Leggendo il libro “Aiutami a diventare grande” di Tania Scarlaccini con la collaborazione di Flavio Cannistrà e Tania da Ros ci si imbatte in un suggerimento peculiare.

Si tratta di un libro ben scritto, abbastanza corto da non diventare un impegno a lungo termine ma ricco di riflessioni, consigli pratici e casi reali.

Arrivando al capitolo 3, incontriamo quattro principi che sono considerati fondamentali nel lavoro con bambini e ragazzi alle prese con qualche problema, sia familiare che scolastico. Il primo, in particolare, recita:

“Intervenire ogni volta come se fosse la prima”.

Rimaniamo stupiti da tale invito: non è forse il contrario di ciò che si fa abitualmente con le persone – qualsiasi persona – nella vita di tutti i giorni? Impariamo a conoscerla pezzo a pezzo, costruendo il modo in cui interagiamo con lei su ciò che sappiamo – o che pensiamo di aver imparato – da tutte le volte precedenti.

Al contrario, la Scarlaccini ci invita ad una prospettiva diversa:

ogni problema si mantiene nel tempo grazie ai modi in cui il contesto attorno al ragazzino/a si organizza attorno a lui, spesso nel tentativo di risolverlo.

Prendiamo un esempio comune: una coppia ritorna a casa dal lavoro, e al rientro dei genitori il bambino di quattro anni comincia a fare il diavolo a quattro. Sembra preso da una agitazione irrefrenabile, rovescia oggetti in terra, grida e corre, pare aver perso ogni barlume di controllo di sè, rischia di farsi male o di rompere qualcosa.

I due genitori, già provati dalla lunga giornata, vorrebbero solo riuscire, per una sera, a godersi un po’ della serenità che hanno tanto meritato; al contrario si trovano immersi in una caleidoscopica e rumorosa confusione.

Pare una situazione senza uscita: sembra che il bambino si sforzi di fare l’opposto di ciò che i genitori gli chiedono, come se fosse intenzionato a violare sistematicamente ogni regola della casa, regola che pure dimostra di conoscere bene, se non altro per la precisione chirurgica con cui la infrange.

I due sconfortati, si sforzano di dargli un contenimento, di ribadire le più banali regole della casa e quando, infine, ogni tentativo fallisce, arriva lo scapaccione, che termina l’escalation in un pianto che non soddisfa nessuno.

Purtroppo, di armistizio si tratta, non di pace duratura: tutto è rimandato al giorno successivo, quando il ciclo ricomincia.

Il bambino passa la giornata con la babysitter fino al rientro dei genitori, all’ora di cena; entrambi dirigenti di successo, giornate piene, gente da incontrare, cose da fare. In breve tempo il piccolo ha osservato, seppur in modo inconsapevole, che ogni intemperanza serale, ogni marachella, ogni piccolo dispetto attivano l’attenzione e la dedizione dei due genitori, attenzione che forse, data la stanchezza, faticano a dargli.

E giorno dopo giorno, nonostante le grida e le occasionali sculacciate la preoccupazione dei due, occhieggiando ben prima dell’uscio di casa, ricorda loro con angoscia ciò che li aspetta: sanno che dovranno sgridarlo, fermarlo, bloccarlo; inoltre, per l’effetto abituativo che diminuisce l’importanza percettiva di uno stimolo ripetuto (Sacks, 2018), ogni sgridata scema l’efficacia della ramanzina successiva, rendendo il piccolo “monello” sempre più impermeabile alle paternali a venire.

 

I due genitori dell’esempio sono presi nella classica spirale del “more of the same” – più dello stesso – che Watzlawick (1974) aveva descritto così bene: quando una tentata soluzione non funziona, spesso non viene abbandonata, ma incrementata in quantità, portando ad un gioco senza uscita del quale tutti i partecipanti sono sia vittime che carnefici involontari.

È precisamente a questo punto che si inserisce l’invito della Scarlaccini: intervenire ogni volta come fosse la prima” implica un’apertura alla variabilità e alla novità che previene lo strutturarsi di situazioni complesse in cui i ruoli, cristallizzati, intrappolano chi li interpreta.

Ipoteticamente, il padre e la madre dell’esempio potrebbero decidere di passare intenzionalmente del tempo di qualità con il bambino non appena tornati a casa; scegliendo assieme il gioco più bello, l’attività più gratificante, dedicandogli volontariamente l’attenzione più disinteressata.

Questo, da un lato, toglierebbe potere al comportamento oppositivo del bambino: si troverebbe infatti, a fronte di tale comportamento, davanti al rischio di perdere quel tempo di qualità (tanto più piacevole!) che i genitori comunque gli garantiscono.

Un modo per risolvere il problema indirettamente, o come direbbe lo stratega (Nardone, 2003), di “Far salire il nemico in soffitta e togliere la scala”.

Profezie che si autoavverano

Ma esiste un altro ragionamento che rende più che sensata la raccomandazione di Tania Scarlattini: ognuno di noi, infatti, costruisce il proprio modo di vedere sè stesso, di raccontarsi, attorno alla rete di comunicazioni, verbali e non verbali, veicolate dalle relazioni nelle quali è immerso (vedi Watzlawick, 2018).

Ciò implica che una serie di attributi mentali che sono stati teorizzati interni alle persone sono costruiti prima di tutto nelle relazioni, delle quali, manco a dirlo, quelle familiari costituiscono un sottoinsieme di fondamentale importanza, soprattutto in età dello sviluppo.

Quando la famiglia struttura la propria rappresentazione del bambino attorno al problema comportamentale che manifesta, come se fosse una sua caratteristica, tende fatalmente a costruire la sua identità come problematica, il paziente designato, come lo hanno chiamato i terapeuti sistemici.

Ogni identità tende a confermare sè stessa, come ogni profezia può creare le condizioni per la sua realizzazione: l’invito ad intervenire ogni volta come fosse la prima permette altre narrazioni, altre soluzioni, altre evoluzioni.

 

Riferimenti Bibliografici

Nardone, G. (2003). Cavalcare la propria tigre. Firenze: Ponte alle Grazie.

Sacks, O. (2018). Il fiume della coscienza. Milano: Adelphi.

Scarlaccini, F., Cannistrà, F. & Da Ros, T. (2017). Aiutami a diventare grande. Guida strategica per i problemi di comportamento di bambini e ragazzi. Roma: EPC Editore.

Watzlawick, P., Weakland, J. H., & Fisch, R. (1974). Change: Principles of problem formation and problem resolution. New York: Norton & Company.

Watzlawick, P. (2018). Il codino del Barone di Munchausen. Ovvero: psicoterapia e “realtà”. Milano: Feltrinelli.

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