E stringere le mani per fermare

Qualcosa che è dentro me,

ma nella mente tua non c’è.

Capire tu non puoi,

tu chiamale se vuoi,

emozioni.

Battisti e Mogol, 1970 (dalla prefazione del libro)

(N.d.A: Per dissociazione si intende un meccanismo di difesa attraverso il quale una persona si distacca, in maniera inconsapevole, da emozioni spiacevoli e dolorose, con conseguente appiattimento delle emozioni. Questo processo ha dei correlati neurobiologici specifici ed è automatico e inconsapevole).

Philip Bromberg, scomparso il 18 maggio 2020, è stato un esponente di spicco della scuola della psicoanalisi relazionale americana. Ha scritto diversi libri sul trauma dello sviluppo, da lui definito “trauma relazionale precoce”, offrendo un contributo fecondo alle teorizzazioni sugli effetti dei traumi precoci sulle successive organizzazione psicopatologiche in un’ottica prevalentemente psicodinamica.

Nel libro “L’Ombra dello Tsunami” (2011), ultimo volume della trilogia da lui dedicata al trauma, dissociazione, e processo terapeutico, l’autore ha creativamente approfondito il ruolo dei traumi precoci nell’etiopatogenesi della dissociazione patologica negli adulti, arricchendone la comprensione grazie a contributi neurobiologici e clinici.

Secondo l’autore, l’aspetto centrale del trauma risiede nel fatto che tutti i bambini hanno bisogno di una conferma delle loro esperienze soggettive, per poter sentire di esistere e legittimare i propri stati interiori: sensazioni, percezioni, emozioni e pensieri.

L’assenza di tali risposte sincrone costituisce un fattore traumatico, e impatta permanentemente la capacità del bambino di rimanere psichicamente integrato.

L’esperienza di disconferma della propria soggettività è ubiquitaria e normale, ciò che varia è il grado in cui essa avviene. A seconda della quantità in cui il bambino ha sperimentato questo tipo di trauma relazionale, sarà più o meno propenso a ricorrere a difese dissociative patologiche così da garantire una sensazione di continuità al proprio sé.

Il concetto del “ritiro dello tsunami”, che l’autore introduce nel primo capitolo, è piuttosto sibillino e rimanda all’idea per cui lo tsunami e la sua ombra riguardano sia i processi dissociativi, sia la paura di essere nuovamente traumatizzati da una mente che invalida le proprie esperienze interiori.

Se da un lato i processi dissociativi sono fisiologici e adattivi, nel caso in cui il loro uso divenga eccessivamente rigido e massiccio essi impoveriscono la vita affettiva e creativa del soggetto riducendone quindi la libertà espressiva.

Il processo terapeutico, secondo Bromberg, mira quindi a ridurre “l’ombra dello tsunami”, ovvero a far diminuire il ricorso ai processi dissociativi e le angosce ad essi relate. L’autore pone un’enfasi particolare sul ruolo dell’analista all’interno di questo processo, ruolo che lo vede impegnato a monitorare e riconoscere come i propri stati dissociative contribuiscano agli enactment interni alla terapia.

Suggerisce che la partecipazione dell’analista a questo processo, inclusa la sua graduale consapevolezza della natura bipersonale di questi enactment, sia necessaria per consentire al paziente di accrescere la propria capacità di tollerare l’intersoggettività.

Ma cos’è l’intersoggettività? Mi pare questo un punto fondamentale per comprendere le teorizzazioni di Bromberg e i suoi contributi originali alla clinica odierna. L’intersoggettività fa riferimento alla nostra capacità di essere simultaneamente consapevoli e della nostra esperienza interiore, e di come un’altra persona sta facendo esperienza di questa nostra stessa esperienza.

Ci tengo a riportare la descrizione di stato diadico di consapevolezza che l’autore ci consegna nell’introduzione, che mi è sembrata estremamente puntuale e toccante. Scrive: “lo stato di coscienza diadica non è una semplice esperienza intersoggettiva… produce effetti dinamici, aumentando la consapevolezza ed espandendo lo stato di coscienza del bambino (e del partner) […]. sul piano esperienziale, il raggiungimento di uno stato diadico di coscienza conduce anche a sentirsi più “grandi” di quanto si è” (p. 7).

La vicinanza che porta a sentirsi più grandi di quanto si è. Non è forse questo il potenziale che vive in ogni forma di rapporto? Con il caregiver, con un amante, un’amicizia, o nel corso del processo terapeutico?

Secondo Bromberg è proprio questo potenziale a venire meno quando un’onda di affetti disregolati colpisce la mente immatura senza che essi possano essere condivisi ed elaborati all’interno della relazione primaria.

È qui che si prende le mosse il trauma dello sviluppo. Nel momento in cui il bambino vede e sente nello sguardo del genitore qualcosa di profondamente diverso da ciò che lui sta sperimentando, non essendo ancora in grado di definire i propri stati interiori in maniera autonoma è come se interiorizzasse dei “sé alieni”, per dirla con Ferenczi.

Non riesce a pensare “questo non sono io, non è quello che sento io”, perché non ancora sufficientemente definito e sicuro delle proprie percezioni. Si insinua allora una credenza di fondo per cui i propri stati interiori non sono affidabili, e anzi, probabilmente sono fondamentalmente sbagliati, andando a generare un profondo senso di vergogna.

Lo sguardo assente di un genitore, angosciato o spaventato a fronte di un sorriso del bambino, o di una ricerca di vicinanza o richiesta di cibo porterà il bambino a fraintendere ciò che lui stesso sta provando a favore del bagno affettivo veicolato dal genitore.

E in questo spazio trova linfa vitale la dissociazione. Essa permette al bambino di proteggersi dalla profonda angoscia che deriva dalla sensazione di non essere visti e di essere viceversa profondamente fraintesi nel proprio modo di essere.

La mancata strutturazione di un senso di sé sufficientemente coeso e stabile porta quindi a percepire la relazione come un’esperienza intrinsecamente traumatica. L’intersoggettività è impossibile da tollerare a causa della confusione che genera: tu sei tu o sei me? Io sono io o sono te? Chi è chi e chi sente cosa?

La costruzione quindi di un’intersoggettività condivisa avviene grazie a una graduale integrazione degli stati dissociati e si sviluppa attraverso un’accresciuta costanza dell’oggetto e capacità di gestire il conflitto interiore senza che esso divenga invalidante dell’esperienza interiore.

Aggiungerei inoltre che fattore determinante è la capacità del paziente di esperire, riconoscere e decifrare i propri stati interiori, facendoli gradualmente confluire all’interno della relazione analitica.

È qui che il ruolo dell’analista è così vitale: esso accompagna il paziente a fare un’esperienza di sé autentica in un contesto intersoggettivo non eccessivamente minaccioso. Per dirla con Winnicott, ai cui lavori Bromberg si ispira, l’analista deve aiutare il paziente a essere solo in compagnia di un altro.

E l’essere solo non ha unicamente a che vedere con la sperimentazione della solitudine, quanto con la possibilità di sentirsi e percepirsi profondamente, di riconoscere i propri bisogni, moti e vuoti, così da poterli successivamente introdurre in un contesto dialogico, e autentico, con un altro da sé, senza doverli abnegare o alterare.

Così nasce l’intersoggettività.

La lettura di questo libro è complessa, da un punto di vista sia intellettuale sia emotivo, sarei quindi orientata a indicarla primariamente a clinici che già lavorano con pazienti. Tuttavia, la scrittura poetica di Bromberg e il suo pensiero originale e creativo rendono questo libro adatto anche a un pubblico più esteso, interessato a conoscere l’opera raffinata di un grande analista e l’eredità che ci ha lasciato.

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