“Complessità e psicoterapia” è un libro variegato e multicolore, che si propone di raccontare le sfide e le evoluzioni dell’approccio della terapia familiare secondo la scuola di Milano.
Qui il link per la scheda del libro: http://www.raffaellocortina.it/scheda-libro/autori-vari/complessita-e-psicoterapia-9788832850949-2969.html
Si ha subito la sensazione che il libro voglia andare a scovare, nella costellazione di problemi che si presentano in terapia, i fenomeni più recenti, ciò che emerge dalle ultime evoluzioni della società e della cultura. Lo psicoteraputa è infatti un professionista che si interfaccia con una realtà individuale, familiare e sociale in costante mutamento, e perciò le situazioni che deve saper affrontare cambiano nella superficie o nell’essenza, si evolvono progressivamente, modificano le loro forme e colori.
E proprio in questo costante mutamento risiede la complessità del lavoro: un mestiere, a metà fra arte e tecnologia, che è esposto ai mutamenti culturali che riverberano a livello psicologico, a quelli economici che modificano la famiglia, alla famiglia dentro cui nasce la psiche, all’individualità che retroagisce sul mondo contribuendo a ri-costruirlo, costruendosi a sua volta nel processo.
La scuola di Milano, sviluppatasi a partire dall’originale evoluzione del lavoro dei primi terapeuti sistemici e del pensiero di Gregory Bateson (1977), ha cercato fin da subito di interpretare i disturbi mentali come espressione di una molteplicità di fattori che, influenzandosi sistemicamente fra loro, ne costruiscono l’unicità.
Un esempio su tutti il primo testo sulla terapia dell’anoressia a testimoniare l’evoluzione del pensiero da intrapsichico, basato sulle teorie psicoanalitiche, a sistemico con la considerazione del contesto relazionale e culturale (Selvini Palazzoli, 1963).
E così ci troviamo di fronte a fenomeni quali la violenza inversa in cui l’aggressività dei figli si riversa sui genitori, estrema testimonianza di un’inversione a U della gerarchia familiare, questi ultimi ostaggio dei primi. Oppure la psicoterapia in tempi di crisi economica, quando l’intervento deve trovare un equilibrio tra il giusto contributo al professionista e la sostenibilità per famiglie che spesso faticano ad arrivare alla fine del mese.
E ancora: le dinamiche relazionali dell’affido familiare, la terapia online, ed altro ancora. Anche lo psicoterapeuta è infatti inserito in un contesto, e deve sempre sforzarsi di essere in ascolto di ciò che proviene dal mondo intorno a lui, come il saggio taoista, curioso e mai completamente soddisfatto di ciò che è già conosciuto.
Ci sono alcune perle: un esempio su tutti l’interessantissimo contributo di Marco Bianciardi sui “Rischi iatrogeni e l’etica della psicoterapia”. Cosa sono i rischi iatrogeni?
In pochissime parole: il rischio di creare realtà patologiche, proprio attraverso la messa in atto delle procedure atte a curarle, o prevenirle. Può sembrare una faccenda astratta, una elucubrazione riservata ai tecnici, mentre dobbiamo invece rilevare una sempre più marcata incidenza di fenomeni simili, anche nella pratica libero professionale.
Perché vedete, in quanto tecnici, siamo tentati di pensare che la capacità di dare un nome tecnico al problema che ci viene portato sia sinonimo di competenza (ne ho scritto, in modo un po’ provocatorio, anche qui). E così sono purtroppo molti coloro che si affrettano a costruire la diagnosi, complice una certa impostazione teorica di tipo medico, basata sull’idea che, prima di effettuare un qualsiasi intervento, debba essere chiara la malattia.
Alcune ASL hanno introdotto, nelle proprie procedure, l’obbligo per lo psicologo del Servizio di formulare una prima ipotesi diagnostica già in seguito alla prima seduta: così la persona esce dal colloquio di accettazione già etichettata, inserita in un database che testimonia la reificazione di una narrazione parziale, e che rischia di diventare sentenza, spesso senza appello.
Arrivati alla fine della lettura, ci sono due piccoli rimpianti: da un lato, sentiamo la mancanza di un approccio pragmatico che, più simile ai libri che hanno reso grande la scuola di Milano degli inizi (vedi Selvini Palazzoli et al., 1978, ma anche Bergman, 1985) avrebbe potuto guidarci nei dettagli del colloquio e della gestione delle dinamiche comunicative e relazionali.
Dall’altro ci sarebbe piaciuto trovare un capitolo dedicato alle espressioni, a volte tormentate ma spesso anche vitali, che possono assumere i flussi migratori, sui volti di chi viene in psicoterapia. E ancora una volta, testimonio come libero professionista la difficoltà di capire a fondo chi un’identità da “italiano” ha dovuto costruirsela, perchè non ha potuto riceverla in eredità dalla propria terra di origine, sia essa l’Albania o il Senegal.
Oppure chi, italiano di origine, e ormai divenuto argentino, dopo la crisi di questo Paese è tornato in Italia da italiano, ma senza esserlo del tutto. Anche questa è complessità.
Riferimenti bibliografici
Barbetta, P., Telfener, U. (2019). Complessità e psicoterapia. L’eredità di Boscolo e Cecchin. Milano: Raffaello Cortina.
Bateson, G. (1977). Verso un’ecologia della mente. Milano: Adelphi.
Bergman, J. S. (1985). Fishing for barracuda: pragmatics of brief systemic therapy. NewYork: Norton.
Selvini Palazzoli, M. (1963). L’anoressia mentale. Milano: Raffaello Cortina.
Selvini Palazzoli, M., Boscolo, L., Cecchin, G., & Prata, G. (1975). Paradosso e controparadosso. Milano: Feltrinelli.