In un periodo storico come il nostro, in cui la sessualità è iper-proposta, pubblicizzata, considerata come necessaria e, in molti casi, come un indicatore di buon funzionamento psicofisico, potrebbe stupire sapere che molte donne soffrono di un disturbo che impedisce loro di avere rapporti sessuali completi.

Il vaginismo infatti è una condizione che compromette la possibilità per una donna di essere penetrata dal partner, pur desiderandolo (Bernorio, 2018).

Il fattore discriminante che permette di distinguere il vaginismo dalla vulvodinia è la contrazione “involontaria” difensiva dei muscoli del terzo esterno della vagina, del bacino, delle gambe, del perineo e dei glutei che impedisce di fatto la penetrazione.

Questo disturbo è’ particolarmente invalidante, soprattutto se si considera che impedisce non solo il coito, ma ogni forma di penetrazione, inclusa l’ecografia transvaginale e altri esami ginecologici.

Ma perché mai una donna dovrebbe mettere in atto una risposta fisica del genere? Ebbene, si è scoperto che si tratta di una risposta fobica, dettata dalla paura della penetrazione e del possibile dolore che ne consegue.

In questi ultimi anni, molto è stato fatto grazie anche agli studi del Prof. Roberto Bernorio, che ha ideato sia un metodo efficace per fare diagnosi, che una terapia efficace.

Innanzitutto, è fondamentale eseguire un’accurata diagnosi differenziale rispetto alla dispareunia: è molto importante distinguere situazioni nelle quali la donna non riesce ad avere rapporti perché sente male (dispareunia) da quelle nelle quali non riesce perché ha paura di poter sentire male o di stare male interiormente (vaginismo).

Questi dati posso essere rilevati da una accurata anamnesi durante il colloquio clinico, a seguito del quale è però fondamentale eseguire un controllo ginecologico che consente di oggettivare e dettagliare la diagnosi identificando i gradi di gravità e differenziando il vaginismo da altre possibili cause che rendono impossibile il rapporto penetrativo (lacerazioni, violenze subite, matrimoni bianchi…).

Per questo bisogna sempre diffidare da chi propone terapie psicologiche o psicosessuologiche senza che sia stato eseguito un inquadramento diagnostico preciso. Va inoltre sempre considerata l’eziologia del disturbo, i fattori scatenanti e quelli predisponenti.

Il vaginismo può essere distinto in 5 gradi di gravità (Lamont, 1978; Pacik, 2011) in base ai quali si procederà al trattamento adeguato. Esistono vari tipi di terapie applicabili a questo disturbo, tra le quali ricordiamo quelle:

  • Mediche: consistono nella somministrazione di farmaci (ansiolitici) o iniezioni da parte del medico curante, fino a piccole incisioni chirurgiche dei muscoli perineali.
  • Psicologiche: ve ne sono di diversi orientamenti psicologici come psicanalitica, cognitivo-comportamentale, strategica ecc… Da sottolineare come purtroppo da sole le terapie psicologiche non abbiano grande successo nel trattamento del vaginismo.
  • Sessuologiche: nel caso specifico del vaginismo consistono nel dare prescrizioni specifiche per step alla donna/coppia fino ad eliminare del tutto l’ansia anticipatoria che provoca questo disturbo.
  • Di auto-aiuto: consentono un forte risparmio economico, una grande praticità e fruibilità in ogni momento e luogo, ma sono le più passibili di fallimento, abbandono, rischi nella messa in atto di alcune tecniche e allungamento dei tempi di risoluzione.

In particolare, una terapia molto efficace sembra essere la mind-body connection therapy (Bernorio, 2011) di tipo comportamentale.

Il vaginismo ha un impatto molto grave sulla vita della donna. Infatti, questo tipo di risposta fobica impedisce quasi del tutto di avere rapporti intimi, il che può provocare depressione, ansia o favorire altre forme di fobie correlate alla sessualità.

Molte di queste donne rinunciano completamente alla maternità, spesso tanto desiderata, e porta in alcuni casi al ritiro sociale (molte donne rinunciano completamente anche ad appuntamenti con uomini perché sanno che non potranno mai portare avanti un’eventuale relazione) e ad un abuso di farmaci.

Ovviamente, qualora la donna abbia una relazione stabile, questa problematica porta a una crisi della coppia, a discussioni ripetitive che di solito, se non si interviene, continuano come una spirale infinita.

Molte volte capita che i partner, esasperati da una vita sessuale che non esiste, abbiano relazioni con altre donne il che non fa altro che peggiorare la depressione e alimentare i sensi di colpa della donna vaginismica.

La fobia e il dolore compromettono anche la vita quotidiana: si pensi alle visite ginecologiche di routine, all’utilizzo di assorbenti interni e ad un più generale senso di anormalità nei confronti delle altre donne.

La storia di Gabriella ci aiuta a comprendere meglio la dimensione emotivo-esperienziale di questa problematica:

Col passare degli anni la situazione invece di migliorare peggiorava, ogni volta che provavamo a inserire il suo pene io finivo sempre per piangere in modo disperato, e così passavano mesi senza fare altri tentativi.

È stato un calvario: ho iniziato a sentirmi in colpa nei suoi confronti, ma soprattutto mi sentivo sbagliata, anormale, incapace di fare una cosa che tutti considerano naturale. Per anni mi sono rinchiusa in me stessa rimuginando pensieri negativi e scoraggiandomi sempre di più, anche perché non sapevo a chi rivolgermi, non avevo mai fatto una visita ginecologica ed ero terrorizzata all’idea di dover parlare del mio problema, considerando anche che non sapevo cosa dire, mi vergognavo molto.”

Molto interessante è anche la testimonianza di Marzia: “Dal mio corpo escludevo l’organo sessuale, era come se non ci fosse. Non riuscivo a guardarlo, a toccarlo e la sola idea della penetrazione, anche solo di un mio dito, mi terrorizzava.

Mi rendevo conto che qualcosa non andava, ma per vergogna non lo raccontavo a nessuno. Convivevo con questa difficoltà sperando che si risolvesse da sola ma mi resi conto che non poteva essere così quando mi sottoposi alla mia prima visita ginecologica.

È dunque molto importante non arrendersi ad una condizione di sofferenza personale e di coppia, ma recarsi da uno specialista per ottenere un’accurata diagnosi, grazie alla quale si potrà accedere a una terapia che, nella maggior parte dei casi, sarà risolutiva.

 

Riferimenti scientifici e bibliografici:

American Psychiatric Association (2013) Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 5th ed. Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.

Basson R, Berman J, Burnett A, et al: Report of the International Consensus Development Conference on Female Sexual Dysfunction: definitions and classifications. J Urol 163: 888–893, 2000

Bernorio, R., Passigato, M. (2017). Il piacere al femminile. Miti e realtà della funzione orgasmica nella donna. Franco Angeli .

Lamont, J. A. (1978). Vaginismus. American Journal of Obstetrics and Gynecology, 131, 632–636.

Pacik Peter T.  Vaginismus: Review of Current Concepts and Treatment Using Botox Injections, Bupivacaine Injections, and Progressive Dilation with the Patient Under Anesthesia. Aesth Plast Surg 2011 epub.

https://www.vaginismo.eu/

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