Irvin Yalom, scrittore, psichiatra, psicoterapeuta e docente universitario, ha la spiccata capacità di far sentire a proprio agio sia i suoi lettori più accaniti, con degli spunti riflessivi sempre nuovi e che spaziano in ogni argomento della psicoterapia, e sia i novizi grazie ad un linguaggio non troppo complesso, alle sue riflessioni personali, agli esempi della sua carriera clinica e ad una scrittura stimolante.
Yalom sa fare questo e molto di più, grazie alla sua grande esperienza nel campo della psichiatria e della scrittura.
A lui sono dovute nuove tecniche romanzesche in cui il terapeuta fa descrivere ai propri pazienti la loro relazione terapeutica che poi viene condivisa con le riflessioni dell’autore.
Nel campo della psicoterapia, ha svolto studi e lavori pioneristici sulla psicoterapia di gruppo e sullo sviluppo di un modello teorico chiamato “psicoterapia esistenziale”, tutti traguardi che gli sono valsi il Premio “Oskar Pfiter” conferitogli nel 2000 dall’American Psychiatric Association.
“Guarire d’amore: storie di psicoterapia” è un libro edito Raffaello Cortina che tratta la storia clinica di alcuni pazienti, ma non lo fa in modo accademico, evidenziando i sintomi e descrivendo i ragionamenti effettuati per arrivare alla diagnosi: Yalom va oltre.
In particolare, descrive la figura del terapeuta che non è un ascoltatore passivo di fronte ai drammi dei quali viene investito nella sua carriera, ma che ne rimane senza dubbio emotivamente coinvolto.
Lo sfondo intorno al quale si colorano le storie cliniche è segnato da quelle che l’autore definisce “problematiche esistenziali”: morte, senso della vita, isolamento e libertà che fanno parte di quello che forse è il pensiero più esaustivo e coinvolgente sull’esistenza umana.
Il libro risulta essere anche un buon inizio per gli studenti di psicologia e psicoterapia, dato che tutti i dieci racconti sono descritti toccando dei punti importanti della psicoterapia e del rapporto terapeuta-paziente: l’inquadramento iniziale, il linguaggio impiegato nelle sedute, le dinamiche del colloquio clinico e l’andamento delle sedute.
Questo libro dovrebbe essere definito come un “manuale”, nel senso che consente al lettore di ritrovarsi accanto a Yalom durante il suo lavoro, anzi riesce a fare persino di più: si può entrare direttamente nella testa dello psichiatra, vedere con i suoi occhi e pensare con la sua mente, è praticamente un viaggio costruttivo nell’intrapsichico professionale.
Per questo motivo, come già detto, potrebbe essere utile la sua lettura per gli studenti che avrebbero un bel modo per cominciare a capire cosa vuol dire essere un terapeuta, ma anche per i professionisti così che possano trovare spunti di riflessione sulla propria attività.
Ho elogiato molto Yalom in queste poche righe, come potrei fare diversamente? Tuttavia egli non è infallibile, ovviamente, anche nei suoi interventi ci sono stati degli errori valutativi o di gestione.
I procedimenti e i pensieri non sono perfetti, questo manuale non è un ricettario né un riferimento nosografico, è semplicemente molto vero.
L’autore vuole riflettere e prendere delle decisioni, così facendo ha consapevolezza dei propri sbagli come noi abbiamo consapevolezza della squisita dimensione umana del libro. Yalom può sbagliare è vero, come tutti d’altronde, la differenza sostanziale sta nel come una persona elabora l’errore e cosa può risultarne da esso.
Proprio come nella tecnica giapponese del kintsugi, in cui gli oggetti rotti vengono riparati con l’oro così che possano assumere un valore nuovo dopo la rottura, allo stesso modo sia il paziente che il terapeuta nel loro percorso si rinnovano dalle rotture, anche quando queste non sembrano offrire una seconda possibilità.
Questo avviene, per il paziente, quando la disperazione del vissuto clinico riesce ad essere tramutata in risoluzione di problemi, accettazione, in un modo diverso di vedere le cose. Per il terapeuta la rottura può avvenire quando crede di aver perso tempo con un determinato caso, quando la terapia non risponde adeguatamente o quando non sa che via intraprendere durante le fasi dell’incontro.
La terapia secondo Irvin Yalom non è indirizzare il paziente su una strada corretta ed esserne distaccato, ma portarlo per mano fin quando non abbia imparato a “camminare sulle proprie gambe”.
Per far questo, il terapeuta deve superare il proprio ruolo e fare in modo che il paziente assuma la funzione di “madre o padre di sé stesso”.
L’autore offre una visione molto umile della terapia e del ruolo del terapeuta, ma anche molto vera e non di facile comprensione iniziale, premettendo sempre il fatto che non si tratta di una relazione amicale.
“Prendere per mano” e “dimenticarsi del proprio ruolo” non vuol dire non rispettare alcuna regola ma, in maniera più profonda, cercare di andare oltre quello che si è per il bene della persona che varca la porta dello studio: che la si chiami soggetto, paziente, cliente o individuo, è pur sempre qualcuno che è li perché ha bisogno di noi.