L’epidemia iniziata in Cina alla fine dello scorso anno ha raggiunto anche l’Europa, in particolare l’Italia, scatenando una reazione a catena di dibattiti politici ma soprattutto una “psicosi” generale.

Il termine pare ironicamente appropriato, perché la crescente attenzione per il virus ha causato numerosi cambiamenti nel comportamento e nella percezione delle persone.

Molte preferiscono chiudersi in casa, dopo aver svuotato completamente le mensole dei prodotti alimentari e si sente parlare del coronavirus persino da analisti del mercato finanziario, che ipotizzano crolli finanziari o grandi opportunità di investimento. Si sono verificati addirittura episodi di esclusione di persone originarie della Cina.

È davvero giustificata tutta questa paura?

79,756 persone contagiate (al 24/02) sono un numero relativamente basso per poter valutare, e sembra che il picco sia già stato raggiunto quindi la frequenza dei contagi diminuirà.

L’allerta mondiale dichiarata dall’OMS ha senso dal momento che oggi è possibile arginare nuove malattie, anche se ceppi più vecchi (la classica influenza, un tipo di coronavirus) sono molto più diffusi.

Probabilmente non è giustificata.

Chi si ricorda della SARS? Se ne parlava come della nuova epidemia che avrebbe sterminato un numero alto (e improbabile) di persone, nei primi anni 2000. Eppure non successe nulla di simile allora e tutte le volte successive in cui furono riscontrate mutazioni di virus ben noti.

Quello che successe in ogni caso fu invece l’allarmismo e la diffusione di pronostici catastrofisti. Alcune persone sembrano premurarsi di spargere il più possibile il panico per ogni novità che presenti un minimo di rischio.

Ho notato spesso che nella diffusione delle notizie si sceglie di usare termini poco familiari: SARS, Coronavirus, COVID-19, 2019-NcoV… sigle o nomi che hanno uno scarso appiglio ad altre informazioni che già possediamo, e che perciò non informano in alcuna maniera, in realtà, se non chi è del mestiere.

Il coronavirus è il nome generico del virus che causa il raffreddore, l’influenza o come nel caso di COVID-19, la polmonite. Chiamandolo con un nome poco familiare lo si percepisce come ignoto mentre in realtà non lo è, e un pericolo ignoto viene percepito come più rischioso rispetto a uno ben noto come l’influenza stagionale.

Tanto più che il virus è di per sé non visibile a occhio nudo, è perciò difficile evitare di entrarvi in contatto basandosi sui propri sensi (se non osservando i sintomi di una persona malata).

I pericoli invisibili, o comunque difficili da percepire coi sensi, vengono avvertiti come più rischiosi, più dannosi rispetto a pericoli facili da percepire.

Al fatto che non sia visibile, si aggiunge che un virus è scarsamente controllabile: una volta contratto l’unica cosa da fare è aspettare che passi. È vero che assumere dei farmaci è una maniera indiretta per controllare la malattia, ma non crea una sensazione di controllo diretto.

Per fare un paragone, la paura di contrarre una malattia è l’opposto della paura di fare un incidente in auto: nel secondo scenario le persone si sentono più sicure mettendosi alla guida invece di lasciarla a qualcun altro, perché questo crea una sensazione di controllo diretto e immediato, anche se questo non diminuisce le probabilità di farne.

Invece non esiste una maniera per agire in modo diretto e immediato sul virus: per evitare di contrarlo ci si può coprire bene, evitare di stressarsi, lavarsi spesso le mani e la faccia, e se possibile tenersi a distanza da persone che mostrano forti sintomi della malattia. Tutti questi metodi però sono indiretti e mediati.

Lo stesso vale per quando si è contratta la malattia: anche dopo essersi rivolti a un medico, aver assunto le medicine ed essersi messi a riposo sotto un mucchio di coperte, si può solo attendere che la malattia faccia il suo corso.

Questo vuol dire che abbiamo in realtà un buon controllo sulle malattie e sul nostro benessere, ma non essendo così diretto e immediato ci sentiamo spesso impotenti e questo causa paura.

È necessario menzionare anche la forte paura di contrarre una malattia crea stress psicologico e fisico, che indebolisce le difese immunitarie e perciò rende più vulnerabili al virus, cioè aumenta direttamente le probabilità di sviluppare la malattia se si entra in contatto con il virus.

In questa circostanza la paura non è quindi la risposta più adattiva al problema, mentre un certo grado di prudenza lo è.

Siamo anche stati informati del fatto che la polmonite del Wuhan (o COVID-19) ha anche fatto delle vittime, circa il 3,2% (2,629 persone) dei contagiati, mentre viene raramente menzionato che 25,272 persone (il 31% dei casi) sono già guarite.

Questo dà l’impressione che, se le proporzioni dovessero rimanere tali, avremmo tutti circa 3 probabilità su 100 di morire, che rappresenta comunque un rischio, visto quanto è preziosa la vita e in particolare oggi che disponiamo di mezzi efficaci per combattere le malattie.

In realtà non è vero che ciascuno avrebbe 3 probabilità su 100 di morire, così come non tutte le persone hanno la medesima probabilità di contrarre la malattia.

In parte questo modo di riportare i dati genera l’impressione che questa situazione possa precipitare in una catastrofe di vaste proporzioni, facendo percepire il coronavirus come molto più pericoloso di quello che in realtà è.

Dunque esistono molti fattori legati alla percezione del rischio, molte euristiche (delle “scorciatoie cognitive”) che giocano un ruolo importante nel proteggere il nostro benessere, ma che quando vengono sfruttate per creare una reazione di massa finiscono per giocare contro di noi.

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Davide Mansi
Studente di Psicologia alla University of East London. Milanese nel cuore, prima di approdare a Londra ho passato un anno girando l’Australia e New York vivendo diverse realtà, finendo per innamorarmi della vita da backpacker e di Sydney. Oltre a macinare dati per ricerche scientifiche in università, i miei principali interessi in psicologia riguardano la comunicazione interpersonale e intrapersonale, la teoria della mente, le meccaniche delle relazioni sociali e lo studio di tecniche per abilitare e riabilitare in questi ambiti. Sul versante professionale intendo usare la psicologia per migliorare la vita delle persone e non metto limiti ai settori che possono beneficiare del supporto di uno psicologo e di una buona dose di creatività. Contatti: davide.mansi94@gmail.com

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