P: psicologo, S: supervisore.

P: S. frequenta la prima media in un istituto piacentino. I genitori giungono in consultazione perché sono interessati a capire la natura delle difficoltà in matematica del figlio. In particolare vorrebbero chiarire se queste siano riconducibili a obiettive difficoltà o siano piuttosto conseguenza della sua emotività.

I genitori informano che S. è un bambino che privilegia l’apprendimento a memoria, a discapito della profonda comprensione degli argomenti, tanto che spesso fa fatica a generalizzare piuttosto che a mettere in relazione diversi concetti.

Di fronte a una difficoltà reagisce bloccandosi o scoraggiandosi, ritenendo di non poterci riuscire. Ha un grande senso del dovere, interessato a ben riuscire, si impegna molto, anche se non in maniera proporzionale ai risultati che riesce a raggiungere.

Ma c’è un’importante premessa da fare che riguarda questo ragazzino: i genitori segnalano che presenta una forma di mutismo selettivo, nonostante non abbiano nulla di certificato che lo documenti.

Al COSPES (Centro di Psicologia Clinica ed Educativa di Milano), presso cui ho svolto il mio tirocinio formativo, nelle supervisioni cliniche ai processi diagnostici per bambini e adolescenti con sospetto DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento), spesso si incontrano casi di questo tipo.

In questi casi, le difficoltà specifiche a livello di qualche abilità scolastica si intersecano con quadri emotivi e personologici caratterizzati da fragilità. Proprio per questo motivo grande importanza è attribuita ad un assessment multidimensionale che prenda in esame il funzionamento cognitivo di base, le abilità scolastiche e il funzionamento emotivo dei ragazzi.

I dati raccolti tramite i test e il colloquio sono poi integrati in un struttura narrativa coerente che è relazione clinica, preludio della quale è proprio la supervisione clinica.

S: Ma con te ha parlato?

P: Devo dire che a mano a mano che siamo andati avanti negli incontri ha parlato sempre di più. In effetti sin da piccolino i genitori hanno evidenziato che con loro a casa parla tantissimo, quasi in maniera eccessiva, ma quando si trova con adulti al di fuori della cerchia del nucleo familiare non parlava più, si chiudeva …

 S: E i genitori hanno fatto qualcosa a riguardo?

P: Era stato riferito ai genitori che non vi era alcuna problematica di apprendimento, nonostante la presenza di fragilità emotive. Dopo questa valutazione, il bambino è stato preso in carico per due anni e al momento ha interrotto il percorso. I genitori non sembrano essere intenzionati a proseguire un lavoro sugli aspetti emotivi, tant’è che la loro idea era solo quella di valutare gli aspetti di difficoltà legati alla matematica.

La difficoltà scolastica è spesso il motivo principale della valutazione. La preoccupazione dei genitori è sovente limitata a trovare la risposta ad una domanda: perché nostro figlio va male a scuola?”. Questo stato di incertezza, che vede intersecarsi paure e aspirazioni, spesso fa perdere di vista le emozioni che i figli attualmente provano.

Ma le dinamiche emotive, in questo processo, fenomenologicamente si inseriscono, a vari livelli: talvolta coesistono con le difficoltà di apprendimento, talvolta ne sono esito, talvolta ne stanno alla base. Ecco perché è importante che questi aspetti siano presi in esame sempre.

In questa specifica situazione, il mutacismo elettivo, ovvero la reticenza del bambino a parlare in alcuni specifici ambienti e con alcune specifiche persone (DSM-V), è sintomo di una evidente dinamica emotiva-relazionale di indubbia attenzione clinica.

S: Raccontami che cosa è emerso dalla valutazione.

P: Alla WISC-IV che gli ho somministrato è emerso un QI di 93 alla comprensione verbale (ICV – indice di funzionamento cognitivo di tipo verbale), con marcate difficoltà soprattutto negli aspetti di categorizzazione e lessicali, mentre è riuscito meglio nelle prove di ragionamento visuo-percettivo (IRP – indice di funzionamento cognitivo di tipo non-verbale), dove ha un QI di 102.

A livello di funzionamento intellettivo è nella media, la difficoltà maggiore è nell’area verbale, soprattutto con una caduta nelle Somiglianze (prova in cui si richiede di ragionare sugli aspetti di somiglianza fra due parole o cose).

Qui lo psicologo parla del test utilizzato nella valutazione del funzionamento cognitivo. Preliminare alla possibilità di porre diagnosi di DSA, vi è proprio il riscontro di un profilo cognitivo “nella norma” e nella media sul piano statistico, ovvero rispetto alla popolazione generale. Ma il test di intelligenza ci dice molto altro, tutto sta nella capacità clinica di “farlo parlare”.

P: Un QI verbale ai limiti inferiori della media, non potrebbe essere correlato con la sua tendenza a parlare poco?

S: Beh parla poco in certe situazioni, parla poco a scuola … Sulla base di motivazioni sue sceglie di ridurre la comunicazione a qualcuno.

Abbiamo detto che questo ragazzino ha una caduta netta nel ragionamento inferenziale alla WISC. Il ragionamento inferenziale, permette di porre le basi della categorizzazione, che è possibile nella misura in cui noi abbiamo una sorta di criterio per ordinare la nostra esperienza.

Allora si direbbe che questo è un ragazzino forse un po’ confuso a livello mentale, una confusione che di certo correla con la sofferenza che c’è dietro alla condizione di mutismo. Cosa abbiamo sul piano degli apprendimenti?

A questo punto occorre sondare le abilità scolastiche di lettura e comprensione, scrittura, grafismo (se necessario) e abilità di calcolo. In questo caso il motivo dell’invio è legato a difficoltà matematiche, ma d’altronde i numeri, oltre ad essere oggetto di operazioni logiche e aritmetiche, si leggono e si scrivono: si procede allora ad una valutazione globale, avvalendosi di batterie standardizzate, quali le prove MT di Colpo e Cornoldi, la DDE di Sartori, Job e Tressoldi, la BDE di Biancardi e Nicoletti, ecc.

P: Non c’è alcuna difficoltà nelle capacità di lettura, è anzi più veloce della media. Ha delle difficoltà invece nella comprensione del testo. Nel dettato di brano la prestazione è sufficiente, invece nella matematica non si riscontrano delle problematiche ma emerge la lentezza che comunicano i genitori.

Gli ho somministrato la BDE, sottoponendogli anche i problemi aritmetici, per capire il suo funzionamento logico. La BDE non attesta la presenza di un disturbo in area matematica (discalculia).

Poi ho chiesto se alle elementari la scuola avesse steso un PDP (Piano Didattico Personalizzato) ma mi hanno detto di no, e che per ora non ha trattamenti differenti dagli altri, perciò mi verrebbe e in mente di proporre il BES (Bisogni Educativi Speciali) per proteggerlo da un punto di vista scolastico.

Qui il clinico, a fronte di un ragionamento condotto sulla scorta di quanto emerso dai test, propone una certificazione, quella del BES, in grado di attestare e di tutelare le difficoltà del ragazzo, tenendo conto che queste sono tali da rappresentare ostacoli al suo diritto allo studio.

Non è quindi stato possibile diagnosticare un DSA, motivo dell’invio. Il ragazzo di fatto non presenta ancora delle difficoltà di interesse clinico nei domini delle abilità scolastiche, ma laddove non si attesta interesse clinico si innesta, comunque, quello pedagogico: aiutare S. ad imparare.

S: E questo BES come si pone in relazione al mutismo? Come si rapporta la sua emotività con la scuola?

P: Nel QPA (questionario di autovalutazione circa lo specifico rapporto del ragazzo con gli apprendimenti e la scuola) è basso nel consolidamento e approfondimento degli apprendimenti, ma non perché non metta l’impegno, ma quando incontra una difficoltà preferisce non affrontarla.

A mio parere, questa modalità di inibizione è determinata dal fatto che lui fa fatica a tollerare la frustrazione: piuttosto di incorrere in un fallimento non fa niente. Fa così per salvaguardare la sua autostima e il suo orgoglio.

S: Essendo questo difetto della comunicazione anche un’etichetta DSM, è importantissimo valutare questi      aspetti                 di personalità.

Vediamo il Wartegg (test proiettivo di disegno, che richiede al soggetto di completare degli stimoli grafici, che verranno poi interpretati dal clinico in ottica psicodinamica). Nel Wartegg lui segnala una grossa difficoltà nel tollerare la frustrazione e tale problema determina sempre delle resistenze all’adattamento, soprattutto di fronte all’insuccesso.

E lui si è fatto un’immagine probabilmente anche piuttosto grandiosa di se stesso, che è la ragione per cui comunica poco. La grandiosità, il suo volersi vedere perfetto come ragazzo e come studente, potrebbe proprio spiegare il perché sceglie di non comunicare con tutti.

La non comunicazione rappresenterebbe una sorta di difesa contro le parti di Sé “imperfette” per lui difficili da tollerare, compreso il fatto di poter essere contraddetto o non accettato. È un ragazzino che avrebbe certamente bisogno di essere seguito, anche se i genitori sembrano non averlo capito …

Presa in considerazione la problematica di apprendimento, resta da considerare la difficoltà emotiva e relazionale. Al termine di questa valutazione, è compito del clinico poter formulare una pianificazione dell’intervento che, oltre alla stesura di un PDP (ovvero di un piano di didattica adattato alle difficoltà emerse), preveda, al bisogno, un indirizzo verso una psicoterapia o un supporto di natura psicologica.

La criticità qui è rappresentata dal fatto che i genitori potrebbero non accogliere positivamente questa indicazione, che trascende i motivi dell’invio e potrebbe metterli in stato d’allarme. Occorre allora riformulare il problema per poter comunicare una possibile soluzione.

P: Ma come posso dare un’indicazione per una psicoterapia? Come scrivere del mutismo? Non c’è il rischio di patologizzare le difficoltà del ragazzino, che comunque pare stiano andando in remissione?

S: Dovremmo valutare le resistenze dei genitori per una psicoterapia. C’è una difficoltà di apprendimento, ma ci sono dinamiche emotive che in futuro potrebbero esitare in un disturbo. Chiederei ai genitori perché, secondo loro, c’è questa scelta di parlare così poco. “Voi non ritenete che parlando così poco questo ragazzo rischi di rimanere isolato dal suo gruppo di riferimento?

Non credete che le sue insicurezze dovrebbero essere prese in carico in previsione del fisiologico momento di crisi che S. si troverà ad affrontare con l’adolescenza?”.

Con la certificazione, la scuola può anche proteggerlo, ma di fronte ad un’età in cui si diventa adulti, con tutte le difficoltà connesse a questo processo, il sintomo se rimane presente, potrebbe consolidare una reticenza ad esprimersi autenticamente, riducendo ulteriormente le risorse a disposizione di S. nell’affrontare questo percorso.

2 COMMENTI

  1. Mi dispiace ma la valutazione intellettiva non evidenzia la memoria di lavoro e la velocità di elaborazione, che potrebbero dare indicazioni ulteriori sul funzionamento del ragazzino, capire cosa si annida nel mutacismo elettivo, tra vergogna ed emozione/inibizione nel suo manifestarsi in contesto scolastico. Se sappiamo descrivere sappiamo cosa curare. Augurissimi

    • Caro Giuseppe,
      la valutazione intellettiva ha chiaramente preso in esame anche gli Indici IML e IVE, che sono stati esaminati ma non discussi approfonditamente in sede di supervisione. In qualità di trascrittore ed elaboratore della supervisione ho preferito non insistere su questi aspetti per dare un maggiore focus ad aspetti di funzionamento personologico, che sono molto importanti nel caso descritto. La ringraziamo comunque per l’appunto, dal momento che nei DSA e in generale nelle difficoltà di apprendimento risulta essenziale prendere in esame il livello degli Indici citati.

ADESSO COSA PENSI?