Parte I

Parte II

Le memorie antiche di giorni più lieti richiedono, per essere integrate egosintonicamente e quindi superate ed integrate, una metamorfosi o revisione che ne permetta la totale accettazione, la quale possa essere intesa come sinonimo di accoglienza e non di rassegnazione.

Molto spesso, infatti, la nostalgia viene confusa col rimpianto, in quanto l’una e l’altro hanno a che fare con i ricordi ed evocano una mancanza, pur presentando invece tratti distintivi del tutto differenti.

È bene invece operare una distinzione tra i due in quanto “nel rimpianto si rimpiange qualcosa che non c’è più e si cerca disperatamente di cancellarlo dalla memoria, mentre quello di cui si ha nostalgia continua a vivere nella memoria, e a dare un senso alla vita” (Borgna, E., 2015, p. 64).

La nostalgia accende la vita, il rimpianto la spegne e l’arresta: corrisponde ad una conversione dolorosa della prima, intrisa di rimorso e pentimento.

Nella nostalgia le speranze si mostrano infatti smarrite, ma non risolutivamente scomparse: qualsiasi volto, gesto o sorriso, continuando a vivere tra i più celati meandri, ha l’opportunità di apparire ancora reale.

La persistenza e la profondità di tale stato della mente accentua infatti la percezione dell’altro che prende vita dal desiderio che dilaga, rendendo nitide quelle che rappresentano nient’altro che ombre del passato.

Il rimpianto, invece, volge piuttosto, nei casi più gravi, ad avvicinarsi alla malinconia: immersione totale nel passato che non ha aperture verso il futuro, intriso da colpe che non conoscono perdono, “che oscura i ricordi e li trasforma in una massa indistinta e magmatica” (Borgna, E., 2015, p.64).

Il tempo, in quest’ultimo caso, si presenta dunque come una dimensione senza divenire, un “non tempo”, astorico ed immutabile, bloccato all’interno della stia del lutto: al di fuori di ogni durata e in quanto tale, nella sua essenza, assente.

Quell’estensione temporale vibrante che l’oggetto d’amore aveva reso tale e con la sua presenza riempito, rendendola scandita dalla regolarità dell’incontro, si rende all’improvviso vitrea e gelida, scaldata soltanto dal calore del trascorso.

L’individuo, calato intimamente nella consolazione del rimpianto, sembra quasi voler sprofondare totalmente nel ricordo al fine di proteggere quanto ha più di prezioso dall’oblio, inscenando riti della memoria che non hanno fine.

Il pensiero di non poter conservare traccia del ricordo allarma il soggetto ed “inquieta l’attesa, perché riempie il vuoto di oscure e misteriose minacce” (Di Nuovo, S., Falgares, G., 2008, p.174). Appare per giunta evidente come da questi riti il futuro ne sia “escluso” in quanto “impera il passato, irrimediabilmente invischiante e perduto”.

In tale stato di immobilità si realizza quel che Biswanger all’interno del libro “Essere nel mondo” ha battezzato “rottura dell’esperienza naturale” o “disordine della presenza”, in cui per presenza si intende “l’essere globale dell’uomo che si è trasceso in una determinata situazione” (Gennaro, A., 2014, p.158).

Il suddetto disordine della presenza simboleggia la perdita della propria identità, celando un deplorevole ed ampio segno di incapacità nel tracciare i propri confini, ovvero di delimitarsi quale soggetto separato dall’altro, lasciandosi fondere in una perpetua ma al contempo insostenibile simbiosi.

La difficoltà nel ritrovarsi sembra per l’appunto rivelare una forte dipendenza dall’altro, senza il quale viene a mancare qualsiasi opportunità di esistenza svincolata dal legame.

Quel tempo trascorso, immobile come un dipinto od una fotografia, lascerà il presente libero di tornare “a danzare” soltanto una volta accettata la “vivibilità del lutto, che rende elaborabile la perdita” (Di Nuovo, S., Falgares, G., 2008, p. 176).

Mentre la non ammissione della separazione implica un ritorno alla fusionalità, la metabolizzazione della stessa rafforza la soggettivizzazione nella misura in cui avvia a nuove relazioni con i propri oggetti interni, che si decide di custodire e preservare nonostante la loro assenza fisica, rendendo così tollerabile l’allontanamento.

La loro sopravvivenza garantisce altresì la nostra sopravvivenza e quella della nostra identità, al cui modellamento l’altro ha contribuito in maniera decisiva e determinante.

Nello sforzo di esorcizzare la perdita, liberando e benedicendo l’emozionalità racchiusa nel ricordo, l’amato/a può continuare ad abitare ogni cellula della nostra psiche, donando nuova aspettativa e vigore, permettendo una crescita completa, nel migliore dei casi una rinascita.

Così la separazione e la perdita, aprendo ad una nuova storicizzazione, consentono una sempre più articolata individuazione [;] non sono solo eventi disperanti, ma formativi ed evolutivi, ristrutturanti l’identità stessa: la sperimentazione del limite, del dolore amplificano la dimensione cognitiva e affettiva, umana ed individuale di colui che la vive. Consentono di dare alle cose nuova forma ed una diversa progressione” (Di Nuovo, S., Falgares, G., 2008, p. 199).

La separazione diviene così un’opportunità di continuare a trascendere il mondo, dal momento che “qualcosa prima tenuto legato può essere slegato e lasciato libero nell’andare” (ibidem, p. 200). Questa opportunità si concretizza soltanto attraverso un nuovo modo di guardare al futuro, mediante il ritorno di quella speranza che attinge indicibile forza dal ricordo.

La fiducia gioca qui un ruolo fondamentale: è in tal senso l’aspetto strutturante di ogni personalità matura, cosciente della sopportabilità della perdita e capace di slegarsi da sostegni tangibili, certa che “l’emozionalità turbolenta troverà il proprio punto di equilibrio” (ibidem, p. 201).

Tramite un’apertura leggera ed esitante all’avvenire, grazie alla quale le energie trovano modo di dispiegarsi verso nuovi orizzonti, si prelude il cammino all’espansione del Sé, nella misura in cui tale processo d’espansione è sostenibile.

L’ «esperienza del vissuto» torna così ad essere in linea con la «funzione del reale», rendendo le aree mentali “fluide, produttive e viventi perché il tempo dell’Io e quello del mondo [divengono] sincronici” (ibidem).

Il trauma derivato dalla rottura di un legame solido viene convertito in un’esperienza di crescita in cui i confini dell’essere vengono rinsaldati nell’aver preso consapevolezza del valore che quel rapporto ha significato.

La fortuna per averlo assaporato fino in fondo rende quel “cimelio della memoria” un culto a cui dedicare fantasie e preghiere, paure e sogni.

Si diventa capaci di esperire in modo nuovo e di prendere contatto con parti del Sé fino a prima sconosciute, di percepirsi e percepire in altra maniera. Non c’è più spazio per il rancore ed il biasimo, poiché l’esigenza principale torna ad essere quella di vivere, riprendere a desiderare, sapendo di essere – con – l’altro, seppur senza l’altro.

 

Bibliografia

Binswanger, L., (1973). Essere nel mondo: 1933. Roma Astrolabio.

Borgna, E. (2015). «Alla ricerca del tempo perduto», in Il tempo e la vita. Milano: Feltrinelli.

Callieri, B., De Vincentiis, G., Castellani, A. (1972). Lineamenti di una psicopatologia fenomenologica. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore.

Di Nuovo, S., Falgares, G., a cura di (2008). «Il tempo della separazione», in Per una psicologia psicologica: scritti in onore di Franco Di Maria. Milano: F. Angeli.

Egidi Morpurgo, V., Morpurgo, E., a cura di (1995). La solitudine: forme di un sentimento. Milano: F. Angeli.

Gennaro, A. (2014). Introduzione alla psicologia della personalità. Bologna: Il Mulino.

Vecchio, S., Masciangelo, P. (1989). Nostalgia: scritti psicoanalitici. Bergamo: P. Lubrina.

 

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Elisa Ginanneschi
Cresciuta in un piccolo paesino, ma con grandi sogni per la testa. Le coordinate che da sempre danno direzione ai miei obiettivi sono quelle che chiamo le "Due P": Poesia e Psicologia. Mi sono laureata in Psicologia Clinica alla Sapienza di Roma con 110 e lode con una tesi dal titolo "L'accoglienza dei soggetti transgender nel contesto sanitario". Durante il corso di laurea magistrale ho svolto il Percorso d'Eccellenza occupandomi di plusdotazione, in particolare dell'influenza dello stile genitoriale sulle caratteristiche di sviluppo dei bambini plusdotati. Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi del Lazio n°26177, ho coniugato alla psicologia la mia passione per la sessualità: sono infatti anche una consulente sessuale ed esperta in educazione sessuale. Attualmente sto continuando la mia formazione come Sessuologa clinica presso l’Istituto di Sessuologia clinica di Roma. Sostenitrice dei diritti LGBTQI+, appassionata lettrice dei segnali dell'animo umano. Ho pubblicato diverse raccolte di poesia, dal titolo: Arcano Verbo, Carne e spirito, Suppliche mondane, Dieci a mezzanotte, Liriche di luce, D'estro e d'arsura, Ebbra, Benedicat e Odi et amo. Contatti: elisaginanneschi11@gmail.com

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