961).

Quando sono venuta a conoscenza dell’esistenza di testimonianze come questa, al di là del forte impatto emotivo suscitato dal mio interesse a voler “entrare” in vissuti così rivoluzionari e dai  significati intimi rimandati dalla persona coinvolta, sono stata travolta da non pochi interrogativi.

Cosa ha vissuto questa persona? Ha immaginato tutto? Che rapporto c’è tra vita e morte? Che rappresentazione si ha della morte e quali sono le ricadute sul mondo di tali rappresentazioni? Quali vantaggi in termini di sicurezza psicologica?

Un’ esperienza ai confini della morte o esperienza di premorte, nota anche come Near Death Experience (NDE), può essere descritta come un’intensa esperienza psicologica che include uno stato non ordinario della coscienza, ossia avviene, solitamente, durante uno stato di apparente incoscienza, in seguito ad una condizione di rischio per la vita, come arresto cardiaco, incidente, coma ecc. (Greyson, 2010).

Il termine è stato coniato nel 1975 ma una delle prime esperienze di premorte ci è stata raccontata già a partire da Platone, attraverso il mito di Er nella Repubblica. La sua testimonianza, ancora oggi, può essere considerata come esempio dell’odierno tema, dibattuto a vari livelli dalla scienza, delle esperienze extracorporee e di premorte.

Che caratteristiche ha una NDE?

Le NDE sono esperienze in cui, solitamente, il paziente ha la sensazione di abbandonare il proprio corpo e di vederlo dall’esterno o dall’alto (Out of Body Experience), accompagnata dalla consapevolezza di essere morto.

La maggior parte delle persone che vive questa esperienza racconta: di aver provato sensazioni di benessere e gioia di straordinaria intensità e profondità; della visione di un tunnel di luce e/o di paesaggi paradisiaci o infernali; della sensazione che il tempo trascorresse più lentamente o più velocemente dell’ordinario; di aver avuto contatti con entità superiori, figure religiose e/o con persone decedute o che non si sapeva fossero morte; della visione di una soglia invalicabile (il punto di non ritorno), associata alla presenza di una figura mistica comunicante; della percezione, infine, di rientrare nel proprio corpo.

Quando sono stato fulminato mi sono visto passare tutta la vita davanti. Ho abbandonato la dimensione temporale per spostarmi in un presente permanente. Prima abbandoni il corpo, poi la materia e successivamente il tempo. Il rullino della mia vita vissuta si è esaurito piuttosto in fretta.

 Avevo vent’anni. C’era una luce che invadeva ogni angolo, senza essere però violenta. Tutto l’esistente sembrava come scomparso. Mi sentivo benissimo, in pace con me stesso e pieno d’amore. Sono passati quasi quarant’anni, ma ricordo ancora distintamente quella sensazione. 

 Poi la persona che era con me ha tirato su la corda a cui ero aggrappato, e mi sono risvegliato sull’orlo di un precipizio con un dolore fortissimo all’anca. Da quel momento la mia vita è cambiata” (Philippe, 59 anni).

Alcuni autori riportano diverse percentuali rispetto all’occorrenza di questa esperienza. In generale, si è visto che esperienze di premorte sono state riscontrate nel 9-18 % dei sopravvissuti ad un arresto cardiaco (Parnia et al., 2014; Vao Lommel et al, 2001); nel 38 % di chi ha avuto una rianimazione (Pacciolla, 1996); nel 17 % dei pazienti che riportano una qualche condizione di rilevanza medica (Zingrone e Alvarado, 2009) e nel 4% della popolazione generale (Schmied et al, 2001).

Un dato molto interessante evidenzia che le NDE sono vissute in tutto il mondo e in diverse fasce di età. Questo a dimostrazione della loro indipendenza da variabili demografiche, psicologiche e sociali (Holden et al, 2009).

Sono state rilevate, invece, differenze nei contenuti delle esperienze dovute alla cultura, al linguaggio e alle credenze religiose, sebbene il nucleo del vissuto sembri restare invariato.

Bisogna considerare, inoltre, che le NDE non si verificano solo quando si è vicini alla morte ma  anche in  caso di gravi condizione di salute, depressione, isolamento sociale, in seguito a traumi, in stato meditativo, durante il sonno.

L’International Association For Near Death Studies dichiara, infatti, che il 25% delle esperienze archiviate è stata riportata da persone che non erano vicine alla morte.

Un ultimo dato interessante è che esistono NDE che non hanno il tipico vissuto di piacevolezza e benessere sperimento dalla maggioranza delle persone. Circa il 3-15% delle esperienze, infatti, ha una connotazione negativa, che può avere diverse caratteristiche: senso di incomprensione e perdita di controllo; percezione di un senso di vuoto; crisi di identità e di significati; visione di scenari infernali, con presenza di demoni e con un senso di caduta eterna nell’oscurità (Greyson e Bush, 1992, 1996); sentimenti negativi associati alla propria life review (Rommer, 2000).

Quali sono gli effetti più comuni della NDE?

L’esperienza di premorte, spesso, genera dei cambiamenti stravolgenti in chi la vive. Vi è una vera e propria rivoluzione del pensiero, che porta al costituirsi di nuovi significati personali, una maggior espressione dei propri stati interni, un aumento dell’autostima e dell’empatia, una ristrutturazione delle proprie priorità, credenze e valori rispetto alla vita e alla morte.

Possono, però, esserci anche effetti negativi  sia sul piano psicologico che interpersonale: interruzione di carriere lavorative, separazioni e divorzi, depressione, stati confusionali e dubbi sulla propria salute mentale (Bush, 1991; Morris e Knafl, 2003; Bianco et al, 2017).

Come possiamo interpretare il verificarsi di questa esperienza?

Secondo una prospettiva riduzionista, la NDE potrebbe essere spiegata considerando processi che accadono all’interno del cervello ed essere vista come il risultato di un malfunzionamento metabolico, di stati mentali alterati e di suggestioni successive all’episodio traumatico.

Questa visione della realtà monista, presuppone che la mente e la coscienza siano il risultato dei processi biologici che avvengono nel nostro cervello.

Si pensa, pertanto, che l’esperienza possa verificarsi in un momento in cui il cervello è ancora attivo, considerando che per avere una serie di ricordi codificati ed immagazzinati a livello cerebrale è necessaria una certa attività neuronale (Braithwaite, 2008).

Secondo una prospettiva “trascendente”, la NDE non può essere spiegata, soltanto, tramite processi biologici e psicologici, ma necessita di qualcosa di più, che dovrebbe verificarsi al di fuori del cervello.

Si fa riferimento ad una visione della realtà duale (mente e corpo non possono essere ridotti l’uno nell’altro) e alla possibilità che la coscienza possa separarsi dal corpo e persistere dopo la cessazione delle funzioni organiche.

Abbiamo, inoltre, alcune teorie biologiche secondo le quali l’anossia cerebrale (Lempert et al, 1994) e un’alta presenza di anidride carbonica (Klemenc- Ketis et al, 2010) possono creare disinibizione neurale in specifiche aree cerebrali, provocando fenomeni simili a quelli delle NDE.

Uno dei punti critici di queste teorie è che un’ attività cerebrale compromessa in tal misura (teoricamente con EEG piatto) non può essere associata all’estrema vividezza con cui, tipicamente, la persona riporta di vivere una NDE (Agrillo, 2011).

Infine, ci sono diverse teorie psicologiche secondo le quali  i contenuti delle NDE subirebbero, necessariamente, l’influenza delle aspettative della persona (un cristiana che vede il paradiso e Dio).

L’esperienza potrebbe essere vista, inoltre , come una reazione alla minaccia di morte ed un tentativo dell’organismo di far fronte ad una situazione potenzialmente pericolosa ed angosciante (Noyes e Kletti, 1976).

Infine, vi è la possibilità che possa trattarsi di allucinazioni (Shemer, 2013) o di falsi ricordi (French, 2001), costruiti dopo l’esperienza per difendersi da un’interpretazione dell’accaduto inassimilabile e per giustificare quello che è successo, dandosi una spiegazione più rassicurante.

La criticità di questo tipo di interpretazioni è che se fosse tutto dovuto ad un’elaborazione psicologica, si dovrebbero osservare, allora, molte più differenze tra le varie culture in cui le NDE si verificano. Troviamo, invece, molte somiglianze (Kelleheat, 2009).

Si hanno, tra l’altro, simili esperienze in bambini (che si presume non abbiano ancora una chiara aspettativa di morte) ed adulti (Gabbard e Twemlow, 1984; Morse et al, 1986; Sutherland, 2009); esperienze che divergono dalle aspettative della persona (un ateo che incontra figura religiose) (Abramovitch, 1988); somiglianze tra le NDE di chi aveva o meno informazioni sull’esistenza delle stesse (Greyson e Stevenson, 1980).

In conclusione, è evidente che la questione risulti, ad oggi, ancora aperta e mostri non poche criticità. Vi sono diversi problemi metodologici dovuti, per esempio, al fatto stesso che  l’esperienza risulti estremamente soggettiva ed inaccessibile a terzi in maniera diretta e al fatto che venga, sempre, studiata a posteriori e non nell’esatto momento in cui si verifica.

Inoltre, seppure non sia stato, ancora,  possibile valutare lo stato d’animo della persona prima di vivere una NDE, ciò che resta di fondamentale importanza, al di là della riflessione ontologica e filosofica sull’esperienza, è l’impatto psicologico che la stessa ha sulla persona.

Al di là della sua veridicità o meno, l’esperienza è reale dal punto di vista fenomenologico: chi la vive sa, con assoluta certezza, che quello che ha vissuto è vero, come nel caso di qualsiasi esperienza psicologica.

Le NDE hanno un enorme valore trasformativo e portano il paziente a superare la paura della morte. Molti cominciano a vedere la vita sotto un altro profilo e ad elaborare nuove e diverse prospettive metacognitive. Per gran parte dei pazienti esaminati avviene una fase fisiologica di crisi e di trasformazione in cui il soggetto, partendo dalla sua visione precedente della vita, elabora una nuova strategia di intendere la vita e il mondo in un senso cognitivamente più evoluto e più bello” (E. Facco, 2010).

Bibliografia

Agrillo, C. (2011): Near-death experience: out-of-body and out-of-brain?. Review of General Psychology.

Facco, E. (2010): “Esperienze di premorte – Scienza e coscienza al confine tra fisica e metafisica”, edizioni Altravista

Greyson, B. (2013): Getting Comfortable With Near Death Experiences. Missouri Medicine.

Holden, Greyson, & James (Eds.), The handbook of near-death experiences: Thirty years of investigation (pp. 109-133).

Jung, C.G. (1961): Ricordi, sogni e riflessioni, 1998.

Moody, R. (1975): Life after death. Atlanta: Mockingbird Books.

Van Lommel, P., van Wees, R., Meyers, V., & Elfferich, I. (2001): Near-death experience in survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Netherlands.

CONDIVIDI
Articolo precedente“Dove finiscono le parole inizia la musica”
Articolo successivoBibliofilia ed empatia: il potere trasformativo della lettura
Josephine Zammarrelli
Mi presento...sono la Dott.ssa Josephine Zammarrelli, laureanda in Psicologia Clinica presso l’Università degli studi di Padova, dove ho svolto un tirocinio accademico con finalità di Ricerca scientifica nell’ambito dell’Invecchiamento. Nel 2019 ho completato uno stage teorico-esperienziale, della durata di un anno, presso la De Leo Fund Onlus di Padova, dove tuttora collaboro come operatrice attraverso servizi di supporto al lutto traumatico e come Executive Administrative Assistant. Da giugno 2020 sono iscritta al Corso di Project Management presso l’Istituto Italiano di Project Management (ISIPM) con sede a Padova. Di recente ho collaborato ad un lavoro di ricerca scientifica sul tema della comunicazione di morte traumatica, intitolato: “Notification of Unexpected, Violent and Traumatic Death: A Systematic Review” e pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology. In contemporanea al percorso formativo, coltivo da alcuni anni l’interesse per la comunicazione attraverso diverse forme d’arte (in particolare, la danza e la pittura ad olio). La comunicazione è vita e “Cultura Emotiva” rappresenta per me un’ulteriore occasione per conciliare questa mia personale esigenza con l’amore per il complesso ed affascinante mondo della psicologia. Contatti: jzammarrelli@virgilio.it

ADESSO COSA PENSI?