Il bambino nasce con un cervello incompleto e non, come affermava il postulato dell’antica pedagogia, con un cervello vuoto”.

G. Bachelard

Fino a circa vent’anni fa, del cervello del neonato sapevamo ben poco e l’approccio teorico dominante era quello dell’empirismo, per cui “il cervello nasce privo di qualsiasi conoscenza e subisce l’influenza dell’ambiente circostante”.

Grazie alle moderne tecniche di neuroimaging, ed in particolare con l’avvento della risonanza magnetica, ad oggi sappiamo che “praticamente tutti i circuiti del cervello adulto sono già presenti in quello del bambino”. Infatti, tutti i grandi fasci di connessioni compaiono dalla nascita e la plasticità celebrale non fa che perfezionarli.

Questo è quanto riporta Stanislas Dehaene nel suo nuovo libro “Imparare. Il talento del cervello, la sfida delle macchine”, pubblicato da Raffaello Cortina Editore.

Nel corso dell’evoluzione, la nostra specie si è dotata di un cervello basato su quattro funzioni principali per massimizzare la velocità con cui estrarre informazioni dal nostro ambiente: l’attenzione, il coinvolgimento attivo, il riscontro dell’errore ed il consolidamento.

Il cervello è costantemente bombardato da stimoli e non ha le risorse energetiche sufficienti per “digerirli tutti”, pertanto opera una selezione. Se non siamo in grado di gestire questa selezione, se il meccanismo dell’attenzione non funziona in modo adeguato, l’“apprendimento si blocca”.

L’attenzione è il meccanismo con cui il nostro cervello seleziona le informazioni.

Dehaene nel testo riporta la teoria di M. Posner, secondo cui si possono distinguere almeno tre principali sistemi attenzionali, i quali possono facilitare o meno l’apprendimento, a seconda di come funzionano:

  1. Allerta: indica quando fare attenzione
  2. Direzione dell’allerta: indica a cosa prestare attenzione
  3. Controllo esecutivo: indica il come elaborare informazioni

L’attenzione condivisa (“sono attento quando tu sei attento e imparo ciò che mi insegni”) è fondamentale nel determinare ciò che il bambino impara.

Secondo Dehaene “il più grande talento dell’insegnante è incanalare e catturare, in ogni momento, l’attenzione del bambino per orientarlo verso il livello appropriato”.

Nessuna altra specie animale sa insegnare come noi, siamo molto probabilmente i soli a possedere una “teoria” della mente degli altri. Siamo in grado cioè “di fare attenzione alla loro attenzione, di immaginare i loro pensieri”.

L’autore nel testo esorta l’adulto che insegna a pensare costantemente a ciò che il bambino non conosce. Il bravo insegnante costruisce un modello mentale del suo allievo e fa del suo meglio per fargli fare progressi, perché “imparare significa costruire un nuovo modello del mondo nel nostro cervello”.

Per fare ciò, è però necessario che l’individuo si approcci al mondo in maniera attiva, poiché l’apprendimento non avviene passivamente. Già il bambino molto piccolo, infatti, “è uno scienziato in erba”, il quale genera costantemente nuove ipotesi e mette alla prova i modelli che proietta sul mondo esterno.

Compito del bravo insegnante è stimolare la curiosità dell’allievo, poiché come diceva già Aristotele nel 335 a.C., “tutti gli uomini per natura tendono al sapere”.

In questo contesto, l’errore svolge un ruolo cruciale, poiché grazie al suo riscontro, il bambino scopre un divario tra ciò che si aspettava e la realtà. La sorpresa è infatti uno dei motori fondamentali dell’apprendimento.

In questo modo, il cervello può regolare i propri modelli, adattandoli all’ambiente circostante. “Sbagliare significa già imparare”, perché nessuno impara senza sbagliarsi.

L’autore, però, a questo proposito critica il modo in cui la scuola tradizionale è solita dare valutazioni: il voto. Il voto è infatti spesso percepito dallo studente come una punizione e può sollecitare emozioni negative, come l‘ansia e lo stress, che possono compromettere le capacità dello studente, con la possibile conseguenza di inibire i suoi progressi e, a lungo termine, modificarne la personalità e l’immagine che ha di sé.

Al contrario, distribuire l’apprendimento, intervallandolo con dei brevi test, ripetere, ritornare su argomenti già affrontati, massimizza l’apprendimento.

Infine, il consolidamento automatizza e fluidifica ciò che abbiamo appreso. Secondo Dehaene, in questo processo è fondamentale il sonno. Infatti, mentre dormiamo “il cervello fa girare ciclicamente i suoi modelli e amplifica ciò che ha imparato durante la giornata”, al fine proprio di renderlo automatizzato.

Le macchine oggi non sono ancora in grado di superare il cervello umano. Persino il cervello di un bambino impara più velocemente del miglior software di intelligenza artificiale in circolazione.

In futuro potremmo continuare a tentare di imitare il cervello per perfezionare meglio le macchine, ma, per eguagliare le sue abilità servirebbe comunque un suo “linguaggio interno”, che permetta di migliorare la sua flessibilità, probabilità e gestione di attenzione e memoria.

In conclusione, è un libro complesso, costituito da riferimenti che spaziano dalle neuroscienze alla psicologia dello sviluppo alla tecnologia più avanzata. È un testo che consiglierei a chiunque si approcci alla formazione: al genitore, all’insegnante, all’allievo, sia esso adulto o bambino. È un libro che fa riflettere, ricco di spunti per far funzionare meglio il nostro cervello e massimizzare la velocità di apprendimento.

ADESSO COSA PENSI?