RenÈ Magritte, DÈcalcomanie, 1966, © PhotothËque R. Magritte / Banque d'Images, Adagp, Paris, 2016

Che cos’è la coscienza? Quando nasce? Come nasce? Sono queste le domande a cui cercheremo di rispondere in questo articolo. L’obiettivo è ambizioso, ma per fortuna abbiamo la possibilità di accedere al pensiero di grandi studiosi che, almeno in parte, hanno trovato delle risposte, chi con strumenti rigorosi da un punto di vista scientifico, chi meno.

Tra tutti ho scelto di parlarvi di due Autori in particolare: Julian Jaynes (1984) e Antonio Damasio (2012). Li ho scelti perché entrambi hanno parlato delle origini della coscienza. Il pensiero di Jaynes ci interessa soprattutto per la sua teoria relativa alla nascita della coscienza nella storia dell’umanità, mentre la teoria di Damasio ci interessa soprattutto per come descrive la nascita della coscienza nel singolo individuo.

Per forza di cose, la teoria più controversa è quella di Jaynes; consiglio pertanto, di non prenderla per oro colato, ma piuttosto di godervela, come si fa con le cose che hanno fascino e significato.

Quest’ultimo usa un sacco di meravigliose metafore per definire la coscienza tra cui “Un intero regno su cui ciascuno di noi regna solitario e recluso, contestando ciò che vuole, comandando ciò che può”. Definizioni più rigorose sono invece “tutti quei processi cognitivi di cui l’individuo è consapevole” oppure “la mente nella sua soggettività, il baricentro di noi stessi, che dà unitarietà alla nostra esperienza e senso alla nostra identità”.

Interrogandosi sull’origine della coscienza nella nostra specie, Jaynes riflette sul fatto che, sebbene esistano molte similitudini con il resto del regno animale, non possiamo ignorare le differenze, poiché tra il loro funzionamento e il nostro esiste un abisso “Noi soli fra le varie specie, soli fra tutte, ci sforziamo di capire noi stessi e il mondo. Diventiamo ribelli o patrioti o martiri spinti da idee”, dice l’Autore.

Questi ritiene che sia fondamentale riconoscere che una differenza esista, che sia palpabile, pragmatica, perché ciò fa sì che parlando della coscienza nell’essere umano si debbano tenere in considerazione le sue specificità e arriva anche a sostenere che la coscienza, così come lui la intende, si sia manifestata solo dopo la nascita dell’essere umano stesso.

Se la cosa vi irrita, vi capisco benissimo, ma vi chiedo di sospendere il giudizio solo per un pochino; per incoraggiarvi vi faccio una piccola anticipazione: secondo l’Autore anche l’essere umano per secoli ha vissuto senza avere una coscienza. Ve lo avevo detto che la sua sarebbe stata una teoria controversa!

Questa riflessione sulla differenza tra l’essere umano e gli altri animali è anche un buon aggancio per introdurre la teoria di Damasio.

Per Damasio non potremmo dire che gli altri animali non abbiano una coscienza, né che la nostra sia qualcosa di completamente avulso da ciò che loro possiedono; per l’Autore, infatti, quello in grado di spiegare la coscienza non è e non può essere un modello unitario; propone quindi un modello in cui questa si distingue in un “proto-sé”, in una “coscienza nucleare” e in una “coscienza estesa”; queste tre forme di coscienza sono ordinate gerarchicamente (a livello di complessità) ed evolutivamente poiché la coscienza non emerge tutta insieme, ma si manifesta nelle sue diverse forme a partire dal “proto-sé”.

Il concetto di “proto-sé” è già in qualche modo rivoluzionario. Per secoli abbiamo studiato mente e corpo come se fossero due entità separate, che poco avevano a che vedere l’una con l’altra; l’Autore chiama questa tendenza “Errore di Cartesio” e, prendendone atto, cerca di riconnettere mente e corpo spiegando come la coscienza di sviluppi a partire dal nostro corpo e dalla consapevolezza che abbiamo del corpo stesso.

Il proto-sé costituisce, quindi, un’esperienza diretta e immediata del proprio corpo, è una coscienza radicata nel corpo. A questo livello l’organismo è consapevole delle proprie sensazioni somato-viscerali e propriocettive e questi segnali danno origine a sentimenti primordiali, associati a sensazioni di benessere o di pena, che confluiranno poi nelle emozioni.

A livello cerebrale questo tipo di coscienza è “localizzabile” nei nuclei del tronco encefalico, strutture antiche dal punto di vista evolutivo e condivise con altre specie, che scambiano informazioni con il corpo.

La coscienza nucleare, invece, riguarda la consapevolezza del qui e dell’ora. Rispetto al proto-sé la lente di ciò di cui siamo consapevoli si allarga, non riguarda più solo il corpo, ma: il nostro corpo, l’ambiente in cui è inserito e la relazione che intercorre tra il proprio corpo e l’ambiente.

Gli stimoli ambientali vengono utilizzati per creare immagini mentali che danno vita al “sentimento del conoscere” e allo stesso tempo stimolano reazioni e azioni che ci fanno avere la sensazione, verificabile, di poter agire sull’ambiente stesso. Anche questo livello intermedio di coscienza è condiviso con molti animali non umani.

L’ultimo livello è invece rappresentato dalla coscienza estesa, la quale è in grado di connettere nella nostra mente presente, passato e futuro; di cogliere la relazione tra ciò che è stato, ciò che è, ciò che può essere, ciò che avrebbe potuto essere e va anche oltre: arriva a costruire mondi possibili, a creare contenuti immaginativi indispensabili per dare origine alla creatività umana.

Questo tipo di coscienza richiede importanti dispositivi di coordinamento, necessari per selezionare gli innumerevoli contenuti che affiorano allo stesso tempo: dagli stimoli interocettivi, alle immagini mentali, ai ricordi, alle informazioni ambientali ecc.

Questa forma di coscienza non è elaborata, quindi, da centri cerebrali specifici, ma è diffusa, estesa, per l’appunto nel nostro cervello e nell’orizzonte temporale che è in grado di abbracciare. Essendo così ampia è in grado di dare una sensazione di identità e continuità alla vita, di riflettere su se stessa, diventando autocoscienza e di espandersi nella cultura, divenendo così fondamentale per la diffusione della nostra specie.

Potremmo supporre che quella che interessa maggiormente a Jaynes, quella che riconosce come incredibilmente diversa da quella degli altri animali, potrebbe essere quella che Damasio anni dopo avrebbe chiamato “coscienza estesa” e che, a questo livello, i due Autori abbiano lo stesso oggetto di studio.

Per studiare la coscienza, Damasio si è rifatto a dati sperimentali, Jaynes ha invece utilizzato un metodo molto differente. Voleva comprendere come questa fosse nata nella storia dell’umanità ed ha pensato che il metodo più adeguato fosse quello di rifarsi al più antico racconto mai scritto che siamo riusciti a comprendere per intero: l’Iliade.

L’Autore riflette sul fatto che nell’Iliade non ci sia mai nessun riferimento alla coscienza e che in generale non compaiano mai atti mentali. La parola “mermezio”, per esempio, viene spesso tradotta con “io pondero, io penso”, per Jaynes però questo sarebbe un errore, dal momento che la parola indica un conflitto tra due azioni, non tra due pensieri, è un verbo che si riferisce sempre e solo al comportamento; altre parole a cui è stato attribuito un significato emotivo, inoltre, farebbero in realtà riferimento a sostanze vitali come il sangue o il respiro.

L’Autore, partendo da questi presupposti, propone quindi una lunga riflessione che lo porta a sostenere che gli uomini dell’Iliade non avessero una coscienza e a elaborare la sua teoria della mente bicamerale. In base a questa teoria per secoli e secoli gli uomini avrebbero vissuto senza avere una coscienza soggettiva, senza la percezione di essere loro stessi a desiderare o prendere decisioni; quella che poi sarebbe diventata autocoscienza, ossia una coscienza consapevole di se stessa, inizialmente, secondo l’Autore, non si era ancora sviluppata.

Gli esseri umani, quindi, non percepivano i propri pensieri come propri, ma li attribuivano a voci allucinatorie, che venivano da loro identificate come le “voci degli dei”.

Per l’uomo bicamerale tutto era automatismo, come quando guidiamo la macchina o prepariamo il caffè e non siamo coscienti di quello che sta accadendo, non pensiamo ad ogni gesto, lo facciamo e basta, mentre la nostra mente è impegnata in mille altre attività, come ascoltare la radio o il telegiornale.

Questo era reso possibile, forse, dal fatto che le prime società umane avessero un funzionamento relativamente semplice, con un sistema di regole codificato; quando, però, succedevano degli imprevisti anziché riflettere sulla situazione e ponderare decisioni come la coscienza rende possibile fare, l’uomo bicamerale subiva un’alta soglia di stress, che gli provocava delle allucinazioni.

Queste voci allucinate, che l’essere umano percepiva, venivano poi attribuite a delle divinità e questi vi obbediva. Ad un certo punto, però, forse con il diventare più complesse delle società, forse attraverso la selezione naturale o lo sviluppo del linguaggio, questa modalità di funzionamento è diventata disadattiva ed è allora che sarebbe nata la coscienza.

Negli anni ’70, Jaynes era abbastanza ottimista circa la possibilità di individuare le sedi cerebrali della coscienza, riteneva che una volta definito l’oggetto di studio e scoperte le strutture che sottendevano certi processi mentali, sarebbe stato possibile rintracciarne le origini.

Per quanto riguarda la coscienza estesa, Damasio dice di no, o meglio, non è che non sia possibile individuare una sede, è che la coscienza estesa richiede, per sua natura, l’impiego di molteplici centri cerebrali; nella sua teoria, però, afferma anche che ogni forma di coscienza derivi dalle precedenti, pertanto le origini neurologiche della coscienza potrebbero essere individuate nei centri che sottendono il funzionamento del “proto-sé”.

In questo senso l’origine della coscienza, anche di quella estesa, sarebbe la consapevolezza del proprio corpo.

Il ruolo del corpo sembra emergere, tra le righe, anche della teoria della mente bicamerale, poiché Jaynes, parlando del lessico utilizzato nell’Iliade, ravvisa che non esista nessuna parola per riferirsi al corpo nella sua interezza, a meno che non si tratti di un corpo morto.

Mi sembra molto interessante notare come, in un testo in cui l’Autore sostiene che la coscienza non si fosse ancora sviluppata, ci sia anche un riferimento all’assenza della consapevolezza del proprio corpo nella sua totalità, soprattutto visto che decenni dopo un altro Autore ha identificato l’origine della coscienza individuale in questa consapevolezza.

Tutta questa discussione, che vi ho proposto fondamentalmente perché a me sembrava interessante, quindi, dove ci potrebbe portare? Cosa ci potrebbe portare?

A me ha portato a riflettere su quanto sia importante il nostro corpo per la nostra mente, siamo tanto abituati a pensare il nostro corpo come un oggetto, come qualcosa che dobbiamo agghindare, rendere bello, piacevole, presentabile; oppure come qualcosa da ignorare, lasciare da parte, perché “ci sono cose più importanti” quindi pensiamo “quel dolore che sento mi passerà” e così facendo non gli diamo il valore che merita e di conseguenza non ci diamo il valore che meritiamo.

Anche quando ci sembra brutto, stanco, malato, un peso, il nostro corpo è quella parte di noi che ci mette in relazione con il mondo, che ci permette di vedere, sentire, toccare, assaporare, annusare; senza il nostro corpo non potremmo fare azioni, non potremmo costruire relazioni.

Non ci sarebbe niente nella nostra mente senza il nostro corpo. Non avremmo la possibilità di fare complicati calcoli matematici e nemmeno di parlare delle nostre emozioni, senza un corpo quali emozioni dovremmo sentire?

A proposito delle emozioni Damasio ritiene, infatti, che queste siano primariamente “percezioni del nostro corpo durante uno stato di emozione”, queste percezioni sono combinate con le risorse cognitive attivate dallo stimolo emotigeno e con il dispiegamento di certi copioni mentali.

Ad esempio: sono uno studente delle superiori, scopro di aver preso una grave insufficienza in una verifica, percepisco che la mia gola è secca e il mio battito cardiaco è accelerato, penso “che cosa diranno i miei?” e si attiva nella mia mente lo scenario di una punizione, come non poter uscire nel fine settimana. L’insieme di questi elementi mi fa capire che l’attivazione corporea che percepisco è verosimilmente ansia.

Nella nostra mente, quindi, queste percezioni relative al corpo sono connesse con gli oggetti che le hanno causate. Abbiamo da una parte la percezione corporea, dall’altra quella connessa al qui ed ora del nostro corpo nella situazione e dall’altra ancora l’attivazione di copioni mentali che, invece, anticipano il futuro sulla base di come le cose sono andate in passato per noi o persone nella medesima situazione.

Tutti i livelli di coscienza, quindi, possono essere coinvolti nell’emozione, a partire dalla percezione di cambiamenti propriocettivi.

L’ipotesi di Damasio, per l’importanza che attribuisce ai segnali interni somato-viscerali è conosciuta come “ipotesi del marcatore somatico” ed è in grado di generare possibili spiegazioni relative a come avvenga il processo decisionale nella mente umana.

Il discorso meriterebbe una lunga trattazione, ma volendovi accennare in modo sintetico si potrebbe dire che, tra tutte le possibili scelte, soltanto alcune verranno marcate somaticamente per poi essere prese in considerazione in future analisi di costi e benefici, che sono, invece, per loro natura più cognitive; in questo modo però l’emozione ridurrebbe lo spazio del problema, suggerendoci quali sono le possibilità a cui dovremmo prestare attenzione (Dunn, 2006).

Anche se le emozioni sono qualcosa di molto svalutato nella nostra società, per Damasio (1994) invece “queste ultime non sono delle ‘intruse nelle mura della ragione’ ma una parte indispensabile della razionalità e della cognizione” e sono strettamente connesse con il corpo.

Lo stile di vita a cui, volenti o nolenti, rischiamo di sottoporci rischia di farci perdere di vista due aspetti fondamentali di noi stessi, che si sono sviluppati in relazione tra loro e con l’ambiente in cui siamo inseriti, che sono quindi adattivi, due aspetti che hanno un valore.

Anche se a volte ce ne dimentichiamo, le emozioni possono esserci d’aiuto nel prendere decisioni e il nostro corpo non è un oggetto, è un soggetto; e la possibilità di averne consapevolezza potrebbe essere l’origine della mente nella sua soggettività, l’origine della nostra coscienza.

Riferimenti:

Damasio, A. (2012). Il sé viene alla mente. Milano: Adelphi.

Damasio, A. R. (1994). Descartes’ error and the future of human life. Scientific American.

Jaynes, J., Sassano, A., & Sosio, L. (1984). Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza (Vol. 84). Adelphi.

Dunn, B. D., Dalgleish, T., & Lawrence, A. D. (2006). The somatic marker hypothesis: A critical evaluation. Neuroscience & Biobehavioral Reviews30(2), 239-271.

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Federica Molteni
Piacere, Federica! Mi sono laureata in psicologia clinica presso l’Università di Milano Bicocca con una tesi riguardante la relazione tra varie forme di cyberbullismo sessuale, come lo slut shaming, e la cultura dello stupro sui social network. Nel 2016 ho trascorso sei mesi presso l’ISPA di Lisbona, periodo nel quale ho appreso la metodologia di stesura di un progetto di ricerca in ambito psicologico, scoprendo che la cosa mi interessa e mi motiva. Nel corso dell’ultimo anno, nel tempo libero, ho seguito un corso di improvvisazione teatrale ed ho scoperto che anche questa cosa mi piace e mi diverte. La quasi totalità delle esperienze di stage/volontariato ecc. che ho svolto sono state con i bambini. Lavorare con i bambini è sempre un piacere, ma in futuro vorrei operare (anche) con gli adulti. Ad oggi, mi piacerebbe poter mettere in piedi/partecipare a dei progetti che mirino ad ottenere un cambiamento sociale e migliorare le condizioni di vita dei partecipanti; in un futuro più lontano, invece, mi piacerebbe diventare una psicoterapeuta cognitivo comportamentale ed essere abilitata alla schema therapy. Contatti: f.molteni13@gmail.com

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