Non so proprio immaginarlo un Mondo senza musica”, è quanto dice Bud Spencer nel celebre film Uno sceriffo extraterrestre…poco extra e molto terrestre al piccolo H7-25 (Cary Guffey).

A pensarci bene è veramente difficile che la musica, in qualsiasi sua forma, non abbia mai toccato la nostra vita, che non ci sia stata una canzone che ci abbia scosso l’anima in un determinato momento. Questo perché la musica ha un linguaggio ben preciso, che molte persone studiano e sanno parlare, ma che è ben udibile anche a chi non ha mai fatto un corso di solfeggio o non sappia suonare uno strumento. 

Il simbolismo del mondo musicale e la sua influenza sulla psiche sono descritte in modo minuzioso da Augusto Romano nel libro “Musica e psiche”, edito Raffaello Cortina Editore.

Il linguaggio al tempo stesso intelligibile e intraducibile della musica permette di provare sensazioni ed emozioni del tutto soggettive a seconda del pezzo che stiamo ascoltando e ha permesso una vera e propria costruzione mitica e utopica delle note che consentono di descrivere ciò che a parole non può essere descritto.

Non si parla in questo caso solo di sentimenti ma anche di patriottismo, nostalgia, armonia del mondo, correnti filosofiche, cambiamenti sociali. Tutti gli eventi più importanti nella storia dell’umanità e dell’uomo come singolo individuo possono essere esplicitati da alcune note messe insieme.

Lo sapevano bene gli autori del periodo romantico, i quali accompagnavano marce, serate, guerre e concetti filosofici con le loro composizioni.

Il modello musicale si adatta, secondo l’autore, in modo perfetto alla terapia psicologica: entrambe stimolano letteralmente le corde interne dell’anima e creano una sinfonia (o un rumore), non hanno bisogno di essere descritte con le parole per essere capite, tracciano nella nostra mente innumerevoli voci che possono essere al tempo stesso consonanti e dissonanti.

Questa somiglianza risulta essere di rilievo, non solo stimolando la curiosità di chi è appassionato di musica, ma anche suscitando delle riflessioni ulteriori a partire dalle parole esplicite dell’autore (psicanalista) che, nel descrivere l’intervento psicologico, afferma che “la terapia è musicale”.

Essa, infatti, può entrare dritta nell’anima delle persone e non sempre ha bisogno di parole per un’approvata riuscita, è risaputo infatti che un buon terapeuta sa usare anche i silenzi per capirli e analizzarli in base alle esigenze del paziente.Augusto Romano nel suo libro dimostra una fine conoscenza non solo dei classici “della psicologia”, quindi autori importanti come Freud o Jung, ma anche dell’applicabilità della psicologia alla musica e all’arte in generale.

Sono di particolare apprezzamento i suoi rimandi alla mitologia greca, raccontata in una chiave psicoanalitica e adattata alla musica, la quale diventa “un’inesauribile dispensatrice di menzogne vitali”, proprio come la figura del serpente che -sia per la religione cristiana che per la mitologia greca- è simbolo di cambiamento ma anche di pulsione che dal basso va verso l’alto, come dinamicamente accade tra conscio e inconscio. 

Il linguaggio usato dall’autore non sempre è di facile interpretazione, sotto questo punto di vista penso che il libro in questione non sia consigliato per chi si affaccia per la prima volta alla psicologia o per chi è completamente a digiuno di musica, specialmente quella romantica dell’800.

D’altro canto, però, il volume stimola lo studio e la ricerca nei più curiosi e, inoltre, apre la mente su alcune sfaccettature che non sempre vengono prese in considerazione ma che possono essere utili ai fini lavorativi. Si pensi solo al fatto che la musica può fare uscire l’uditore dalla normale concezione spazio-temporale per farlo entrare in un modo assolutamente soggettivo in cui il proprio vissuto, anche quello che sembra rimosso, viene preso in esame.

La medesima cosa accade nel setting terapeutico, il quale diventa uno spazio dedicato esclusivamente al paziente, in cui il tempo è relativo e non scandito dai secondi; non è un caso che nello studio psicoterapico è sconsigliato avere un orologio che possa essere visto dal paziente e che quest’ultimo abbia lo sguardo in seduta rivolto verso la porta.

La porta e l’orologio sono due strumenti che ci tengono ancorati alla vita reale, mentre invece, esattamente come un brano musicale riesce a fare, in terapia esistiamo solo noi hic et nunc.


Leggendo questo libro viene da pensare che chi ascolta musica e ne capisce l’essenza può senza dubbio trovare dei parallelismi con la professione di psicologo, riflettendo bene posso affermare che è esattamente così.

Come sostiene l’autore: “La stessa musica che parla attraverso i simboli è paragonabile alle metafore dell’analista e la stessa estasi nell’ascoltare un brano è esaltazione della gioia, ma anche ricerca radicale della propria tristezza.

Una persona che decide di affrontare una psicoterapia, in generale, vuole trovare il motivo del proprio malessere e lascia che in seduta le parole dello psicoterapeuta affondino nel suo io più profondo, quello che neanche pensava di avere.

In caso di una buona riuscita vi è un momento di felicità grazie al percorso intrapreso, un’emozione possibile solo se si viene a conoscenza del dolore. La stessa dicotomia emotiva può essere rintracciata anche ascoltando la musica proprio per la capacità di quest’ultima di “toccare le corde dell’anima”

È da specificare, naturalmente, che sta all’analista indirizzare l’interpretazione dei simboli, proprio come un direttore d’orchestra può influenzare l’armonia degli accordi.

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