Il tema del segreto occupa una posizione di primissimo piano nello studio della comunicazione umana: i gruppi, siano essi familiari, aziendali, religiosi o culturali, creano e ricreano costantemente la narrazione di loro stessi, costruendo realtà inventate che producono splendide conquiste ed enormi tragedie.

Nel modo in cui le persone parlano di sé stesse ci sono elementi che vengono ripetuti, parti che sono sottotaciute, e pezzi che sono completamente omessi, se non attivamente secretati.

Il libro di Loriedo e Angiolari, edito Raffaello Cortina Editore, tratta in modo estremamente interessante ed esteso del segreto e dei suoi effetti sulla comunicazione umana.

Nel film “The invention of lying” il regista immagina una società in cui la menzogna non esiste. Nessuno mente: la verità di ciò che si prova o si pensa viene detta in faccia, sempre, senza alcun riguardo né filtro.

Una delle prime scene del film riprende il protagonista, un impiegato sulla quarantina, che all’inizio del film viene licenziato. Mentre raccoglie le sue cose, silenzioso e abbattuto, incontra un collega che con la massima serenità, salutandolo dichiara:

  • Mark, posso rubarti due minuti?
  • No.
  • Ho sentito dire che ti licenziavano, vero?
  • Già..
  • Dev’essere dura..
  • Già.
  • Volevo solo dirti addio, e che…ti ho sempre odiato.
  • Mi hai sempre…
  • Odiato.
  • Ah, non lo sapevo…
  • Lo sapevano in molti.
  • Hai detto ad altri che mi odiavi?
  • Sì. Ti ho anche messo contro delle persone.
  • E’ per questo che sei qui? Per dirmi che mi odiavi?
  • No, ero venuto solo a salutarti e il resto è venuto fuori spontaneamente.

Interessantemente, questo film, che si propone di immaginare una società senza menzogna, immagina che il collega abbia mantenuto segreto, verso il protagonista, il proprio odio nei suoi confronti.

Nel film non viene specificato come abbia fatto, senza mentire, a tenere nascosto il proprio sentimento, o a “mettere contro” di lui altri colleghi dell’ufficio, ma ragionandoci sopra, risulta difficile immaginarlo.

Il segreto e la menzogna, infatti, sono fenomeni collegati: la seconda è uno dei meccanismi comunicativi che vengono utilizzati per mantenere i segreti.

Meccanismi internazionali che i due autori studiano e approfondiscono con puntuale meticolosità, nello sforzo di fornire una sorta di “manuale pragmatico” in grado di individuare gli snodi comunicativi e relazionali attivati dal segreto, in grado di intersecarsi e avvitarsi su sé stessi, accomunati dal loro condiviso scopo di occultamento.

“La conoscenza è potere” dicevano i latini, e questa apparentemente semplice affermazione ci sospinge alla constatazione che ogni segreto introduce una disparità di status, di possibilità di scelta, di consapevolezza operativa, quella per l’appunto tra chi sa e chi non sa.

Dovrebbe d’altronde far riflettere il fatto che la segretezza assume un ruolo fondamentale in ogni conflitto.

Creativi ed innumerevoli sono gli stratagemmi inventati in tempo di guerra per mantenere segreti gli spostamenti delle truppe, l’entità delle proprie fortificazioni o la propria potenza di fuoco, sforzandosi ad contempo di venire a conoscenza di quelle del nemico.

Ne sono illustri esempi nella storia la macchina “Enigma”, che tanto ruolo ha avuto nel secondo conflitto mondiale, con la quale i generali della Germania Nazista trasmettevano ordini e informazioni cifrati sui e dai campi di battaglia e gli aerei da guerra “stealth” invisibili (segreti?) ai radar.

E’ possibile anche cercare di mantenere segreta la scoperta di un segreto: quando il funzionamento di Enigma venne svelato dal grande Alan Turing, considerato il padre della moderna informatica, la scelta dei Comandi Alleati fu quella di utilizzare una serie di scaltri accorgimenti per nascondere la scoperta.

In questo modo il comando tedesco continuò ad utilizzare Enigma, i cui messaggi erano però puntualmente decifrati dagli Inglesi. Il potere del segreto si era rivoltato su sé stesso, diventando il potere di tenere segreto lo svelamento di un segreto.

Allo stesso modo è possibile sforzarsi di occultare lo sforzo di occultamento, cioè tenere segreto il fatto stesso che è presente un segreto da proteggere.

Così, nell’ultimo conflitto mondiale, grandi creatività ed inventiva sono state spese da parte delle forze aeree inglesi in Nordafrica per creare piste d’atterraggio aeree completamente finte, ben visibili dal cielo, in grado di attirare il fuoco nemico. Le piste vere, ben mimetizzate, furono così protette dagli attacchi: il segreto era salvo.

Tali dinamiche assumono una peculiare importanza quando, dal contesto bellico, ci spostiamo osservando cosa accade nei gruppi sociali ed in particolar modo nelle famiglie, a fronte della necessità di mantenere un segreto.

Essa provoca, come mettono in evidenza Loriedo e Angiolari, una concatenazione di effetti comunicativi: necessità di mascherare il segreto, nasconderne la copertura, evitarne gli argomenti correlati.

Si tratta di meccanismi che possono avviare interazioni familiari patogene, mantenere sofferenze silenti, depauperare le relazioni e i contatti umani, come cercherò di mostrare nella vignetta che segue.

Un bambino di circa 4 anni ha perso il suo nonno materno, venuto a mancare in una diversa regione italiana. In tempi di pandemia, la coppia si inventa un fantomatico “lavoro” che la mamma dovrà fare per alcuni giorni per giustificare la sua assenza improvvisa agli occhi del bimbo: hanno deciso che gli parleranno del nonno più avanti, quando la situazione familiare sarà più stabilizzata.

Al suo ritorno, la mamma trova però ad aspettarla, assieme al dolore del suo lutto, un figlio in preda ad improvvise ed inspiegabili esplosioni di rabbia ed oppositività. La situazione peggiora ulteriormente perché lei, provata dalla distacco prematuro dal padre, spesso fatica a trovare le forze per reagire e contenere amorevolmente il bambino.

Dopo alcune settimane, la coppia si confronta su quanto sta accadendo. Decidono di parlare della morte del nonno al bambino, cercano di immaginare le parole giuste da usare, programmano una gita in cui avere tempo, umano ed emotivo, per affrontare un argomento così delicato.

Sorprendentemente, il bambino durante la gita non fa troppe domande, sembra acquisire la nuova informazione prontamente, gioca e passeggia con i genitori. Che si guardano, preoccupati di intravedere nel suo comportamento una reazione psicologica difensiva alla notizia.

Ancora più sorprendente è il comportamento del bambino nei giorni immediatamente successivi: le crisi di rabbia e i capricci sono radicalmente diminuiti, e continueranno a diminuire nelle settimane successive. Ogni tanto, il bimbo chiede del nonno, di dove si trova ora che è morto e del fatto che sia venuto a mancare: se ne parla insieme, in famiglia.

Gli autori riconoscono però che il segreto può avere un lato protettivo, un lato umano e anche affettivo: il tentativo di preservare dalla sofferenza.

Come in molti altri casi, la linea di confine tra sano e patologico, utile e dannoso è sottile più che mai, ed è utile quindi evitare di scegliere la verità ad ogni costo, posizione che può diventare ideologica ed eccessivamente rigida.

Il libro si sforza di darci gli strumenti per poter tracciare quel cangiante ed evanescente confine. Risulta una lettura fondamentale, che come d’altronde dichiarato da Maurizio Andolfi nell’introduzione, “colma un vuoto imperdonabile nella letteratura sistemico-relazionale”.

Non potremmo essere più d’accordo, aggiungendo il nostro grande apprezzamento per il tentativo riuscito di colmare questo vuoto.

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