Noi desideriamo l’amore, vorremmo avere più tempo e temiamo la morte.” [Collateral Beauty]

Collateral Beauty è un film che tratta del lutto e della perdita, un tema che tocca o ha toccato tutti noi da vicino. È un film estremamente coinvolgente perché veniamo trascinati nel vortice di disperazione e dolore del protagonista.

Howard ha perso sua figlia di soli 6 anni a causa di una forma di tumore. Questa perdita l’ha segnato nel profondo e, a distanza di due anni, non si è ancora ripreso. La vita di Howard ci appare buia, vuota, senza speranza e senza più un senso.

Il mondo ha smesso di essere un posto degno di essere vissuto da quando la figlia è morta, ha smesso di avere barlumi di luce e attimi di felicità.

Howard è arrabbiato per l’ingiustizia subita. Non potendo trovare una spiegazione che lo faccia andare avanti, Howard si rivolge all’universo, o meglio contro l’universo, scrivendogli delle lettere.

Scrive una lettera al tempo accusandolo di non essere stato abbastanza: “Dicono che guarisci tutte le ferite, ma non dicono che distruggi tutto ciò che c’è di buon al mondo, che trasformi la bellezza in cenere. Bhe non sei altro che legno fossile per me. Sei un tessuto morto che non si vuole decomporre. Sei niente.”

Scrive alla morte con parole sprezzanti per avergli strappato sua figlia.

La lettera che Harold scrive all’amore è la più breve e coincisa, ma la più eloquente: “Addio”.

Una sola parola che esprime la rassegnazione e la sofferenza del protagonista. Persa la figlia Howard rinuncia alla possibilità di provare di nuovo amore, di sentirsi vivo.

Tra realtà e fantasia, le astrazioni dell’universo vengono personificate da tre attori teatrali, con cui Howard ha discussioni e scontri. Quello che emerge nel film è la pervasività della sofferenza di Howard e la totale compromissione della sua vita da allora.

Le persone vivono il lutto in modi molti diversi e soggettivi. Ci sono atteggiamenti e comportamenti che ognuno può attuare per convivere nelle prime fasi con la sofferenza. Nonostante la diversità di ognuno di reagire, secondo Kübler Ross (1979), sono identificabili 5 fasi comuni:

  1. Negazione: “Non è successo davvero”.
  2. Rabbia: la perdita è sentita come ingiustizia. La rabbia può essere verso il defunto, verso sé stessi, verso gli altri, verso Dio, verso i medici.
  3. Patteggiamento: fase di ricerca di soluzioni e risposte per quanto accaduto, anche se non realistiche.
  4. Depressione: il focus su ciò che si è perso e che non può più essere.
  5. Accettazione: è l’ultima fase e determina la fine dell’elaborazione del lutto, che determina l’accettazione di ciò che è successo (che non vuol dire dimenticarlo) e poter pensare “in avanti”.

Howard non ha elaborato il lutto. Sono passati 2 anni dalla morte della figlia e Howard mostra una compromissione marcata di diversi ambiti della sua vita, come quello lavorativo e sociale per esempio.

Howard non lavora quasi più, ha perso l’interesse per la sua azienda, per le persone che gli stanno attorno, non si preoccupa delle conseguenze, non dorme. Lo vediamo spesso sfrecciare in bici in mezzo alle auto in corsa, non curante apparentemente del rischio della propria vita o forse molto consapevole del rischio.

Dal punto di vista della psicologia c’è distinzione tra il lutto che possiamo definire “normale” e il lutto complicato, ossia il disturbo da lutto persistente e complicato.

Due criteri rilevanti che definisco il disturbo da lutto persistente e complicato sono la durata e la compromissione del funzionamento in diversi ambiti della vita, come quello sociale o lavorativo.

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V), il lutto complicato è caratterizzato dalla presenza di alcuni dei seguenti sintomi per almeno 12 mesi: nostalgia, difficoltà nel seguire interessi e fare piani per il futuro (incluse attività, amicizie etc), sensazione che la vita sia vuota e senza senso, di essere soli e distaccati dagli altri, di non potersi fidare, la rabbia, incredulità, evitamento eccessivo di ricordi legati alla perdita (per esempio evitare persone, luoghi e situazioni), confusione riguardo il proprio ruolo nella vita.

Può essere presente anche il desiderio di raggiungere il defunto. Sicuramente la compromissione sul piano del funzionamento è un elemento determinante nel lutto patologico. Nel caso di Howard è evidente che più di un ambito della sua vita sia compromesso in modo molto marcato e viene naturale pensare che avrebbe bisogno di sostegno e di un intervento professionale.

Leggendo alcuni dei sintomi del disturbo da lutto persistente e complicato potreste aver pensato che in realtà alcuni possono essere comuni in chi subisce una perdita. Una domanda potrebbe sorgere spontanea: quando è indicato rivolgersi allo psicologo per un lutto?

La risposta è: quando si sente la necessità di sostegno, supporto e ascolto professionali. È importante sfatare il mito secondo cui dallo psicologo “ci va chi non ce la fa da solo” o “per cose gravi”.

Ognuno dovrebbe sentirsi libero di affidarsi a un professionista quando lo ritiene necessario per sé: quindi non solo Howard, ma chiunque stia attraversando un momento di vita critico, una perdita, una situazione a cui non riesce a far fronte, una sofferenza e senta il bisogno di un sostegno.

BIBLIOGRAFIA

American Psychiatric Association. (2014). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore.

Ross, E. K. (1979). La morte e il morire. Assisi, Cittadella.

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Irene Cazzaniga
Piacere, sono Irene! Mi sono laureata in psicologia clinica e neuropsicologia nel ciclo di vita presso l’università di Milano Bicocca. In passato ho fatto diverse esperienze nell’ambito dei minori, sia tramite un tirocinio presso una comunità mamma-bambino, sia tramite esperienze di volontariato. Attualmente sono una volontaria presso una cooperativa sociale che propone percorsi di ippoterapia per bambini e ragazzi. Amo i film, i libri e la fotografia e credo nel loro grande potere comunicativo. Attualmente sto svolgendo il tirocinio post lauream presso un reparto di neuroriabilitazione cognitiva, nel quale ho modo di fare esperienza del mondo dell’adulto, sia dal punto di vista del disagio psicologico che della riabilitazione neuropsicologica. La neuropsicologia in particolare è un’area che mi interessa a livello professionale. Contatti: irene.cazzaniga93@gmail.com

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