In un recente articolo abbiamo affrontato un tema che ha creato un certo “movimento” fra i nostri lettori. Il tema dell’articolo era quello dell’abuso di videogames e di cannabis e si incentrava sull’analisi, a partire da due casi clinici reali, di come le due condotte, giocare ai videogiochi e utilizzo della sostanza, possano in alcuni soggetti diventare la maniera costante con cui la persona cerca di fuggire dalla propria realtà fisica e mentale.

Da qui, soprattutto per i più giovani, il rischio di sperimentare esperienze simil-psicotiche o francamente psicotiche.

Le principali critiche mosse all’articolo citato sono state di moralismo, di essere retrogrado e di non prestare abbastanza attenzione alla dipendenza in termini generali, finendo per demonizzare la cannabis e i videogames.

Le critiche mosse in questa direzione fanno riflettere su un tema molto importante, che è proprio la definizione dei termini: diventa difficile infatti capirsi quando si adottano linguaggi diversi, una condizione per cui tutto diventa equivocabile quando, tutto sommato, la nostra posizione non è molto lontana da coloro che ci hanno criticato.

Demonizzare la sostanza e non contemplare i meccanismi che sottostanno all’instaurarsi di una dipendenza non è funzionale né a comprendere il fenomeno né ad informare sui rischi.

Utilizzando la fortunata espressione di un lettore, sarebbe come accusare d’omicidio il coltello e non l’assassino. Ma facciamo attenzione a questo aspetto: nell’ambito delle tossicodipendenze vi sono rischi che dipendono dalla persona e vi sono rischi che dipendono dalla presenza nella sostanza di alcune proprietà che la rendono particolarmente appetibile per alcune persone e non per altre, cosa che rende le dipendenze tutte un po’ diverse fra di loro, nonostante ampi tratti di somiglianza.

Cosa ci dicono la psicologia e la psichiatria a riguardo delle dipendenze?

Riprendendo una formalizzazione già datata ma di grande successo nel paradigma psichiatrico contemporaneo, le persone utilizzano le sostanze con continuità seguendo un principio di automedicazione (Khantzian, 1985).

Formalizzazione molto semplice ma molto efficace: hai bisogno di stare giù? Marijuana. Hai bisogno di stare su? Cocaina. Hai bisogno di non sentire più niente? Oppiacei. Hai bisogno di sentire calore, piacere, affetto? Eroina. E via dicendo.

L’automedicazione diventa in questo modo il meccanismo motivazionale che dà avvio, dirige e sostiene l’utilizzo continuativo della sostanza.  

Ma non sono solo le droghe pesanti a dare dipendenza?

Nì. Occorre fare un distinguo importante fra il piano fisico e quello psichico, disambiguando la dipendenza fisica da quella psicologica.

La dipendenza fisica è ben evidenziabile in quelle sostanze che, quando il soggetto ne interrompe l’assunzione, danno avvio ad una serie di meccanismi fisiologici noti come crisi di astinenza. È il corpo che reclama la sostanza perché non può più farne a meno. È un tentativo da parte del corpo di regolare l’omeostasi (equilibrio) dopo che è stato destabilizzato in maniera più o meno permanente dall’utilizzo massiccio della sostanza.

La dipendenza psicologica (o craving) è definibile come il bisogno della sostanza o del comportamento di dipendenza e la sua costante ricerca nel tempo. Il craving si innesca spesso quando la persona entra in contatto con oggetti o situazioni che richiamano la sostanza (es. le cartine, la vista del tabacchino, l’ora dell’aperitivo).

A livello soggettivo, è percepibile alla stregua di un’abitudine, una routine, dalla quale spesso è però difficile uscire, pena la percezione di un senso di spiacevolezza ad aver disatteso un “impegno fisso”.

Quali sostanze danno astinenza?

In primis eroina, cocaina ed alcol, i cui metaboliti (sostanze di scarto dei processi di assunzione) girano nel nostro organismo per un bel po’ dal termine dell’assunzione, innescando i meccanismi della crisi di astinenza.

Quali sostanze danno dipendenza psicologica?

Potenzialmente tutte: le prospettive attuali rinvengono proprio nel craving il processo psicologico che rende simili fra di loro tutte le dipendenze. Tale processo a livello neurobiologico rimanda all’alterazione del network neuronale definito come “circuito della ricompensa”, una serie di regioni cortico-sottocorticali interconnesse fra di loro che si attivano quando la persona riscontra nell’ambiente qualche oggetto che potrebbe essere fonte di gratificazione.

L’uso delle sostanze, che prima di tutto rappresentano per la persona potenti fonti di gratificazione, iperattiva questo network, producendo due effetti: da una parte il bisogno di esporsi a stimolazioni sempre maggiori per mantenere in equilibrio il sistema; dall’altra il costante desiderio di quelle situazioni che sono fonte abituale di gratificazione per ripristinare l’equilibrio.

È chiaro che queste “situazioni” possono essere tanto le sostanze quanto il gioco d’azzardo, lo shopping, l’utilizzo di videogiochi o di internet in maniera compulsiva, comportamenti, questi ultimi, che sono finiti a pieno diritto nel DSM-5 sotto la voce “Dipendenze comportamentali”.

Ciò detto, di cosa parliamo quando parliamo di dipendenza?

Ancora una volta lascio la parola al DSM-5, che in questa direzione fornisce ai professionisti un linguaggio comune sul quale basare le proprie formulazioni. La quinta edizione del manuale, rispetto alla edizione precedente, ha eliminato una differenza ormai demodée fra abuso e dipendenza, accorpando le varie condotte sotto un’unica etichetta: Disturbi da Uso di Sostanze.

Quali sintomi caratterizzano questa categoria diagnostica? In altre parole: quand’è che si diventa dipendenti?

Innanzitutto, la persona deve ricorrere alla sostanza o al comportamento molte volte, più volte di quanto lui stesso si imponga e indipendentemente dai tentativi effettuati di ridurre la frequenza d’utilizzo. 

C’è in questi aspetti un senso di mancanza di controllo soggettivo. La persona, nella condotta d’abuso, compromette la propria salute e utilizza la sostanza anche in quelle situazioni che possono essere per lei pericolose.

C’è quindi, a fianco del discontrollo, un senso di deresponsabilizzazione personale, che diventa una deresponsabilizzazione tout-court nel momento in cui la persona, a causa dell’utilizzo della sostanza, interrompe importanti attività della sua vita sociale, familiare, lavorativa o scolastica, determinando una compromissione del funzionamento sociale.

Accanto a questi sintomi vi sono poi quelli di astinenza, tolleranza (che conduce la persona ad utilizzare la sostanza in maniera sempre più cospicua) e di craving.

Ma allora cosa distingue le diverse dipendenze fra di loro? Il tipo di sostanza o di comportamento d’abuso e il numero di sintomi riscontrati, che determina la gravità del disturbo.

Il fatto che debbo tenere a mente entrambi i fattori nella valutazione dei fenomeni di dipendenza fa sì che le situazioni cliniche siano molto diverse fra di loro: ad esempio potrei trovarmi di fronte ad un Disturbo da Uso di cocaina di gravità minore rispetto ad un Disturbo da Shopping Compulsivo, per cui, nonostante saremmo più inclini a considerare la cocaina più rischiosa dello shopping, se nella seconda condizione la persona rischia di mandare all’ortiche l’intero patrimonio personale o familiare, in questo senso il livello di gravità e di compromissione divengono criteri più rilevanti che il tipo di sostanza o di condotta.

Tutte queste informazioni ci fanno riflettere sul tema delle dipendenze: indipendentemente dalle cause bio-psico-sociali all’origine del fenomeno, la dipendenza da una sostanza si configura in maniera non dissimile dal semplice uso da un punto di vista prettamente comportamentale. Ciò che differenzia le due condotte è il livello di distress e la gravità che le ricadute legate al comportamento a rischio hanno sulla persona e sull’ambiente attorno ad essa.

In questo senso occorre sì spostare l’attenzione sui comportamenti, tenendo però sempre presente che vi sono alcune sostanze che, se usate più del dovuto, possono produrre effetti ingenti sulla salute mentale e fisica dell’individuo.

Se quest’ultima cosa è chiara per quello che riguarda le droghe come l’eroina, la questione è decisamente più spinosa sulla cocaina e sulla marijuana.

Mentre abbiamo già affrontato le conseguenze dell’uso massiccio di cocaina in un precedente articolo, che cosa possiamo dire, affidandoci alla psicologia e alla psichiatria, sugli effetti del consumo di cannabis?

Approfondiremo il tema in un prossimo articolo.

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