Articolo di: Tommaso Centrone

“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose fanno. Parla ai giovani in una lingua che comprendono. Lo sport può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione. È più potente di ogni governo nel rompere barriere razziali. Lo sport ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione” (Nelson Mandela, Laureus Award, 2000).

In questo celebre discorso, Nelson Mandela pone una lucida e potente enfasi sui benefici sociali dello sport. Oltre agli ovvi benefici fisici, e ai benefici sociali appena citati, lo sport sano è veicolo di importanti benefici psicologici.

Capita spesso di parlare della scuola. Il ruolo che svolgono l’ambiente scolastico, gli insegnanti, gli obiettivi educativi. Cooperazione, rispetto delle regole, assunzione di responsabilità, raggiungimento di obiettivi, senso di autoefficacia. Questi aspetti, che dovrebbero essere presenti, appunto, nella scuola, hanno la capacità di essere enfatizzati al massimo nell’ambiente sportivo giovanile.

Possiamo definire lo sport con la formula “gioco + agonismo”. Entrambi gli aspetti sono fondamentali. Nel gioco c’è il divertimento, il piacere dell’attività. Nell’agonismo c’è il concetto di gara, di competizione, di comparazione di performance contro altri avversari. In questo concetto si può comprendere perché, nello sport, l’apprendimento possa essere incredibilmente potente.

Entrano in campo, infatti, due costrutti importanti: le motivazioni e le emozioni.

È più facile che le motivazioni del comportamento, all’interno dell’ambiente sportivo giovanile, siano intrinseche: l’attività è (o meglio, dovrebbe essere) gratificante in se stessa, perché il bambino o il ragazzo si diverte nel movimento, nel gioco, nella giusta competizione sportiva. Inoltre, è, spesso, un’attività scelta volontariamente.

Per l’istruttore o allenatore di turno è più facile lavorare in questa direzione. Per il bambino è più facile impegnarsi, ascoltare, provare a superarsi, a correggere gli errori commessi. La scuola, invece, essendo dell’obbligo, costringe i bambini a parteciparvi, e per necessità didattiche rischia di essere parecchio statica e poco coinvolgente. La motivazione all’apprendimento, quindi, tende ad essere maggiormente estrinseca, e quindi meno efficace.

Quest’ultimo punto ci introduce al secondo tema, quello delle emozioni. Lo sport giovanile crea i presupposti per esperire, conoscere e saper gestire un ampio raggio di emozioni, sia positive sia negative. Essendo, tra le altre cose, un istruttore minibasket, con ogni gruppo nel quale ho lavorato ho sempre posto al centro del mio progetto educativo la gestione emotiva sia della sconfitta, sia della vittoria.

Imparare a tollerare stress e frustrazioni, sopportare la fatica, superare la rabbia per un errore personale o di un compagno. Al tempo stesso non farsi investire dal piacere totalizzante di una vittoria, riuscire a incanalare la felicità verso i giusti binari per vivere lo sport non come montagne russe, ma come una piacevole e stimolante esperienza.

Date queste premesse, nello sport giovanile è importante porre al centro il bambino, o il ragazzo. Si sente spesso il seguente discorso: “io alleno in questa maniera, ho sempre fatto così e ha sempre funzionato. Se qualcuno non mi sta dietro, sono fatti suoi!”.

In questa visione totalmente egoriferita dell’istruttore, si perde di vista l’obiettivo di chi allena i giovani: i bambini che si hanno di fronte.

La sfida deve essere la comprensione di chi si ha davanti, dei suoi bisogni, per creare allenamenti, situazioni, discorsi che abbiano al centro il piacere, il divertimento, la motivazione, in modo tale che ognuno si senta visto e validato dall’adulto, e possa vivere correttamente le esperienze nel quale il piccolo atleta si imbatterà.

L’ultimo aspetto sul quale volevo porre l’enfasi in questo spazio di riflessione è quello dell’autoefficacia. Se gli allenamenti riescono ad essere adeguati ai ritmi del giovane sportivo, se le competizioni affrontate permettono ai ragazzi sperimentarsi contro avversari che hanno simili possibilità di successo (in gare o partite equilibrate), e se viene concesso al bambino l’importantissimo diritto di non essere un campione, e quindi di non far coincidere il proprio valore personale con il risultato ottenuto in campo, lo sport diventa terreno fertile per la crescita di un giusto senso di autoefficacia.

È importante lavorare su obiettivi mirati, graduali, adeguati al livello attuale del piccolo atleta e condivisi con esso (e con le famiglie, con le quali si deve creare la giusta sinergia: i genitori non sono nemici dell’allenatore, ma preziosi alleati). È importante che i numerosi feedback e i rinforzi positivi ricevuti si concentrino solo sulla performance, individuale o del gruppo, e sugli obiettivi condivisi, e non sul risultato della competizione che, per forza di cose, dipende anche da fattori esterni (ad esempio gli avversari).

In questo clima, e per i motivi sopra esposti, i giovani, attraverso lo sport, possono avere un ambiente sicuro, forte e motivante nel quale può sperimentarsi e apprendere diverse skills utili per la vita: concentrazione, competenze comunicative, decision making, capacità organizzative e di pianificazione, rispetto delle regole, uso corretto di spazi e materiali condivisi, accettazione dell’altro nelle sue differenze, nelle sue qualità e nei suoi difetti, essere parte preziosa all’interno di un gruppo, collaborazione e fiducia reciproca.

Il mondo di crescita psicologica che i settori giovanili sportivi possono offrire ai ragazzi, di conseguenza, è vasto e fondamentale. È importante che tutti gli adulti responsabili di tali settori (allenatori, dirigenti, genitori, arbitri) siano consapevoli del ruolo psicoeducativo che quotidianamente si assumono.

A tal proposito, sempre più società chiedono aiuto a psicologi dello sport per creare progetti volti a favorire la crescita di un ambiente sano ed educativo al loro interno, e l’augurio è che sempre più società si rendano conto dell’importanza di questi aspetti e investano per il bene dei nostri giovani e per la loro crescita corretta.

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Tommaso Centrone
Sono laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia in Bicocca, ho conseguito un Master in Psicologia dello Sport, e sono istruttore minibasket presso le società Basket Cernusco e Centro Schuster. Ho sostenuto l’Esame di Stato e sono in attesa dell’iscrizione all’Albo. Collaboro, come esperto sportivo, con i Consultori Familiari della Fondazione Centro per la Famiglia Carlo Maria Martini per il progetto scolastico Sporting Skills, progetto che utilizza lo sport come metafora, e l’attività fisica come veicolo di lavoro sulle Life Skills. Collaboro con la dott.ssa Sara Bordo per la realizzazione dell’app Perform Up, applicazione di mental training per giocatori di tennis e di golf. Il mio obiettivo, a breve termine, è iniziare a lavorare sul campo come psicologo dello sport. Contatto: tommaso.centrone@yahoo.it

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