Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,

quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

(Cesare Pavese)

La perdita di una persona cara, soprattutto se inaspettata, può portare con sé un profondo dolore.

Le persone che muoiono per cause improvvise e violente (come incidenti stradali, omicidio, overdose, suicidio, infortuni sul lavoro etc.) hanno spesso partner, familiari e amici a cui gli eventi che hanno portato alla morte devono essere comunicati (Adamowski et al., 1993; Stewart, 1999; Marco e Wetzel, 2012).

La nostra vita è intrisa di relazioni più o meno significative. Quando vogliamo molto bene a qualcuno, tendiamo ad allontanare il pensiero di poter perdere quella persona da un momento all’altro. Si tratta di un meccanismo sano e protettivo che la nostra mente compie per difenderci dall’angoscia di morte.

Sarebbe infatti molto faticoso vivere i rapporti con gli altri, se ci lasciassimo costantemente coinvolgere dalle emozioni e dai pensieri legati ad una potenziale perdita. Se da un lato questo meccanismo ci porta a condurre la nostra vita con più serenità, dall’altro potrebbe farci sentire completamente impreparati se chiamati ad affrontare un lutto, una tragedia inaspettata. 

“La sera prima abbiamo litigato e le ho detto delle cose orribili.
Ero molto arrabbiato e non potevo sapere che l’avrei vista per l’ultima volta.
Mi sento terribilmente in colpa”

(Leonardo, marito di Francesca)

“Se avessi immaginato, l’avrei stretto a me un’ultima volta”

(Eleonora, sorella di Matteo)

“Avrei dovuto ascoltare le sue parole con più attenzione.
Se non avessi lasciato correre lo sguardo triste di quella sera,
forse avrei compreso in tempo il suo malessere.
E forse ora sarebbe ancora qui con noi”

(Ines, madre di Giuseppe)

Si tratta di riflessioni preziose legate al lutto, donate da chi oggi, a distanza di molti anni, ricorda ogni dettaglio di quell’esperienza. Sono parole accompagnate da emozioni forti e difficili da gestire: rabbia, tristezza, disperazione, senso di colpa e di vuoto, angoscia

Un’esperienza di questo tipo può provocare una vera e propria rottura di tutti quei significati esistenziali che costruiamo nel nostro percorso di vita.

Allora le parole diventano particolarmente importanti e assumono un significato più ampio per chi è tenuto a dare e/o a ricevere delle tristi notizie. La comunicazione di morte costituisce, infatti, un momento significativo che potrebbe cambiare per sempre la vita delle persone che subiscono la perdita (Stewart, 1999).

Le parole e le espressioni che si usano per dare la tragica notizia, le caratteristiche di chi la comunica (medico, poliziotto, infermiere etc), l’ambiente fisico in cui viene data la segnalazione (casa, ospedale, pattuglia, uffici di polizia, ecc.), i mezzi utilizzati (di persona, tramite telefonate, telegramma, posta o messaggistica istantanea) sono solo alcuni dei fattori che possono influenzare il modo in cui chi rimane affronterà uno dei momenti più difficili della sua vita (Wheeler, 1994; Stewart, 1999).

Sarebbe quindi auspicabile che la  notizia di morte possa avvenire nelle condizioni più opportune (Smith-Cumberland, 1994, 2007), in quanto influisce potenzialmente sul percorso di elaborazione del lutto delle persone coinvolte.

A questo proposito, è stato visto che le persone che non riescono a trovare alcun tipo di significato nella loro esperienza di lutto traumatica hanno maggiori probabilità di sviluppare disagio psicologico persistente, disturbi psicosomatici, disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e lutto complicato (Armor, 2003).

Un recentissimo studio della De Leo Fund Onlus di Padova (https://www.deleofund.org/) ha analizzato le dinamiche e le variabili che si verificano nel processo di notifica di morte, iniziando con una revisione della letteratura esistente sul tema e tenendo conto delle accurate descrizioni riportate dalle persone che hanno vissuto una perdita traumatica (De Leo et al., 2020).

Ma quali sono le principali figure professionali coinvolte in questo difficile compito?

Gli operatori sanitari, in primis i medici, hanno, oltre il dovere di accogliere ed assistere i pazienti, quello di comunicare a volte brutte notizie. Comunicare un decesso produce spesso un fortissimo disagio nel medico che deve dare la notizia e in tutti coloro che sono coinvolti nell’interazione con i parenti e amici della vittima.

Un’adeguata comunicazione del lutto previene un ulteriore aggravamento della situazione e delle conseguenze psicologiche nei familiari (Prati, 2007).Dare informazioni in questedrammatiche circostanze con comportamenti dissonanti dalla situazione, manifestando disinteresse, superficialità, mancanza di empatia, provoca nell’utenza un senso di disgusto e malessere che possono produrre tra l’altro esposti alla magistratura e strascichi giuridici per il personale sanitario.

Quali sono le criticità e le buone prassi di cui tener conto nella comunicazione di morte?

Luogo dove eseguire la comunicazione

In primo luogo è necessario disporre di un ambiente dove sia possibile restare indisturbati e comunicare a porta chiusa la drammatica situazione ai parenti. Spesso gli ospedali non hanno una struttura architettonica adeguata a soddisfare le necessità dell’utenza e sono privi di un ambiente dove sia possibile comunicare le brutte notizie senza trambusto e nella dovuta privacy, lontano da occhi indiscreti.

Presentazione adeguata e accuratezza delle informazioni

È importante presentarsi, esplicitando nome e qualifica e anticipare la gravità dell’informazione che si sta per dare “Purtroppo devo darvi una drammatica notizia. Vostro padre Roberto è stato coinvolto in un incidente stradale, ha riportato gravissime lesioni ed è morto”. Se verrà chiesto, bisogna fornire informazioni sull’accaduto e sulle manovre eseguite dagli operatori per cercare di evitare la morte del paziente.

Attenzione alla comunicazione

Fare attenzione alla propria comunicazione verbale e non verbale. È importante utilizzare un linguaggio chiaro, che non lasci spazio a dubbi e incertezze. Bisogna accertarsi di conoscere in modo dettagliato, preciso e sicuro cosa è accaduto al paziente per dare risposte esaurienti ai cari della vittima e non determinare fraintendimenti o incomprensioni sull’accaduto.

È fondamentale inoltre evitare tecnicismi e utilizzare un linguaggio assolutamente comprensibile. Bisogna quindi ponderare attentamente ciò che si dice. Non spetta a chi comunica il decesso dare giudizi, in ogni caso.

È infine importante lasciare il giusto tempo per permettere ai congiunti di metabolizzare le parole dette che producono spesso in loro un trauma devastante (Young et al, 2001) e rendersi sempre disponibili ad ulteriori chiarimenti, se richiesti.

Conoscere le differenti fasi del lutto

La psichiatra Kübler Ross elaborò nel 1969 la Teoria delle cinque fasi del luttoteorizzando il processo che porta ad elaborare la perdita. Le fasi del lutto non sono obbligatoriamente presenti in modo sequenziale, bensì possono presentarsi con tempi e modalità diverse da persona a persona. Per approfondimenti si rimanda al modello, sottolineando che esso costituisce solo uno dei punti di riferimento esistenti sul tema del lutto.

Contenimento delle reazioni emotive dei familiari

Durante e dopo la comunicazione, si possono verificare comportamenti differenti da parte dei parenti, come rabbia, disperazione, frustrazione e pianto inconsolabile, ma può capitare anche che vi sia un comportamento apparentemente distaccato.

In casi estremi possono esserci reazioni aggressive e violente. Le ribellioni dei parenti sono spesso reazioni transitorie, che hanno l’inconsapevole volontà di riversare su un “oggetto” la responsabilità di un evento inspiegabile, imprevisto e soprattutto intollerabile per la persona.

In queste circostanze allora, il compito di un buon operatore non può che essere quello di saper contenere, con sensibilità, rispetto ed empatia, la sofferenza e il disagio riversato dai familiari. È particolarmente avvilente osservare situazioni in cui vi sono sanitari che reagiscono in modo conflittuale con i parenti in fase di cordoglio.

Frasi come: “Piangere non serve a nulla, non è il pianto che riporterà in vita il suo caro”, sono l’eclatante conferma della fragilità dell’operatore stesso, non di rado incapace di osservare e tollerare la sofferenza altrui senza lasciarsi travolgere.

Parliamo, infatti, di un compito complesso e difficile non solo per chi lo “subisce” ma anche per chi è chiamato a gestirlo.

Bibliografia

Armour, M. (2003). Meaning making in the aftermath of homicide. Death Stud. 27, 519–540. doi: 10.1080/07481180302884

De Leo D, Zammarrelli J, Viecelli Giannotti A, Donna S, Bertini S, Santini A, Anile C: Notification of Unexpected, Violent and Traumatic Death: A Systematic Review. Frontiers in Psychology, 11:2229, 24 Sep 2020.https://doi.org/10.3389/fpsyg.2020.02229

Horowitz, M. J., Siegel, B., Holsen, A., Bonnano, G. A., Milbrath, C., and Stinson, C. H. (1997). Diagnostic criteria for complicated grief disorder. Am. J. Psychiatry 154, 904–910. doi: 10.1176/ajp.154.7.904

Neimeyer, R. A., Prigerson, H. G., and Davies, B. (2002). Mourning and meaning. Am. Behav. Sci. 46, 235–251. doi: 10.1177/000276402236676

Prati G., “Comunicare il lutto: come aiutare il genitore ad affrontare la tragedia” relazione convegno Ampess “Il trasporto sicuro dei bambini”, Lugo 17 novembre 2007.

Smith-Cumberland, T. L. (1994, 2007). Course Lecture Notes on Death and Dying: Death Notification. Baltimore, MD: University of Maryland.

Stewart, A. E. (1999). Complicated bereavement and posttraumatic stress disorder following fatal car crashes: recommendations for death notification. Death Stud. 23, 289–321. doi: 10.1080/074811899200984

Wheeler, I. (1994). The role of meaning and purpose in life in bereaved parents associated with a self-help group: compassionate friends. Omega 28, 261–271. doi: 10.2190/T531-78GF-8NQ3-7E7.

Young B.H, Ford J.D., Ruzek M.J., Gusman F. e F.D. (2001). L’assistenza psicologica nelle emergenze. Edizioni Centro Studi Erickson, Trento.

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Josephine Zammarrelli
Mi presento...sono la Dott.ssa Josephine Zammarrelli, laureanda in Psicologia Clinica presso l’Università degli studi di Padova, dove ho svolto un tirocinio accademico con finalità di Ricerca scientifica nell’ambito dell’Invecchiamento. Nel 2019 ho completato uno stage teorico-esperienziale, della durata di un anno, presso la De Leo Fund Onlus di Padova, dove tuttora collaboro come operatrice attraverso servizi di supporto al lutto traumatico e come Executive Administrative Assistant. Da giugno 2020 sono iscritta al Corso di Project Management presso l’Istituto Italiano di Project Management (ISIPM) con sede a Padova. Di recente ho collaborato ad un lavoro di ricerca scientifica sul tema della comunicazione di morte traumatica, intitolato: “Notification of Unexpected, Violent and Traumatic Death: A Systematic Review” e pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology. In contemporanea al percorso formativo, coltivo da alcuni anni l’interesse per la comunicazione attraverso diverse forme d’arte (in particolare, la danza e la pittura ad olio). La comunicazione è vita e “Cultura Emotiva” rappresenta per me un’ulteriore occasione per conciliare questa mia personale esigenza con l’amore per il complesso ed affascinante mondo della psicologia. Contatti: jzammarrelli@virgilio.it

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