“Cosa accade a una persona quando vede una fotografia? La storia della fotografia, il significato della fotografia è creato dallo spettatore quando la guarda. Il significato non è nella foto. […] Ed è qui che comincia il mio lavoro, perché la foto non è la fine, la foto è l’inizio perché il significato, la storia che racconta, i sentimenti che sono incorporati nella foto sono evocati di nuovo.” (Judy Weiser)

Judy Weiser è una terapeuta e fotografa americana. Mi sono imbattuta per caso in questa intervista in cui spiegava come usa le fotografie con i suoi pazienti. Da amante della fotografia sono rimasta piacevolmente colpita nello scoprire che la fototerapia si configura come una vera e propria pratica utilizzata dai professionisti di questo settore.

In realtà l’uso della fotografia come mezzo terapeutico risale addirittura a prima del 900. Celebre è il lavoro del dottor Diamond, uno psichiatra di un manicomio, che fotografando e mostrando alle sue pazienti le loro immagini, si accorse che ciò aveva un effetto positivo: le fotografie sembravano aumentare la consapevolezza del cambiamento e l’autostima.

È però grazie alla terapeuta Weiser se oggi la fotografia è riconosciuta come una pratica terapeutica.

Il potere delle foto risiede nella capacità di evocare contenuti emotivi, pensieri e significati di cui il soggetto non è consapevole a un primo sguardo: ciò che è importante non è la foto in sé ma quello che ci raccontiamo di essa.

La storia, i sentimenti, i pensieri che sono legati ad una foto vengono evocati di nuovo quando la si osserva. La fotografia è quindi un mezzo per far emergere, nel presente, emozioni, pensieri e vissuti che sono propri del paziente.

Secondo Judy Weiser, si possono usare foto in cui è raffigurato il paziente oppure foto scattate dal paziente stesso, album di famiglia o autoscatti. Il materiale utilizzabile è davvero vasto, inoltre la fruibilità dei mezzi digitali permette a chiunque di scattare foto; anzi forse proprio la facilità con cui si può immortalare la realtà permette di catturare momenti di quotidianità che prima, con i rullini da sviluppare, non ci sarebbe venuto in mente di certo di fotografare!

Ciò che rende una foto un insieme di significati è proprio l’osservatore: “Quando guardi una foto stai creando il significato che credi viva in essa. Ma due persone vedono la stessa foto in modo molto diverso a causa dei filtri inconsci.”

Ma che cosa fa il terapeuta?

“Tutto quello che devo fare è mostrare loro una foto e dire: Raccontami la storia di questa foto. Perché è stata scattata? Che titolo le daresti? Perché? La fotografia è l’inizio.” Dalla foto scaturiscono poi delle risposte, vissuti, pensieri e spiegazioni che risultano diversi da persona a persona.

Il terapeuta assiste nell’esplorazione, non impone una sua spiegazione o visione delle cose, ma usa l’immagine come via per facilitare l’accesso a contenuti interiori e la loro espressione.

Il terapeuta, con la sua esperienza, interviene indagando quelle aree che possono risultare rilevanti e coglie delle informazioni dalle foto che possono essere punti di partenza per l’esplorazione per il paziente.

Interessante è l’uso della fototerapia nella terapia famigliare. Essa permette ai componenti della famiglia di capire i punti di vista diversi da cui si può vedere una situazione.

Sembra una cosa scontata da dire, ma non è ciò che avviene nella realtà: nella pratica non teniamo davvero in considerazione che ognuno interpreta una situazione in modo diverso e questo può essere fonte di dinamiche conflittuali.

Un’altra cosa di cui non si è consapevoli è che la causa del problema o della sofferenza potrebbe essere proprio il nostro modo di vedere o interpretare quella situazione. L’analisi delle foto fa emergere la diversità e l’unicità con cui ognuno di noi interpreta la sua realtà.

Inoltre, secondo Judy Weiser, la fototerapia presenta un vantaggio: le foto permettono di esprimere più liberamente dei contenuti perché le persone si sentono più sicure nell’esprimersi. L’idea comune è che le immagini immortalino un pezzo di realtà, un pezzo di verità per cui non è possibile sbagliare.

Ma è proprio lì che inizia il lavoro: una volta andati oltre la descrizione superficiale partner, genitori e figli possono scoprire che in realtà ci sono grandi differenze in ciò che evoca la foto o nel modo in cui definirebbero ciò che vedono.

Quando due persone guardano una fotografia non sanno che stanno guardando due diverse foto nella loro mente. […] Io – prosegue J. Weiser – devo spiegare alle persone che il modo in cui vedono sé stessi, gli altri e il problema non corrisponde al modo in cui tutti gli altri vedono il problema o una persona. Mi serve che la persona esca dalla “trappola” del “io vedo le cose per come sono, nel modo corretto, tu no”.

Il terapeuta favorisce il passaggio a un livello “superiore”: “io la vedo in questo modo, tu in questo altro modo, perché la vediamo così diversamente?”

Alla luce di ciò la fototerapia mi sembra una tecnica davvero interessante, che sfrutta la forza evocativa dell’immagine, ma soprattutto si basa sulla capacità della nostra mente di rievocare materiale del nostro passato che inevitabilmente si intreccia con il nostro presente, influenzando il modo in cui attribuiamo cause, diamo spiegazioni e interpretazioni.

Le foto rappresentano quindi un mezzo per far affiorare contenuti emotivi e ricordi, in un contesto di conoscenza, cambiamento e crescita quale è il percorso terapeutico.

Il grande valore comunicativo e espressivo della fotografia da sempre porta l’uomo a cercare di esprimersi attraverso essa. Infatti, oltre all’uso della fotografia come tecnica terapeutica, esiste da sempre l’uso che le persone ne fanno per esprimersi e comunicare.

Alcuni artisti hanno utilizzato la fotografia per raccontare la loro sofferenza e cercare di spiegare, tramite l’immagine, i loro sintomi, pensieri e stati d’animo.

È il caso di Christian Hopkins che racconta la depressione tramite un percorso fotografico al fine di mostrare le sensazioni e i pensieri che popolavano la sua mente. Come lui anche altri hanno usato questa modalità comunicativa. Ne sono un esempio i lavori di Katie Crawford (My anxious heart), Janelia Mould (Melancholy – Una ragazza chiamata depressione), Edward Honaker.

 

BIBLIOGRAFIA

Weiser, J. (2014). FotoTerapia. Tecniche e strumenti per la clinica e gli interventi sul campo: Tecniche e strumenti per la clinica e gli interventi sul campo. FrancoAngeli.

Weiser, J. (2010). Using photographs in art therapy practices around the world: Photo therapy, photo-art-therapy, and therapeutic photography. Fusion (a publication of Art Therapy Alliance, International Art Therapy Organization, and Art Therapy Without Borders), 23, 18-19.

SITOGRAFIA

https://www.youtube.com/watch?v=jba4nY0VkGY

https://phototherapy-centre.com/

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Irene Cazzaniga
Piacere, sono Irene! Mi sono laureata in psicologia clinica e neuropsicologia nel ciclo di vita presso l’università di Milano Bicocca. In passato ho fatto diverse esperienze nell’ambito dei minori, sia tramite un tirocinio presso una comunità mamma-bambino, sia tramite esperienze di volontariato. Attualmente sono una volontaria presso una cooperativa sociale che propone percorsi di ippoterapia per bambini e ragazzi. Amo i film, i libri e la fotografia e credo nel loro grande potere comunicativo. Attualmente sto svolgendo il tirocinio post lauream presso un reparto di neuroriabilitazione cognitiva, nel quale ho modo di fare esperienza del mondo dell’adulto, sia dal punto di vista del disagio psicologico che della riabilitazione neuropsicologica. La neuropsicologia in particolare è un’area che mi interessa a livello professionale. Contatti: irene.cazzaniga93@gmail.com

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