“Abbiamo tutti sedici, diciassette anni – ma senza saperlo veramente, è l’unica età che possiamo immaginare” (A. Baricco, Emmaus)

“Batman ha paura dei pipistrelli. L’adolescenza come metafora della psicoanalisi” è il libro di esordio dello psicoanalista e psicoterapeuta Andrea Panico, presidente di Telemaco di Jonas Milano – centro di psicoanalisi dell’adolescenza, e membro dei consigli direttivi di Jonas Italia e Jonas Onlus Milano.

Al centro del libro si trova la parola “adolescenza”, parola che viene tirata e scomposta, prelevata e cambiata di contesto, creando diversi piani, che rappresentano altrettanti discorsi, che si intrecciano e si scambiano continuamente di posto all’interno del libro. In particolare, credo che si possano distinguere ed estrapolare dal testo almeno tre discorsi.

Un primo discorso riguarda la clinica dell’adolescenza. Confluiscono in esso tutte le esperienze raccolte da Telemaco di Jonas Milano. A partire da queste, vengono delineate quelle che sono le specificità e le possibilità per una psicoanalisi dell’adolescenza, quali le fragilità che essa incontra e i possibili sviluppi, accompagnati da stralci di percorsi clinici realmente vissuti.

La pasta del materiale clinico che si incontra in adolescenza ha infatti delle caratteristiche proprie che esigono lo sviluppo di un ragionamento proprio, in dialettica ma indipendente dal discorso psicoanalitico della clinica dell’adulto.

L’adolescenza, infatti, (così come viene descritta dal discorso sociale che la crea o che la produce come suo effetto) rappresenta una fase precisa nello sviluppo dell’individuo dove si sciolgono alcune cristallizzazioni significanti dell’infanzia che, abbandonata la precedente forma, migrano verso una forma nuova. In questa nuova forma qualcosa delle cristallizzazioni precedenti viene riconfermato, qualcosa invece si modifica.

Nel mezzo abbiamo le molecole libere del “risveglio di primavera”, della forza pulsionale che invade il corpo dell’individuo. Si tratta di una fase di passaggio, o di sospensione, dove dei tasselli della soggettività dell’individuo vagano temporaneamente liberi in attesa di creare legami chimici nuovi, più o meno solidi, ma che diano loro una forma. E` chiaro quindi che una clinica delle molecole libere esige delle accortezze e dei ragionamenti diversi da una clinica che lavora su legami intermolecolari già fatti, quale può essere la clinica di soggetti adulti. 

Un secondo discorso che si rintraccia nel testo fa un’operazione un po’ diversa, e cioè quella di delineare quali siano le direzioni di cura e i campi di possibilità della psicoanalisi contemporanea nei confronti del soggetto contemporaneo, soggetto che per essere definito richiama da anni, e in diversi ambiti, un po’ a tutti, la parola “adolescenza”.

Qualcosa dei costumi sociali contemporanei, infatti, è andato a ristrutturarsi in una modalità che ancora un po’ ci sfugge, che ancora un po’ fatichiamo a descrivere, ma che nel tentativo di essere spiegata ha evocato l’immagine dell’adolescente. Ne conosciamo il ritornello: la nostra è una società di eterni adolescenti, dove l’età adulta sembra rimanere all’orizzonte come qualcosa di inafferrabile e spesso indesiderabile, quasi di obsoleto.

Cosa sia diventato quindi il soggetto contemporaneo, dove questi si distingua dalla sua versione precedente e “senza mistero”, quali i  rischi più specifici della sua caduta, sono domande che hanno incalzato insistentemente in questi anni, diversi ambiti di studio, dalla filosofia alla sociologia, alla psicologia. In filosofia, ci si interroga circa il modo contemporaneo della soggettivazione in individui che sembrano aver perso spessore, assottigliati dallo sfarinarsi di costruzioni simboliche. La sociologia, in  maniera simile, ha visto nascere la metafora dell’uomo liquido, come di un uomo che per far fronte ad un contesto in continuo mutamento elegge l’incertezza come prima verità del suo essere. La psicologia e le neuroscienze si confrontano con questo stesso problema ricorrendo per lo più a spiegazioni di tipo organicista.

Ricordo, a questo proposito, un intervento della ricercatrice BJ Casey tenuto all’ICPS 2019 di Parigi. Negli ultimi anni, Casey ha portato avanti una serie di ricerche neuroscientifiche per approfondire i risultati del famoso “esperimento marshmallow”, in cui era stato mostrato come la capacità dei bambini di controllarsi di fronte alla richiesta di non mangiare un marshmallow, fosse predittiva delle abilità di elaborazione e controllo cognitivo in età adulta.

Nell’intervento di Parigi, Casey aprì la sua esposizione mostrandoci una foto di suo figlio, più che trentenne, in mutande e con un cappello da cowboy, ad un festival nel deserto. Le ricerche che espose successivamente miravano a mostrare come le aree prefrontali della corteccia cerebrale, associate alla pianificazione di comportamenti cognitivamente complessi, finiscano di svilupparsi ben oltre i trent’anni. Prima di allora, il cervello si manterrebbe in una “fase adolescenziale”. Ecco che quindi il comportamento del figlio della Casey, che faceva enigma alla madre, trovava una spiegazione organicista a normalizzarlo.

Al di là di quanto ci possa piacere un ragionamento piuttosto che un altro, quello della sociologia piuttosto che quello delle neuroscienze, o nessuno di essi, è chiaro che queste risposte nascono tutte da una stessa esigenza, cioè da una stessa domanda, che riguarda la definizione dell’uomo contemporaneo. Il problema centrale rimane quello di definire un soggetto che non ha fasi di crescita lineari, il cui cambiamento non è stadiale e non prevede una transizione definitiva verso l’età adulta; dunque, come cambia, come si muove, il soggetto nella società contemporanea?  

Chiaramente questo è un problema che tocca nel vivo la pratica, come la teoria, psicoanalitica che lavora proprio per processi di soggettivazione. I cambiamenti nel discorso sociale della contemporaneità hanno comportato inevitabilmente anche il modificarsi del soggetto che la psicoanalisi si trova ad analizzare. D’altronde, lo stretto legame fra cultura e inconscio è sempre stato chiaro fin dalle origini della psicoanalisi: il soggetto è tale in quanto immerso in un discorso sociale che lo precede; oppure, usando le parole di Freud: “la psicologia individuale è anche, fin dall’inizio, psicologia sociale”; oppure ancora, usando invece le parole di Lacan: “l’inconscio è il discorso dell’Altro”.

In fondo il lavoro clinico portato avanti dai centri Jonas negli ultimi anni è nato e ha mosso i suoi primi passi proprio a partire da un problema simile, cioè quello di ripensare la pratica analitica di fronte alle psicopatologie più diffuse del disagio iper-moderno, di fronte a un cosiddetto “uomo senza inconscio”, che fatica ad aprire un interrogativo su di se`, che fatica a leggere il carattere simbolico e metaforico dei suoi sintomi, e che si presenta invece più spesso come dominato da una spinta compulsiva al godimento solitario.

Questa stessa attenzione -che è insieme uno sforzo ed un’etica- ai modi della soggettivazione contemporanea, al suo modificarsi in dialogo con il discorso sociale, trova terreno fertile per possibili avanzamenti in questo libro, che in modo disincantato e tutt’altro che banale vede nella contemporaneità di oggi già un superamento del precedente costrutto iper-moderno. In questo contesto, la clinica dell’adolescenza diventa maestra: un “passepartout per leggere la clinica contemporanea –non tanto a partire da una vicinanza sociologica quanto piuttosto- a partire da una medesima logica di funzionamento dell’inconscio” che accomuna l’adolescenza alla contemporaneità.

C’è infine un terzo ed ultimo discorso che può essere isolato all’interno del testo, che sembra nascere a partire dei primi due, e prendere, a mano a mano, sempre più voce nell’arco dei capitoli, fino a staccarsi dai due discorsi precedenti assumendo una consistenza propria.

È un discorso che ripercorrendo le tracce del libro sembra essere nato per ultimo, per poi tornare indietro a risignificare i movimenti precedenti, fino ad assumere una posizione di elezione nel titolo del libro stesso. Il terzo discorso ragiona sulla natura della psicanalisi tuot court, al di là dell’età dei soggetti, al di là della loro fase di vita, al di là del contesto storico che ha determinato quel particolare soggetto piuttosto che un altro.

Cosa c’entra allora qui la parola “adolescenza”? L’adolescenza c’entra in quanto nella sua immagine si può ritrovare metaforizzata la natura propria della psicoanalisi. Un analizzando in fondo è sempre nella posizione che qualifica l’adolescente, cioè una posizione di cambiamento e di non sapere, di perdita e di separazione. Ad unire adolescenza e psicoanalisi, infatti, una tesi centrale del libro lega il tema della separazione.

Quando una persona domanda un’analisi, non è, infatti, sempre di un problema di separazione che si tratta? Non è sempre un simbolico andare via di casa, un incamminarsi da soli?”. L’analisi mette o rimette in moto quei processi di separazione che il soggetto si è trovato ad affrontare per la prima volta in periodo adolescenziale.

In fondo il problema di ogni individuo, come si esprime così chiaramente nell’adolescente, è quello di trovare un modo di essere progressista, cioè riuscire a fare qualcosa di creativo, di proprio, di soggettivo, a partire da ciò che l’altro ha fatto di lui, a partire da ciò che il soggetto è stato in quanto oggetto dell’altro: in quanto figlio.

Si tratta di riuscire a costruire qualcosa di innovativo grazie e nonostante ciò che si distrugge. In questo senso, riprendendo Baricco, citato qui sopra, abbiamo tutti sedici anni, abbiamo sempre sedici anni, e nel tempo qualcosa cambia, certo, ma il problema del soggetto ha sempre sedici anni.

Bibliografia:

Baricco, A. (2009). Emmaus. Feltrinelli, Milano.

Casey, B. J., Somerville, L. H., Gotlib, I. H., Ayduk, O., Franklin, N. T., Askren, M. K., … & Shoda, Y. (2011). Behavioral and neural correlates of delay of gratification 40 years later. Proceedings of the National Academy of Sciences108(36), 14998-15003.

Freud, S. (1990). Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) in Opere Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino.

Lacan, J. (2010). Il Seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi 1954-1955, Einaudi, Torino.

Mischel, W., Shoda, Y., & Peake, P. K. (1988). The nature of adolescent competencies predicted by preschool delay of gratification. Journal of personality and social psychology54(4), 687.

Panico, A. (2021). Batman ha paura dei pipistrelli. L’adolescenza come metafora della psicoanalisi. Pagina Otto. Trento.

Recalcati, M. (2003).  L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina, Milano.

In copertina: “NON PLUS ULTRA” di Gonzalo Borondo a Salamanca, Spagna (2020).

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Sofia Sacchetti
Sono psicologa abilitata in Lombardia, ed esercito la professione come libero professionista. Mi sono laureata in Psicologia Clinica a Pavia e in Research applied to Psychopathology presso l’Università di Maastricht, unendo nella mia formazione l’amore per la pratica clinica e la spinta verso la ricerca. La mia principale area di studio sono i disordini alimentari, tematica che ho incontrato e approfondito in tesi magistrale, sotto la guida del professor Massimo Recalcati, e durante diversi tirocini: in Olanda, con il team di Anita Jansen, e a Londra presso l’unità psicoanalitica di Peter Fonagy. Attualmente mi sto specializzando come psicoterapeuta a stampo psicoanalitico, e sto portando avanti un dottorato di ricerca sul tema della percezione del corpo nei disordini alimentari. Mi occupo di consultazioni e di interventi psicologici rivolti ad Adulti e Adolescenti. Negli ultimi anni ho svolto percorsi di supporto psicologico presso il consultorio del Women Health Information and Support Centre, e presso una Struttura Residenziale Psichiatrica Terapeutico-Riabilitativa. Ricevo privatamente a Milano, ma svolgo anche percorsi online a distanza. Per contattarmi: v.s.sacchetti@gmail.com

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