Articolo di: Silvia Testa

Le sostanze psichedeliche come LSD, funghi allucinogeni, psilocibina e mescalina sono rinomate per la loro capacità di alterare lo stato di coscienza, le capacità sensoriali, la percezione del tempo e dello spazio.

Quando si assume uno psichedelico si ha il cosiddetto “trip” (viaggio), in quanto la percezione della realtà si modifica a tal punto da sembrare di essere partiti per un viaggio verso un mondo totalmente diverso da quello a cui si è abituati.

A volte questa sensazione può essere percepita come piacevole poiché ci si sente in pace con se stessi (good trip), altre volte può scatenare sensazioni psico-fisiche negative, disagio e panico (bad trip).

Se la droga viene assunta quotidianamente e per molto tempo vi possono essere effetti esagerati quali allucinazioni, panico, psicosi, tentativi di suicidio.

Recenti ricerche e sperimentazioni dimostrano che le sostanze psichedeliche non comportano solo rischi ed effetti negativi ma possono essere un valido aiuto nel trattamento delle dipendenze e degli alleati alla psicoterapia nella cura di depressione, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post-traumatico da stress.

I poteri curativi e magico-divinatori dei funghi allucinogeni sono stati scoperti moltissimi anni fa: le testimonianze dei primi conquistatori in America e il ritrovamento di numerosi reperti come le pietre-fungo, dimostrano l’esistenza di un culto antichissimo del fungo allucinogeno soprattutto in Guatemala e in Messico.

Gli aztechi in particolare ritenevano sacro il cactus peyote, la pianta da cui si ricava un allucinogeno naturale, la mescalina, la cui ingestione dà effetti simili a quelli dell’LSD. Grazie alla sensazione di trascendenza e di illuminazione che questa sostanza è capace di dare, i popoli antichi la utilizzavano durante i riti e le cerimonie religiose e ancora oggi gli sciamani e alcune tribù indiane d’America ne fanno uso abituale.

L’LSD fu invece sintetizzata intorno al 1940 da Albert Hofmann, un chimico dell’azienda farmaceutica Sandoz, il quale entrò in contatto per errore con una piccola quantità della sostanza.

Hofmann raccontò di aver visto per circa due ore immagini meravigliose, forme straordinarie e un effetto caleidoscopico di colori.  Successivamente decise di assumere intenzionalmente l’LSD per studiarne gli effetti e nel 1979 pubblicò un libro intitolato LSD. Il mio bambino difficile, dove offrì un quadro completo della sostanza, descrivendone le sue possibilità di impiego e i rischi associati ad un consumo sregolato.

Sulla scia di Hoffman ci sono stati altri ricercatori che hanno approfondito le proprietà dell’LSD:  nel 1949 il dottor Max Rinkel a Boston e il dottor Nick Bercel a Los Angeles, iniziarono un lavoro sistematico sulla sostanza; nel 1952 Charles Savage pubblicò il primo studio riguardo l’uso di LSD per facilitare la psicanalisi nella cura della depressione; nel 1953 Humphrey Osmond curò gli alcolisti dalla dipendenza con l’LSD e venne aperta in Inghilterra da Ronald Sandison la prima clinica di psicoterapia con LSD.

Si stima che solo in America il governo spese circa quattro milioni di dollari per finanziare studi sperimentali sull’uso dell’LSD, in cui furono coinvolti più di 1700 soggetti. I risultati furono spesso positivi nel trattamento di disturbi ossessivo-compulsivi, nelle terapie del dolore, per risolvere l’alcolismo.

In quegli anni fu scoperto, inoltre, che le sostanze psichedeliche favorivano la creatività e Ken Kesey,  autore del celebre romanzo “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, dopo aver preso parte volontariamente ad uno studio sulle sostanze psicoattive presso l’Università di Stanford, arrivò addirittura ad organizzare feste soprannominate “Acid Tests“, durante le quali gli invitati assumevano LSD in un’ambientazione psichedelica con musica dei Grateful Dead, pareti fluorescenti e luci stroboscopiche.

L’uso dell’LSD si diffuse a macchia d’olio tanto da scatenare l’allarme mediatico e il panico collettivo, pertanto la Sandoz decise di ritirare la droga dai laboratori e nel 1970 il presidente americano Nixon firmò il Controlled substances act, una legge che vietava l’uso di allucinogeni per qualsiasi scopo.

Furono quindi interrotti gli studi sperimentali e le scoperte fatte furono quasi dimenticate, almeno fino a qualche anno fa, quando diversi ricercatori hanno dato nuove speranze alla terapia psichedelica.

Come Stephen Ross, un professore di psichiatria della facoltà di medicina dell’università di New York, il quale dirige uno studio sulla psilocibina ed ha sostenuto che “nei malati di cancro una sola dose produce un’immediata riduzione dell’ansia e della depressione e il miglioramento dura almeno sei mesi”.

Michael Pollan, rinomato giornalista, nel suo libro pubblicato recentemente How to change your mind: what the new science of psychedelics teaches us about consciousness, dying, addiction, depression and transcendence, ha cercato di capire quali siano le qualità di queste “medicine” tuttora illegali e dopo aver analizzato la recente documentazione scientifica, ha deciso di sperimentare in prima persona (con l’assistenza di guide esperte) LSD, psilocibina, Dmt e ayahuasca per riportarne in dettaglio le esperienze.

Secondo Pollan la rinascita delle ricerche sugli allucinogeni è stata possibile grazie alla competenza dei suoi sostenitori, degli scienziati esperti con una lunga carriera alle spalle e centri di ricerca all’avanguardia.

L’autore è giunto alla conclusione che questo settore di ricerca è molto promettente ma bisogna sempre tenere a mente che l’uso di sostanze psichedeliche a scopo terapeutico può essere portato avanti solo sotto la supervisione di professionisti, tenendo conto dei possibili rischi.

Se l’uso ricreativo di tali droghe è spesso associato a casi di psicosi, allucinazioni e suicidi, è vero anche che negli esperimenti condotti sinora dall’università di New York e dalla Johns Hopkins, in quasi 500 somministrazioni, non si è mai verificato nessun effetto collaterale. Ciò si può spiegare col fatto che i volontari sono stati attentamente selezionati, preparati e guidati da terapeuti.

Una ricerca pubblicata nel 2011 da Michael e Ann Mithoefer sul Journal of Psychopharmacology ha dimostrato che un uso occasionale di metilenediossimetanfetamina (MDMA) in unione con una psicoterapia mirata può migliorare le condizioni dei pazienti che soffrono di Disturbo Post-Traumatico da Stress.

L’MDMA combinato alla psicoterapia riuscirebbe infatti a placare sintomi comuni nel DPTS, come ansia, paranoia, incubi e depressione in maniera nettamente superiore rispetto alla stessa terapia ma senza la somministrazione della droga, o con la somministrazione di un placebo.

Inoltre, sembrerebbe che alcuni mesi dopo aver ricevuto questo trattamento, circa l’80 percento dei pazienti non rientrasse più all’interno dei parametri per diagnosticare DPTS, i benefici della cura persistevano anche anni dopo e non vi era traccia di effetti negativi sulla salute associati all’uso di MDMA.

La scrittrice Ayalet Waldman nel libro A really good day: how microdosing made a mega difference in my mood, my marriage, and my life (2017) racconta che dopo aver provato diversi trattamenti contro la depressione senza alcun effetto, si è imbattuta nelle ricerche dello psicologo James Fadiman che dal 2010 stava studiando l’effetto delle micro-dosi di LSD sull’umore dei pazienti.

Le è stata prescritta una micro dose ogni tre giorni e il mese successivo all’inizio del trattamento la scrittrice ha notato i primi benefici: “Dopo le prime dosi, è come se il computer del mio cervello si fosse riavviato. Ero ancora vittima degli sbalzi d’umore. Avevo giorni davvero buoni e altri pessimi, giorni in cui invece era la solita solfa. In ogni caso, però, anche i giorni più difficili non erano da incubo, avevo la capacità di lavorare sui problemi come non avevo mai fatto prima. Di sicuro, miravo alla felicità. Ciò che ho ottenuto è stata una distanza abbastanza ampia dal dolore in cui ero immersa, che potesse darmi la possibilità di lavorare sulle cause scatenanti di quella situazione”.

In che modo l’LSD riesce ad avere un effetto antidepressivo? Semplicemente è stato scoperto che L’LSD è un agonista serotoninergico, cioè stimola i recettori della serotonina, che è il principale neurotrasmettitore responsabile del controllo dell’umore.

Inoltre, secondo lo psicologo Ralph Metzner, che partecipò oltre quarant’anni fa alle prime ricerche sulle sostanze psichedeliche alla Havard University con i colleghi Timothy Leary e Richard Alpert, le dipendenze e alcune malattie quali depressione e disturbo ossessivo-compulsivo hanno in comune una sorta di fissazione dell’attenzione ed un restringimento della capacità percettiva, quindi una limitazione di consapevolezza. Ciò è l’opposto degli stati mistici e trascendenti indotti dalle sostanze psichedeliche, che invece implicano un’espansione dell’attenzione e delle percezioni.

Per introdurre abitualmente gli allucinogeni come ausilio alla psicoterapia e nella cura delle dipendenze è ancora presto ma si spera che il tabù che circonda gli allucinogeni non influenzi il progredire di una ricerca seria e articolata.

Una certa quantità di rischio esiste, ma come disse Abraham Maslow “la vita è un processo in cui si deve costantemente scegliere tra la sicurezza (per paura e per il bisogno di difendersi) e il rischio (per progredire e crescere)”.

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