C’è chi dice che non esiste niente come l’amore di una mamma. Ma è sempre vero?

E soprattutto, oltre l’amore, che relazione abbiamo con questa figura importante? Usciamo dall’idealizzazione ed entriamo nel vivo della questione, toccando, con l’aiuto di un film d’animazione, alcuni punti di analisi.

Siamo in un mondo incantato, quello del “C’era una volta” e Rapunzel nasce, legittima erede al trono di un regno ricco e prospero, quasi per miracolo.

Durante la gravidanza, infatti, la regina rischia di morire e viene salvata grazie alla scoperta di un magico fiore che la guarisce e trasmette alla figlia, ancora nella pancia, un potere incredibile.

Ma come sempre nelle Favole arriva il cattivo (e questa volta è Madre Gothel!) che strappa Rapunzel dall’amore dei veri genitori e la rinchiude in una torre per poter sfruttare i poteri della giovane per non invecchiare, fingendo di essere sua madre.

Rapunzel vive nella convinzione di non poter affrontare il mondo e si deciderà a ribellarsi al dominio psicologico della madre solo all’arrivo dei 18 anni e grazie alla forza che solo la volontà di realizzare un sogno può dare, ma anche con l’aiuto di qualche alleato che la vede e le restituisce l’immagine di quello che realmente è.

Come in ogni favola siamo nel mondo delle metafore e dell’immaginazione, quel mondo animistico che, come afferma Bettelheim, offre ai bambini la possibilità di confrontarsi con il male che esiste nel mondo e nei sentimenti.

Ma esistono simboli in questa fiaba così potenti da risultare utili anche per noi adulti per riflettere in modo diverso sull’importanza della figura materna, sulla relazione che abbiamo con essa sia che siamo solo figli/e sia nel caso di chi è invece anche madre o lo sarà.

Procediamo per gradi.

La prima novità da notare in questa favola è che è una delle poche in cui la madre compare, anche se si tratta di una matrigna, e non rimane, come spesso accade, una figura amorevole e perfetta idealizzata nel passato e ormai deceduta.

Questo offre lo spazio essenziale perché il bambino, e anche noi da adulti se non l’abbiamo ancora del tutto fatto, possiamo considerare la doppia natura di ogni relazione come di ogni essere umano che nasconde un lato buono e uno cattivo.

Secondo l’analisi delle fiabe portata avanti da Jung potremmo dire che Madre Gothel interpreta perfettamente gli archetipi della madre e della madre terrificante.

La prima rappresenta l’aspetto protettivo e amorevole della donna, quello legato alla cura della casa, della famiglia, a sentimenti di tenerezza, affettività, calore, cura e nutrimento.

La seconda invece rappresenta l’aspetto più fagocitante, che può risultare, in termini concreti, dalla tendenza iperprotettiva di una madre verso il figlio che ad un certo punto può arrivare a minacciarne la sua crescita, lo sviluppo e l’individualizzazione.

Questi aspetti risultano particolarmente evidenti in alcuni stralci della comunicazione madre-figlia all’interno del film. Ad esempio madre Gothel al rientro dice in tono affettuoso: «Rapunzel, ho una grande sorpresa, ho preso quello che serve, farò una bella zuppa di nocciole per cena, la tua preferita, sorpresa», dimostrando il suo volto di Madre.

Subito dopo però all’affermazione di Rapunzel, che le chiede nuovamente di uscire dalla torre: «Vedi madre tu credi che io non sia abbastanza forte per cavarmela da sola là fuori ma…» lei risponde «No, cara, io so che tu non sei abbastanza forte…» in una conversazione che terminerà con un netto «Tu rimarrai chiusa nella torre per sempre!» come dimostrazione del forte tentativo di gestione della vita della figlia e del sentimento di possesso della Madre Terrificante.

Si tratta di una madre che non favorisce l’autonomia ma che inibisce l’evoluzione della figlia e la stringe in una relazione simbiotica, si preoccupa eccessivamente e risulta ansiogena nel tentativo di mostrare a Rapunzel come tutto il mondo sia cattivo: «È tutto un dramma senza mamma».

Si tratta chiaramente di una versione simbolica del rapporto madre-figlia e magari di uno stralcio di conversazione che amplifica gravemente le normali forme di comunicazione, ma che può offrire un importante spunto di riflessione sui possibili messaggi contraddittori che possono verificarsi in questo ambito.

I messaggi ambigui o contraddittori possono infatti essere la causa di molti disagi per i bambini e per la loro evoluzione in adulti e possono rivelarsi fonte di insicurezze o difficoltà nella gestione di alcuni aspetti di Sé o con l’altro all’interno della diade della coppia.

Dall’altro lato anche noi come adulti se abbiamo ricevuto spesso comunicazioni di questo tipo possiamo ricercare in esse uno dei possibili contributi ad eventuali difficoltà nell’essere autonomi, alla tendenza a sentire il mondo come minaccioso, che può talvolta inibire il pensiero positivo che   esisterà qualcosa di buono nel futuro o alle eventuali difficoltà nel regolare la distanza che si creano talvolta nella coppia.

Ma procedendo nell’analisi e addentrandoci ulteriormente potremmo affermare che la simbologia di questo cartone animato della Walt Disney va ancora oltre, mostrando in modo estremamente chiaro alcuni aspetti interessanti che fanno parte del proprio processo della comunicazione.

All’interno dell’opera pubblicata nel 1967 “La pragmatica della comunicazione umana” di Paul Wazlawick il processo comunicativo viene analizzato in maniera sostanzialmente diversa rispetto alle precedenti indagini in campo psicologico.

Essa viene reinvestita del suo significato interattivo (mentre in precedenza si analizzava solo l’atto comunicativo del mittente su un ricevente passivo) ed estesa ad ogni comportamento percepibile ed interpretabile, sia verbale che non verbale.

Prendiamo come esempio uno stralcio del film d’animazione di cui stiamo parlando e vediamo come riesca ad essere estremamente efficace.

Siamo sempre all’inizio della storia e Rapunzel sta per compiere 18 anni, così vuole chiedere in regalo alla madre un’uscita eccezionale dalla torre nella quale ha vissuto per tutta la sua vita per poter vedere le “luci fluttuanti” che ogni anno, come una ricorrenza, vede spuntare nel cielo il giorno del suo compleanno.

Così la attende con impazienza e appena arriva si prepara a fare la sua richiesta. È degno di nota lo scambio tra le due non appena madre Gothel mette piede a casa dopo che Rapunzel ha sciolto i suoi capelli per farla salire:

«Oh Rapunzel come riesci a fare questa cosa ogni giorno dell’anno senza alcuna eccezione, sembra un’attività così estenuante tesoro!» E le accarezza il viso con sguardo amorevole.

«È una cosa da nulla»

«Allora non capisco perché ci voglia tanto» afferma madre Gothel sempre con voce amorevole, poi inizia a ridere e continua con fare canzonatorio «Sto scherzando!».

In questa brevissima comunicazione, di cui ho cercato di riportare sia l’aspetto verbale che quello non verbale, appare evidente come in entrambi i modi la madre stia comunicando alla figlia qualcosa, ma soprattutto mostra la situazione in cui la comunicazione tra due individui presenta una forte incongruenza tra i due aspetti.

Se procediamo avanti nel film la comunicazione tra Rapunzel e madre Gothel è costellata di questi episodi di incongruenza riuscendo a descrivere in modo semplice ed essenziale ciò che Gregory Bateson, esponente della scuola di Palo Alto, chiamava Doppio Legame.

Si tratta di una modalità relazionale che talvolta si può verificare tra madre e figlio/a ma all’interno della quale chi subisce l’incongruenza sui due piani sente impossibile rispondere e, infatti, alla fine Rapunzel rinuncia a chiedere alla madre di realizzare il suo desiderio.

L’insieme degli aspetti appena visti e presentati come appartenenti alla relazione tra Rapunzel e la madre rendono la ragazza insicura nell’affrontare il mondo.

 La sensazione di “come fai sbagli” che caratterizza la sua relazione con la madre la tiene ancorata all’idea di non essere forte né abbastanza capace per avventurarsi nella vita.

Anche il senso di colpa, prepotente nella modalità di madre Gothel di tenere a sé la figlia, costituisce un guinzaglio difficile da rompere e una sfida da vincere per la ragazza che, inizialmente, vive tutta la vasta gamma delle paure e dei dispiaceri legati al timore di ferire un genitore che non ha mai incentivato la crescita e la libera espressione del figlio.

Nonostante tutto la nostra Rapunzel riuscirà a liberarsi del legame opprimente con la madre non senza difficoltà, perché irretita dalla convinzione di un affetto materno inesistente, e lo farà grazie al desiderio di inseguire un sogno e all’aiuto di alcuni amici.

Tutto questo però, quando  presente all’interno di una relazione madre-figlio/a,  non sempre risulta in esiti così positivi e questo cartone, oltre che essere divertente ed avere quella simbologia di cui parlavamo così importante per i più piccoli mi è sembrato un buono spunto di riflessione anche per noi adulti.

Così solo per provare a farci delle domande, lasciando che si depositino dentro di noi, con l’idea che le risposte arrivano lungo il cammino.

Mi sembra utile infatti per chi è solo figlio, cercare di pensare se ci sia qualcosa che scricchiola al suono di queste parole, se la relazione che abbiamo avuto con la figura materna possa in qualche modo aver condizionato la nostra espressione nel mondo e il modo in cui ci relazioniamo agli altri e a noi stessi.

In ogni caso “Vissero felici e contenti” e, anche se al riguardo ci sarebbe molto da dire, questa è tutta un’altra storia.

 

BIBLIOGRAFIA

Bert G., Quadrino S., L’arte di comunicare: teoria e pratica del counselling sistemico, CUEN Editore 1998.

Jung C. G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, in Opere vol. 9*, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1997.

Jung C. G., Tipi psicologici, in Opere vol. 6, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1997.

Wazlazick P., Beavin J. H., Jackson D. D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio Ubaldini Editore 1971.

 

 

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