Quando dico che sono una psicologa una tra le domande più frequenti che mi vengono poste è “qual è la differenza tra psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista, e psichiatra?”, o ancora “da chi mi conviene andare?”.

Effettivamente spesso questi termini, nel linguaggio comune, si utilizzano in maniera intercambiabile, ma in realtà ognuna di queste figure ha le sue specificità e prevede iter e formazioni peculiari.

In questo articolo cercherò di chiarire le competenze e le specificità di ognuna.

Lo Psicologo

Lo psicologo è una persona che ha alle spalle cinque anni di studi di psicologia, o nel formato di triennale e magistrale oppure, nel caso del vecchio ordinamento, una laurea quinquennale.

In ogni caso, in seguito ai cinque anni di studio lo psicologo ha svolto 1000 ore di tirocinio in strutture convenzionate, pubbliche o private, in seguito alle quali ha potuto partecipare all’esame di stato.

Dopo tre prove scritte e una orale, nel caso di esito favorevole, ottiene finalmente il titolo di psicologo e, in quanto tale, può svolgere colloqui di sostegno, aprire uno sportello di ascolto, lavorare nelle scuole, nelle aziende, e somministrare test. Non può svolgere psicoterapie.

Lo Psicoterapeuta

Arriviamo dunque alla seconda figura in oggetto: lo psicoterapeuta. La specificità dello psicoterapeuta è che è l’unica figura che può svolgere attività di psicoterapia, ossia intraprendere percorsi duraturi con il paziente volti a modificarne il funzionamento psichico e ad alleviarne la sintomatologia.

Lo psicoterapeuta è uno psicologo oppure un medico che, dopo l’esame di stato, ha intrapreso una scuola di specializzazione in psicoterapia quadriennale.

Qui nascono molte confusioni, perché le scuole di psicoterapia sono tantissime, molto diverse tra loro e con rilevanti divergenze anche in termini di formazione e di tecnica. Rintracciamo comunque cinque scuole principali, che formano psicoterapeuti con orientamenti conseguenti:

  1. Sistemico-relazionale: la psicoterapia sistemica è orientata a comprendere come un disturbo si mantenga, cercando metodi rapidi per la sua risoluzione.

Questo approccio concepisce il disagio psicologico come uno squilibrio all’interno dei contesti relazionali significativi, intesi come sistemi, ai quali l’individuo appartiene.

Un sistema è tale quando gli elementi che lo compongono risultano tra loro interconnessi, ovvero ciò che accade ad una sua componente influenza tutte le altre e quindi il sistema nel suo insieme.

Di conseguenza la psicoterapia sistemica ha un focus particolare sulle dinamiche relazionali e comunicative, rendendo questo approccio particolarmente elettivo per problematiche in cui vi è un importante coinvolgimento famigliare (anoressia, bulimia, psicosi) e di coppia (conflitti e disturbi della sfera sessuale).

  1. Cognitivo-comportamentale: il modello cognitivo classico assume che il modo cosciente degli individui di valutare e giudicare la situazione influenzi il loro stato emotivo e il loro comportamento, compresi gli stati di sofferenza emozionale e di comportamento disfunzionale (Sassaroli et al., 2010).

Modificando le credenze o convinzioni, secondo questo modello, si modificheranno quindi le emozioni e i sintomi disfunzionali.

Col tempo però, a partire dagli anni Cinquanta, si sono sviluppate nuove correnti che hanno articolato il pensiero cognitivista classico:

  • la corrente del costruttivismo, nella quale il terapeuta mira ad esplorare il modo in cui l’individuo costruisce i significati (intesi come modalità di sentire emotivamente il presente) della sua esperienza.

Facendo emergere le emozioni del paziente è possibile comprendere il modo in cui funziona nelle relazioni della sua vita e il modo in cui egli contribuisce a perseverare la propria sofferenza.

  • L’approccio cognitivo-evoluzionista all’interno del quale il clinico legge l’esperienza emotivo-relazionale come l’innesco di particolari sistemi motivazionali (o sistemi relazionali) selezionati dell’evoluzione filogenetica dell’uomo.

Secondo questo approccio è fondamentale comprendere quale tipo di assetto relazionale (competitivo, di subordinazione, seduttivo…) il paziente agisce nella terapia e condurlo a sintonizzarsi su tipo di relazione cooperante.

  • I più recenti approcci denominati di Terapia Metacognitiva (MCT) o Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) che mirano a lavorare sulle abilità di metacognizione, ovvero le capacità di comprendere i pensieri e le emozioni che stanno alla base dei comportamenti propri e altrui.

Non ci si focalizza sui contenuti di pensiero ma sul come si pensa la propria esperienza.

  • Le cosiddette terapie cognitive di terza ondata: gli approcci basati sulla Mindfulness, la Dialectical Behavior Therapy, la Schema Therapy ma pure gli stessi approcci metacognitivi.

Questi ultimi modelli sono accumunati da un sostanziale disinteresse per i significati, un rinnovato interesse per i processi mentali e integrano la dimensione corporea (non solo cosa senti ma dove lo senti) nel lavoro clinico che diviene prevalentemente un’operazione esperienziale.

Ad oggi comunque è molto improbabile che un qualsiasi terapeuta cognitivista adoperi un unico approccio, mentre è piuttosto frequente intervenire clinicamente integrando due o più metodologie.

  1. Psicodinamico: la psicoterapia psicodinamica si basa sull’idea che pensieri ed emozioni di cui non siamo consapevoli possano causare sintomi come l’ansia, la depressione, la bassa autostima e difficoltà relazionali.

È basata principalmente sulla concezione e sulle metodologie della psicoanalisi e più in generale della psicologia dinamica, ma si sviluppa con incontri meno frequenti e con una durata considerevolmente ridotta rispetto al vero e proprio trattamento psicoanalitico.

  1. Psicoanalitico: gli psicoterapeuti formati in una scuola psicoanalitica sono i cosiddetti psicoanalisti. Questo termine, noto nel linguaggio comune, viene spesso usato in maniera intercambiabile al termine di psicoterapeuta.

Questa confusione ha origine nel fatto che Freud, fondatore della psicoanalisi, è stato il primo psicoterapeuta, e che dopo di lui per diverso tempo i terapeuti erano unicamente gli analisti. L’usanza di chiamare lo psicoterapeuta “psicoanalista” è pertanto rimasta.

Fondamentali per la psicoanalisi sono l’interpretazione dei sogni, il lavoro psichico sulle proprie intuizioni, e soprattutto il meccanismo del transfert e la sua analisi, ossia la proiezione da parte del paziente sull’analista dei propri sentimenti di amore e di odio che rappresentano per lo più una ripetizione di prototipi infantili.

La formazione in psicoterapia psicoanalitica ha la specificità di richiedere una analisi personale al candidato in formazione di almeno tre sedute a settimana, così da garantire che il futuro psicoanalista abbia una sufficiente conoscenza del proprio mondo interno, essendo quest’ultimo il suo principale strumento di lavoro.

  1. Umanistico-esistenziale: questo approccio, indicato come la “terza forza”, trae origine dall’incontro tra la psicologia umanistica degli Stati Uniti e quella esistenzialista dell’Europa.

La caratteristica principale è quella di mettere al centro l’essere umano, non più considerato come un’entità in balia di forze esterne o interne, quanto un individuo responsabile della propria esistenza e delle proprie scelte.

Uno dei principali esponenti di questa corrente fu Carl Rogers, psicologo statunitense, fondatore dell’Approccio Centrato sulla Persona. Alla base della sua teoria vi è l’idea che “Nella persona vi è una forza che ha una direzione fondamentalmente positiva… Se sappiamo liberare l’individuo da ogni atteggiamento di difesa possiamo essere sicuri che la sua condotta si orienterà nel senso del progresso” (Rogers, 1961).

Partendo dal presupposto che una modificazione significativa della personalità possa avvenire all’interno di una relazione interpersonale caratterizzata da un atteggiamento non giudicante, Rogers definisce le tre condizioni necessarie e sufficienti affinché tale processo di modificazione costruttiva avvenga: empatia, congruenza e accettazione positiva incondizionata. L’individuo è considerato parte attiva e fondamentale del suo processo di crescita e sviluppo.

Ognuno di questi orientamenti entra in contatto con la sofferenza e i problemi del paziente in maniera diversa (attraverso il sintomo, attraverso la relazione, o attraverso le dinamiche inconsce).

In realtà, è difficile trovare dei professionisti che operino solamente su uno degli aspetti, nella gran parte dei casi i terapeuti lavorano su tutte le sfere, privilegiandone ora l’una, ora l’altra, a seconda del bisogno del paziente e delle dinamiche che mano a mano emergono nel corso degli incontri.

Lo psichiatra

Lo psichiatra è un medico specializzatosi in psichiatria. Ha quindi una formazione medica e conosce in maniera approfondita i disturbi psichiatrici e la farmacologia indicata a ognuno di essi.

Lo psichiatra è l’unico, tra le figure qui menzionate, a poter somministrare e prescrivere gli psicofarmaci. Spesso lavora in concerto con gli psicoterapeuti ed è una figura molto importante nel trattamento dei disturbi mentali che necessitano di un intervento più massiccio.

…. ma allora da chi vado?

Questa è una domanda molto personale e molto difficile a cui rispondere. Il panorama delle figure che si occupano del benessere “mentale” è molto confuso, soprattutto in Italia. Molte figure non sono regolamentate, e verificare la qualità dei professionisti a cui rivolgersi non è mai facile.

Purtroppo il benessere mentale ed emotivo è ancora considerato un aspetto “astratto”, secondario, che non merita l’attenzione dovuta e che troppo spesso viene messo da parte fino a, la medicina e le neuroscienze ce lo insegnano, ricadere sul soma.

Tuttavia, ci sono molti professionisti veramente preparati e pronti a lavorare in équipe e in rete. Questo è importante perché a mio avviso, nel caso di malessere psicologico, la priorità assoluta, prima ancora di una presa in carico, è inquadrare la problematica e orientare conseguentemente la persona alla figura professionale e all’intervento adeguato.

Richiedere una valutazione o una consultazione, presso strutture pubbliche o private, prima di cominciare qualsiasi forma di lavoro è quindi fondamentale. Con un corretto inquadramento e una riformulazione della domanda posta, si possono creare le fondamenta per un successivo lavoro più profondo e duraturo.

Bibliografia

Rogers Carl, R. (2013). La terapia centrata sul cliente. Giunti, Firenze.

Sassaroli, S., & Ruggiero, G.M. (2010). Introduction. In S. Sassaroli & G.M. Ruggiero (a cura di), Cognitive Therapy of Eating Disorders on Control and Worry (pp. I-VII). New York: NOVA Publishers

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