Pensando alla mia infanzia, sovviene sempre quanto fosse naif, ingenuo il modo in cui vedevo (o vedevamo?) il futuro: temevo tante cose, ma c’era tanta speranza che problemi come il cambiamento climatico e l’inquinamento sarebbero stati risolti prima della mia maggiore età.

Invece eccoci qui a lottare, alcuni di noi pure con un sottile lutto quotidiano per quel futuro immaginario.

Nei mesi scorsi sempre più persone hanno risposto all’appello di Greta Thunberg per lottare contro il cambiamento climatico che minaccia di compromettere il futuro dell’umanità. È bello vedere che molte persone vi sono sensibili, nonostante il silenzio assordante dei decenni scorsi.

Questo (all’apparenza improvviso) interesse per il clima è quantomai appropriato: il cambiamento non solo comporta danni alla salute delle persone ma creerà –e crea– grandi sofferenze psicologiche e traumi collettivi.

Greta Thunberg dice di aver attraversato un periodo di depressione a 11 anni, imputando la sua origine anche al problema del cambiamento climatico. Non è la sola: nelle le persone che, come me, sono giunte all’accettazione della minaccia, si agita l’angoscia per ciò che succederà.

Questa profonda angoscia di eventi incontrollabili ha travolto anche me in passato, lasciandomi più volte con un acuto senso di disperazione, soprattutto per il fatto di non poter prendere il controllo della causa di queste.

Non è sorprendente che molte persone mettano in atto meccanismi di difesa (rifiuto, distrazione, sottovalutazione) per proteggersi da questa sofferenza, o che essendo dissociati dalla visione di un futuro più sicuro e giusto non provino ansia verso i cambiamenti che ci attendono.

Questa seconda risposta al problema è, in effetti, maladattiva, perché non spinge le persone ad attivarsi per scongiurare la minaccia o prepararsi ad affrontarla, e poi è probabile che la sofferenza si ripresenti nel tempo.

‘Ecoansia’ è uno dei termini che vengono utilizzati per indicare gli stati psicologici provati da alcuni verso un futuro segnato dal cambiamento climatico. Essi includono angoscia, depressione, lutto anticipatorio, profonda frustrazione, senso di impotenza e catastrofismo.

Queste sono le esperienze di chi ancora non ha avuto modo di provare sulla propria pelle gli effetti del clima fuori controllo. Nelle aree del mondo più a rischio questi già si vedono ed eventi naturali tipici come uragani, maree e siccità si intensificano, distruggendo intere comunità.

Questi eventi catastrofici lasciano dietro di sé le macerie delle case e delle vite delle persone che, non avendo avuto alcun controllo su ciò che è accaduto loro, sviluppano (oltre agli stati già menzionati) risposte da stress post-traumatico, perdita di autonomia e controllo e perdita dell’identità.

Se entro il termine decennale posto dagli scienziati l’impatto umano sull’ambiente non verrà ridotto, questi eventi si verificheranno anche in altre aree del mondo al momento sicure, accompagnate da carestia emigrazioni di massa e le problematiche di integrazione socio-economica.

A questo proposito le strutture sanitarie, incluse le istituzioni e le professioni dedicate alla sofferenza sociale e psicologica dovranno essere migliorate e preparate a questo evento, cominciando anche a promuovere l’apprendimento di culture e lingue straniere tra gli addetti ai lavori.

Se questo non dovesse essere abbastanza terrificante, ecco un documento catastrofista che sta contribuendo a diffondere l’ecoansia: https://www.lifeworth.com/deepadaptation.pdf

Cosa possiamo fare?

Questa proposta si ispira al modello di ricerca-azione partecipativa e alla formulazione del caso. L’intento è sia quello di diminuire la sofferenza psicologica dell’ecoansia e promuovere una reazione di lotta (o eventualmente adattamento) alla minaccia.

Accettazione, innanzitutto, del fatto che le cose possono andare male anche a noi. Non siamo spettatori e nemmeno testimoni, siamo anche noi in gioco.

Avere una percezione generica che il cambiamento avverrà non è sufficiente: identificare il problema, essere al corrente delle sue conseguenze pratiche e di cosa lo causa è vitale (anche se fa paura), cioè identificare i fattori precipitanti.

L’Australian Psychological Society raccomanda però di prendersi una pausa da questa ricerca o dai media quando ci si sente sopraffatti.

Successivamente, fare Coscientizzazione: prendere consapevolezza dei meccanismi sociali, psicologici ed economici che imprigionano le coscienze e condizionano i comportamenti verso l’inazione o impediscono di agire in senso pratico. Cioè identificare i fattori predispostivi e di perpetuazione.

Il che implica anche prendere consapevolezza non solo dei meccanismi di difesa dalla sofferenza psicologica, ma anche di tutto ciò che altre persone stanno facendo per porre rimedio alla minaccia e quali sono le istituzioni sociali e le azioni che possono proteggere le persone.

Fin qui il lavoro è concettuale, ma il problema con l’ecoansia e i traumi personali e collettivi è di natura pratica: inazione e impossibilità di agire o reagire, mancanza di controllo sugli eventi.

Oltre a diminuire il proprio impatto ambientale, avere un approccio attivo diminuisce il senso di impotenza e aumenta il senso di controllo. Questo può essere tradotto in molti tipi di azione, come passare il weekend partecipando a eventi ecologici o di miglioramento della comunità, acquisendo nuove competenze che saranno utili in futuro.

La comunità è il cuore pulsante del discorso. L’ecoansia e le risposte da stress post-traumatico sono dovute anche alla mancanza improvvisa o cronica di una comunità che sostenga gli individui. Le relazioni interpersonali e i ruoli sociali interni a un gruppo aiutano a diminuire l’angoscia.

Sviluppare relazioni con gli altri, invitandoli a partecipare in un progetto o anche solo condividendo le preoccupazioni che ci assillano, non solo è un approccio pratico ma è anche una strategia per affrontare o adattarsi alle minacce: lo scopo è costruire una rete sociale che supporti e protegga tutti.

Quando accadono i disastri naturali vengono a mancare alcuni ruoli sociali precedenti, come l’occupazione, che formavano la base per l’identità delle persone. Costruire un senso di comunità è un metodo per proteggere almeno l’identità sociale delle persone, quando i ruoli sociali sono compromessi.

Anche per questo la ricerca-azione partecipativa prevede che tutto il processo finora descritto avvenga in un contesto collettivo, dove la coscientizzazione è un’azione condivisa dalla comunità, oltre che individuale.

Possiamo immaginare un mondo migliore?

Se possiamo immaginare un futuro migliore allora c’è speranza. Quest’immagine deve essere la fonte di ispirazione per attivarsi, la bussola che indica la direzione da seguire. Infine, mettere in atto un piano d’azione, stabilendo cosa fare, come e quando (o in che circostanza).

Ad esempio, cosa faremo per assistere una persona o una comunità in difficoltà? Oppure, andare in protesta è un bel rito che ci mette di buon umore, ma non sortirà alcun effetto. Cosa si può fare di più incisivo per cambiare le cose? Come e quando?

 

Link utili:

Ricerca-Azione Partecipativa: https://en.wikipedia.org/wiki/Participatory_action_research

Climate Psychology Alliance: https://www.climatepsychologyalliance.org/handbook/304-coping-and-defences

APA ‘mental health and our changing climate’: https://www.apa.org/news/press/releases/2017/03/mental-health-climate.pdf

Chronic Environmental Change: Emerging ‘Psychoterratic’ Syndromes

https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-1-4419-9742-5_3

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Davide Mansi
Studente di Psicologia alla University of East London. Milanese nel cuore, prima di approdare a Londra ho passato un anno girando l’Australia e New York vivendo diverse realtà, finendo per innamorarmi della vita da backpacker e di Sydney. Oltre a macinare dati per ricerche scientifiche in università, i miei principali interessi in psicologia riguardano la comunicazione interpersonale e intrapersonale, la teoria della mente, le meccaniche delle relazioni sociali e lo studio di tecniche per abilitare e riabilitare in questi ambiti. Sul versante professionale intendo usare la psicologia per migliorare la vita delle persone e non metto limiti ai settori che possono beneficiare del supporto di uno psicologo e di una buona dose di creatività. Contatti: davide.mansi94@gmail.com

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